Premessa
In attesa di conoscere il testamento di Carlo II, ultimo Asburgo del ramo spagnolo, l’Europa si trovò in uno stato di profonda trepidazione.
Gli Asburgo erano stati per due secoli l’incubo dell’Europa: piccoli feudatari dell’Alsazia poi divenuti Duchi d’Austria, a furia di spada e matrimoni avevano moltiplicato titoli e possedimenti.
Con Carlo V, poi, avevano toccato l’apice. L’imperatore aveva infatti ereditato dal padre, i ducati d’Austria, il Tirolo, la Borgogna e le Fiandre; dalla madre, Giovanna la Pazza, aveva ereditato la Spagna e tutto il nuovo mondo latino-americano, dal Messico alla Patagonia. A tutto questo Carlo V aggiungeva la corona di Sacro Romano Imperatore. In pratica solo la Francia e l’Inghilterra si sottraevano al dominio degli Asburgo.
Comprendendo che nessuno dopo di lui sarebbe stato in grado di tenere unito un impero così vasto, Carlo V lo ripartì. I domini ereditari di casa Asburgo (Austria, Moravia, Boemia) li lasciò al fratello Ferdinando che assunse anche il titolo imperiale. La Spagna con tutto il suo impero americano, le Fiandre e i possedimenti italiani andarono al figlio Filippo II. Così la dinastia si divise in due rami: quello spagnolo e quello austriaco.
Quando sul trono di Madrid salì Carlo II, ultimo rampollo della dinastia, quell’immenso impero aveva da tempo cessato di rappresentare un pericolo per l’Europa. Nonostante la vastità dei suoi domini, la Spagna era scomparsa dall’elenco delle grandi potenze. Eppure, proprio allo scadere del XVII secolo tutti gli sguardi tornavano a convergervi.
L’Europa si trovò a pendere dalla bocca di un re che da vivo non aveva contato nulla, ma da morto poteva mettere di nuovo a soqquadro gli equilibri raggiunti.
Carlo II aveva portato la corona con malavoglia. Nelle sue ascendenze c’erano probabilmente troppi matrimoni tra consanguinei. Era nato male e fino a dieci anni avevano dovuto tenerlo in collo perché le gambe non lo sostenevano. Una malformazione del palato non gli consentiva di articolare bene le parole.
Il clero attribuiva al diavolo i suoi malanni e per questo era soprannominato, dai suoi sudditi, El hechizado, lo stregato. Nessuno credeva che sarebbe sopravvissuto e lo fecero sposare prestissimo, nella speranza che lasciasse almeno un erede. Ma Carlo, nonostante due matrimoni, non era riuscito nemmeno in questo. Si apriva dunque una crisi dinastica che metteva in subbuglio l’Europa.
I concorrenti: Austria e Francia
C’era infatti in ballo una grossa eredità. Oltre la Spagna erano in giuoco le Fiandre (l’odierno Belgio), i vari possedimenti italiani e l’impero sud-americano. Questo ben di Dio, in mano ad uno Stato in crisi come quello spagnolo non esercitava gran peso sull’equilibrio europeo. Ma se questa eredità fosse toccata ad uno Stato già di per se efficiente, la bilancia mondiale ne sarebbe uscita sconvolta.
I concorrenti erano due: gli Asburgo d’Austria che avanzavano diritti dinastici e di sangue, dal momento che Carlo II era anche lui un Asburgo, e Vittorio Amedeo II. Il re di Francia aveva sposato la sorella di Carlo, Maria Teresa; nel contratto di matrimonio il Re Sole aveva rinunziato a ogni pretesa al trono spagnolo anche a nome dei discendenti suoi e di sua moglie. Ma nello stesso contratto si garantiva a Maria Teresa una ricca dote che non fu mai pagata. Per Luigi XIV questi due impegni si condizionavano a vicenda: evaso l’uno, cadeva anche l’altro. E sostenne questa suo pensiero fino a quando il suo esercito gliene dette la forza. Dopo la pace di Ryswick aveva fatto un passo indietro accordandosi con Olanda e Inghilterra per cercare un compromesso, senza tener conto di ciò che avrebbe deciso Carlo II. Le tre Potenze decisero, su carta, che Napoli e Sicilia sarebbero toccate alla Francia per ripagarla della sua rinunzia, la Lombardia all’Austria e sul trono di Madrid sarebbe salito un personaggio neutrale che non fosse un pericolo per nessuno. Si avanzarono le candidature di Pietro II di Braganza e di Vittorio Amedeo II, ma furono presto scartate e la scelta cadde su un principe Wittelsbach di Baviera. Costui morì poco dopo e si dovette ricominciare daccapo.
