Vittorio Amedeo
Vittorio Amedeo aveva da poco passato la quarantina quando ereditò il titolo di Duca. Era un bell’uomo alto e bruno. Ma il suo aspetto traeva in inganno. Fin da bambino soffriva di asma e di crisi depressive che cercava di combattere buttandosi nel lavoro e nella caccia. Amava perdutamente la moglie Cristina che però lo tradiva con un gentiluomo di corte.
Il nuovo duca non aveva né l’intelligenza né l’ambizione del padre ma conoscendo i propri limiti non si spingeva mai oltre. Appena salito al trono cercò un accordo con la Francia, con la Spagna e con l’Impero per impedire che il Piemonte fosse coinvolto nella Guerra dei Trent’anni. Riconobbe i diritti del Duca di Nevers su Mantova ottenendo in cambio altre città del Monferrato; ma dovette cedere Pinerolo alla Francia con il trattato di Cherasco (1631). Questa data è da ricordare perché l’ipoteca francese su Pinerolo era destinata a pesare notevolmente sulla storia di tutta Italia. Questa rinuncia era stata imposta dall’abilità diplomatica del cardinale Richelieu sotto la minaccia delle baionette ma anche da motivi familiari: i fratelli di Vittorio Amedeo, Tommaso e Maurizio, odiavano la cognata Cristina, accusandola di francofilia.
Per contro la Duchessa accusava i cognati di simpatizzare per la Spagna. Queste liti avvelenavano la corte e il Richelieu ne approfittò per esercitare subdole pressioni sul Duca per indurlo a schierarsi contro la Spagna, dichiararle guerra e invadere la Lombardia, su cui anche i Savoia nutrivano mire. In questo modo il cardinale sperava che una nuova campagna militare logorasse il Piemonte al punto da porlo completamente in sua balia.
Vittorio Amedeo accettò la sfida ponendosi a capo dell’esercito: passò il Ticino e puntò su Milano; nei pressi di Gallarate si scontrò con gli spagnoli che sconfisse. Male perdite militariche subì lo costrinsero a ritirarsi dirigendosi a Genova. A Mombaldone riportò un’altra vittoria, che lo portò nuovamente verso la Lombardia. Giunto a Vercelli nell’ottobre del 1637, il duca fu assalito da una febbre misteriosa (probabilmente malaria) che in pochi giorni lo condusse alla morte assieme a due suoi generali.
La reggenza della Duchessa Cristina
La morte di Vittorio Amedeo aprì in maniera drammatica il problema della successione. Non potevano aspirarvi né il suo primogenito Francesco Giacinto di soli cinque anni, né Carlo Emanuele che ne aveva tre. Bisognava nominare un reggente e il partito francese fu subito pronto ad appoggiare la duchessa Cristina mentre il partito spagnolo appoggiò i due fratelli del Duca.
Il popolo odiava Cristina e si schierò dalla parte di Maurizio e Tommaso; Parigi e Madrid spedirono a Torino alcuni agenti per sostenere i rispettivi candidati. Si formarono dunque due partiti: quello dei madamisti, seguaci della Duchessa, e quello dei principisti, seguaci di Maurizio e Tommaso che però nel frattempo avevano abbandonato Torino e da lontano dirigevano l’opposizione a Cristina.
Nel marzo del 1639 i due principi dichiararono illegale la reggenza della cognata e si misero alla testa di un esercito spagnolo muovendosi su Torino. Cristina allontanò subito il figlio Carlo Emanuele (il primogenito, Francesco Giacinto era da poco morto) e invitò i sudditi a prendere le armi contro i cognati.
L’appello però cadde nel vuoto e la Duchessa decise di abbandonare Torino. Era già tutto pronto per la partenza e Cristina stava per salire in carrozza, quando un uomo del suo seguito dichiarò che la sua non era una fuga ma un vero e proprio atto di tradimento. Fu allora che la Duchessa decise di rimanere. Il suo gesto piacque ai sudditi che si ritrovarono improvvisamente ad appoggiarla: s’innalzarono barricate, si scavarono trincee e si distribuirono armi per difendere Cristina.
Ma questo improvviso e patriottico entusiasmo venne presto spento dalle truppe francesi di stanza a Torino, che per ordine del cardinale Richelieu disarmarono i sudditi e arrestarono i piemontesi sospetti. Di questo ne approfittarono Maurizio e Tommaso per attaccare la capitale che cadde nelle loro mani senza praticamente opporre resistenza. La Duchessa si rifugiò nella cittadella e i torinesi abbandonarono la sua causa per ritornare ad osannare ifratelli del defunto duca. Il Senato proclamò poi Maurizio e Tommaso tutori e reggenti del piccolo Carlo Emanuele. Cristina invece prese la strada di Grenoble, dove l’attendevano il fratello Luigi XIII e il cardinale Richelieu. Fratello e sorella non si vedevano da dieci anni e il loro fu un colloquio commosso e cordiale. L’incontro con Richelieu fu invece tempestoso: eglichiese a Cristina di consegnargli il Piemonte e il piccolo Carlo Emanuele ma la Duchessa rifiutò provocando la collera del cardinale che lasciò la stanza dell’incontro sbattendo la porta.
A Torino nel frattempo si continuava a combattere: alla fine di maggio i madamisti cinsero d’assedio Torino e la città in preda al panico fece esporre fuori del Duomo la Santa Sindone. I sudditi compirono poi una sortita contro i francesi che li costrinero ad un compromesso. La Duchessa rientrò a Torino e prima di varcare le mura della città, ordino numerosi arresti emanando un editto di proscrizione. Il suo ingresso in città avvenne su uno splendido cocchio. Giunta a Porta Nuova, salì su una portantina sormontata da un baldacchino dirigendosi poi alla volta del Duomo, dove fu celebrata una messa solenne e cantato un Te Deum per l’accordo raggiunto.
La pace però sarebbe stata precaria finchè Cristina e i cognati non si fossero rappacificati. Fu Richelieu a facilitare le cose spedendo alcuni suoi emissari presso Tommaso e Maurizio. L’accordo e l’intesa furono più semplici del previsto: Tommaso accettò di schierarsi dalla parte della Francia e Maurizio che era cardinale, acconsentì a lasciare la porpora per sposare la figlia di Cristina, Ludovica che aveva appena 14 anni contro i suoi 49, e che oltre tutto era sua nipote.
La Guerra dei Trent’anni era terminata anche per il Piemonte che per i suoi interessi era passato disinvoltamente da un partito all’altro ma senza risultati. La situazione rimase la stessa: Pinerolo era nelle mani francesi e il Monferrato nelle mani dei Gonzaga-Nevers, protetti dalla Francia.