Si decise allora che la Spagna, il Belgio e l’impero latino-americano sarebbero toccati a Carlo d’Asburgo, secondogenito dell’imperatore Leopoldo, mentre alla Francia sarebbero andate Napoli, la Sicilia e Milano. A rifiutare questa situazione fu, incredibilmente proprio l’Austria. L’imperatore Leopoldo, sicuro che il re di Spagna avrebbe designato come suo successore suo figlio, non accettò e si disse pronto a difendere l’integrità con la spada.
La scelta di Carlo II
È in questa situazione che Carlo II si disponeva a passare a miglior vita, e mai agonia fu più tribolata della sua, tra salassi, purghe, clisteri ed esorcismi. Prima di morire si appellò al papa che naturalmente lo consigliò secondo il proprio interesse. Per la Chiesa, la presenza in Italia diun principe imperiale in grado di esercitare una forte autorità, costituiva un pericolo. Per questo motivo il responso papale fu favorevole alla Francia. Carlo, senza troppa convinzione, seguì il consiglio del Papa e all’insaputa della moglie, una principessa austriaca che lo teneva sotto il ricatto sentimentale della fedeltà dinastica, firmò il proprio testamento: il trono fu assegnato a Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV e di Maria Teresa.
La Francia accolse la notizia con sentimenti contrastanti: accettare significava provocare l’Europa e soprattutto significava una nuova guerra. Rifiutare era una chiara dichiarazione di paura.
Luigi XIV prima di accettere esitò ma alla fine l’orgoglio ebbe la meglio. Nel ricevere gli ambasciatori spagnoli che venivano a comunicargli ufficialmente il testamento di Carlo II, Luigi XIV spalancò una porta e additando il nipote Filippo che aspettava dietro di essa, esclamò:” Signori, ecco il Re di Spagna!”
La controffensiva
All’inizio una serie di eventi fortunati aiutò la Francia. Una caduta da cavallo la liberò dal suo nemico di sempre, il re Guglielmo III d’Inghilterra e l’Olanda colta di sorpresa dovette piegarsi. L’Austria si trovava in quel momento presa tra due fronti: quello balcanico minacciato dai Turchi e quello settentrionale su cui tornava a profilarsi il pericolo della Svezia.
Il Re Sole non si contentò di avere installato il nipote Filippo sul trono di Spagna e contrariamente agli accordi presi, lo dichiarò qualificato a succedergli. In questo modo la Spagna e il suo impero sarebbero diventati un’appendice della Francia.
È a questo punto che la coalizione avversaria passò alla controffensiva e a guidarla furono due grandi condottieri: John Churchill e Eugenio di Savoia.
John Churchill e Eugenio di Savoia
Churchill, antenato di Winston, doveva la sua carriera alla bellissima moglie Sara, della quale era molto innamorato. Ma seppe anche servirsene sfruttando la sua amicizia con la regina Anna d’Inghilterra, la cognata di Guglielmo III, cui era succeduta sul trono. Fu grazie a questo che si guadagnò il titolo di Duca di Marlborough e i galloni di Generalissimo. Se ne mostrò comunque degno infliggendo alla Francia due memorabili sconfitte, a Blenheim e a Ramillies.
Ma quest’uomo che aveva fatto carriera per intrigo, cadde in disgrazia proprio per un intrigo dopo aver dimostrato di essere degno della posizione raggiunta. Le sue vittorie furono premiate, mettendolo sotto inchiesta per malversazione e obbligandolo all’esilio per evitare la galera. Fu riabilitato solo più tardi e potè rimpatriare.
Il Principe Eugenio di Savoia, italiano di origine ma apolide per vocazione, era figlio di un Savoia di un ramo cadetto e di Olimpia Mancini, nipote del Cardinale Mazzarino.
Dopo aver offerto i suoi servigi al Re Sole, che li aveva sprezzantemente rifiutati, si era arruolato nell’esercito di Leopoldo d’Asburgo. Non sapendo nemmeno più lui come considerarsi, si firmava con un miscuglio d’italiano, tedesco e francese, Eugenio von Savoy. Servì mirabilmente la caserma, la sua vera patria e a soli ventiquattro anni era già maresciallo dell’Impero. Nel 1697, inflisse ai Turchi una tale disfatta che con la pace di Carlowitz, l’Austria fu per sempre liberata dalla minaccia ottomana.
Questi due condottieri, legati tra l’altro da una profonda amicizia, rovesciarono le sorti della guerra di Successione.
I loro eserciti irruppero a Madrid, cacciandone Filippo e il suo posto fu preso da Carlo d’Asburgo. Ma mentre il Re Sole si disponeva alla resa, la fortuna fu di nuovo dalla sua parte. In Inghilterra un governo conservatore e pacifista prese il posto di quello bellico e liberale, provocando la caduta (come si è detto) di Churchill e di sua moglie. Gli ungheresi che nel frattempo erano stati liberati dalla minaccia turca, insorsero contro l’Austria e Eugenio di Savoia fu costretto ad intervenire.
La risposta della Spagna
La Spagna, che pure aveva accolto Filippo con freddezza, vedendolo cacciato da un esercito straniero reagì con orgoglio e insorse con le armi. Nel 1710, gli spagnoli guidati da un generale francese, Vendome, cacciarono Carlo d’Asburgo.
Luigi XIV capì però che non era il caso di esagerare: la Francia era spossata ed in preda ad una forte crisi economica. Ci si doveva accontentare di una pace a buone condizioni. Questa pace fu firmata con i trattati di Utrecht del 1713 e di Rastadt del 1714.
Utrecht e Rastadt: il nuovo assetto europeo
A Utrecht, Francia e Spagna, si accordarono con Inghilterra, Olanda, Prussia, Portogallo e Savoia che formavano la coalizione avversaria. Mancava però il maggiore interessato: gli Asburgo d’Austria, rappresentati da Carlo VI, colui che aveva cercato di coronarsi Re di Spagna, e che ora dopo la morte del padre Leopoldo e del fratello Giuseppe era diventato Imperatore.
Carlo VI cercò all’inizio di proseguire la guerra per conto suo, ma un anno dopo dovette piegarsi alle condizioni concordate ad Utrecht e così anche lui firmò la pace, a Rastadt.
Con questa pace la Francia fece un grosso affare perché riuscì a piazzare sul trono di Spagna uno dei suoi principi, Filippo V, anche se si impegnò per sempre a non riunire le due Corone sulla testa dello stesso Re.
La Francia restava una grande potenza, ma veniva cancellata come potenza marittima e impero transoceanico. Agli interessi della dinastia, Luigi XIV aveva sacrificato quelli della Nazione.
Le forze navali francesi uscivano dal conflitto decimate e per di più la Francia dovette cedere all’Inghilterra Terranova e i possedimenti canadesi dell’Acadia, cioè la Nuova Scozia e il Nuovo Brunswick.
La Spagna aveva ora un re Borbone, Filippo V, che era riuscito ad ottenere la corona lasciatagli da Carlo II. Lo stato manteneva il suo immenso impero latino-americano, ma doveva abbandonare i suoi vecchi possedimenti europei: le Fiandre (Belgio), il Ducato di Milano, la Sardegna, Napoli, lo Stato dei Presidi (Orbetello e dintorni) e Sicilia. E non era cosa da poco! Ma la perdita più grave erano i mari, a cominciare dal Mediterraneo: dovette cedere infatti Gibilterra e Minorca all’Inghilterra che così divenne padrona del Mediterraneo. All’Inghilterra la Spagna dovette, oltrettutto cedere il cosiddetto asiento, il controllo sulla tratta dei negri che era l’affare più redditizio dell’epoca. E fu soprattutto questa situazione a fare della Spagna una potenza di secondo piano.
Per l’Austria invece il discorso fu diverso. Gli Asburgo avevano si perso la corona di Spagna ma allo stesso tempo aveva fatto un affare. Ottennero come risarcimento della rinuncia al trono di Spagna, le Fiandre, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, la Sardegna e lo Stato dei Presidi.
L’Italia cambia padrone
Con il trattato di Cateau –Cambrésis del 1559 l’Italia era stata fino ad allora una colonia spagnola. Con il trattato di Utrecht diveniva una colonia austriaca e lo sarebbe stata per un secolo e mezzo.
Dei tanti staterelli in cui era divisa, uno solo aveva attivamente partecipato alla guerra di Successione: il Piemonte di Vittorio Amedeo II che si era gettato in quel conflitto per mera ambizione di rango. Da Duca di Savoia voleva diventare Re e con il trattato di Utrecht c’era riuscito. Come premio del suo contributo, gli era stato riconosciuto, in aggiunta ai suoi titoli di Duca di Savoia e Principe di Piemonte, quello di Re di Sicilia. I Savoia, inoltre, arrotondarono i loro possedimenti con l’acquisto di Casale, di Alessandria, Valenza e alcune zone del Monferrato.
Il resto della Penisola restò così divisa: la repubblica di Venezia, oltre i suoi possedimenti istriani e dalmati, mantenne il Veneto, il Friuli e una buona fetta della Lombardia fino a Bergamo, riducendo così all’osso il Ducato di Milano che però dal 1707 assorbì il Ducato di Mantova.
I Farnese rimasero padroni Di Il Ducato di Parma e Piacenza. La Repubblica di Genova mantenne la Riviera di Ponente e quella di Levante. Il Ducato di Modena rimase agli Este e Lucca matenne la propria indipendenza come repubblica. I Medici rimasero Granduchi di Toscana e lo Stato della Chiesa mentenne i suoi possedimenti. Napoli e la Sardegna entrarono nel patrimonio asburgico e la Sicilia passò ai Savoia.
La Sicilia fornì ai Savoia non solo una corona ma anche il modo per partecipare da protagonizti attivi nel giuoco internazionale.
La vera trionfatrice: l’Inghilterra
La vera trionfatrice del trattato di Utrecht fu l’Inghilterra, raggiungendo il suo obbiettivo, che non era di dare una vittoria all’uno o all’altro contendente, ma di impedirla ad entrambi. Aveva in questo modo scelto la sua linea politica che rimarrà la stessa per i due secoli successivi fino alla Seconda Guerra Mondiale: la formula del balance of power, l’equilibrio delle potenze. Ovviamente la diplomzia britannica non si contentò solo di questo equilibrio. Per bilanciare meglio le due potenze, quella borbonica e quella asburgica, l’Inghilterra interpose fra loro una sfilza di Stati Satellite che divennero da quel momento suoi protetti: l’Olanda per bloccare l’espansionismo austriaco. Poi la Prussia e la Baviera per rendere meno effettivo in Austria il titolo di Imperatore di Germania. E infine il Piemonte che faceva da intercapedine fra Austria e Francia.
Il premio per la sua vittoria, l’Inghilterra lo cercò altrove, accaparandosi Gibilterra e Minorca, due piccole cose che le davano però il controllo del Mediterraneo dove d’ora in poi sarà la padrona incontestata. Facendosi consegnare la Baia di Hudson, Terranova e l’Acadia dalla Francia ottenne in pratica il Canada e con esso il grano, il legname e le pellicce. Con il monopolio dell’asiento ottenuta dalla Spagna, si ritrovò con la più grande fonte di ricchiezza dei commerci marittimi internazionali. Così l’Inghilterra, con piccole clausole che sembravano di poco conto si avviava a diventare arbitra dell’Europae padrona delle vie di comunicazione tra vecchio e nuovo mondo dove nessuno riuscì più a farle concorrenza.
Il perché del grande successo dell’Inghilterra è facile da capire: tra tutte le potenze europee, eccetto l’Olanda, fu l’unica che agì in base agli interessi nazionali e non a in base agli interessi dinastici. Il Parlamento inglese non consentì mai al Re o alla Regina di sovrapporre l’interesse dinastico a quello del Paese.
Il modello di organizzazione politica moderna che l’Inghilterra offrì alla vecchia Europa delle monarchie assolute ne affrettò la crisi.