Carlo Emanuele I
Dal 1580 lo Stato Sabaudo era nelle mani del duca Carlo Emanuele I. Figlio di Emanuele Filiberto, il duca possedeva la stessa ambizione, la stessa intelligenza e la stessa grinta del padre ma non la coerenza e la prudenza. Si era ritrovato a diciotto anni il peso di uno stato ancora giovane, sul quale soprattutto la Francia, nutriva diffidenze e appetiti. Per premunirsi Carlo Emanuele strinse alleanza con Filippo II, sposandone la figlia Caterina. Per capire che la scelta era stata dettata dalle ragion di stato, bastava guardare l’infanta: piccola, esangue, malaticcia, con il volto rovinato dal vaiolo.
Neanche Carlo Emanuele era un campione di bellezza: di statura inferiore alla media, con le spalle arcuate e un pallido incarnato; aveva tuttavia lineamenti delicati. Fin da bambino aveva praticato ogni sorta di esercizi fisici e di sports divenendo un abile cavaliere e un superbo spadaccino. Il matrimonio del duca suggellò l’alleanza con la Spagna e Carlo Emanuele ne approfittò subito per sollevare la questione di Saluzzo, avamposto francese in Piemonte e spina nel fianco per i Savoia.
Nel 1588, mentre a Parigi infuriava la guerra civile tra i Valois e i Guisa, il duca ne approfittò facendo occupare il Marchesato di Saluzzo in nome di antichi diritti e in nome della fede minacciata, essendo il territorio sede di alcune sette ugonotte. Il successo dell’impresa portò il duca alla conquista di Ginevra e della Provenza, ma stavolta Carlo Emanuele dovette fare i conti con il maresciallo franceseLesdiguières che piombò con il suo esercito sulla Savoia e sul Marchesato, obbligando il Duca alla ritirata. La guerra si trascinò fino al 1601, fra alterne vicende. Nello stesso anno il re di Francia, Enrico IV, cedette a Carlo Emanuele il Marchesato di Saluzzo ottenendo in cambio la Bresse, il Bugey, il Valromey e il paese di Gex, possedimenti sabaudi al di là delle Alpi. Lo scambio legò il destino della casa di Savoia a quello della penisola. “È molto meglio avere uno stato solo, tutto unito, come è questo di qua de’ monti, che due, e tutti e due malsicuri” annotò Carlo Emanuele nei suoi Ricordi.
I tredici anni di guerra avevano stremato la popolazione e svuotato le casse dello Stato. Il Duca cercò di risanarle inasprendo vecchi balzelli, inventandone di nuovi e impegnando i gioielli della moglie ormai defunta. L’aumento delle tasse seminò molto malcontento tra i sudditi specie a Torino che come capitale e centro economico era la città più tartassata. Al Duca va però il merito di averla abbellita: per il riassetto urbano aveva fatto già molto il padre ma Carlo Emanuele le diede un volto razionale e moderno. Aprì nuove strade e le pavimentò; fece innalzare gli edifici munendoli di grondaie e allargò la rete fognaria.
Accanto all’antica Torino medievale sorse una nuova città con nuove mura e solidi bastioni che stava acquisendo a poco a poco il tono di una capitale malgrado all’epoca non contasse che ventimila abitanti. Il centro di Torino era la corte. Carlo Emanuele era un grande intenditore di arte, parlava diverse lingue, scriveva poesie e aforismi militari e leggeva classici; tuttavia non era un mecenate. Ne aveva la stoffa ma il governo non gli dava tregua. Rimaneva sveglio anche la notte per pensare ad esso. Era sempre in movimento e sempre sospettoso. Non aveva orari, mangiava quando capitava e i cuochi e i camerieri erano in perenne mobilitazione. A corte, feste, balli e spettacoli si svolgevano senza di lui.
Il Duca non era insensibile al fascino femminile ma anche con le donne si concedeva poco. Non aveva hobbies, né svaghi; la sua unica occupazione e preoccupazione era lo Stato. Si circondava di consiglieri ma non ne seguiva quasi mai i consigli. Faceva sempre tutto di testa sua: guerre, paci e alleanze. Sognava, in anticipo di due secoli, di fare del piccolo Piemonte, lo Stato guida della penisola, spendendo in questo sogno tutte le sue energie.
Dopo la conquista del Marchesato di Saluzzo, il duca volse le sue attenzioni al Monferrato, possedimento dei Gonzaga di Mantova. Per legarsi a questa famiglia, fece sposare le figlie Margherita ed Isabella a due principi di questa casata, staccandosi dalla Spagna, ostile all’idea che il Monferrato entrasse a far parte dell’orbita sabauda.
Nel 1612, il duca di Mantova Francesco che aveva sposato Margherita, morì lasciando una figlia e Carlo Emanuele reclamò per la nipote il Monferrato. Il fratello del defunto duca di Mantova, Ferdinando, spalleggiato dalla Spagna si oppose. Carlo Emanuele per tutta risposta occupò Trino, Alba e Moncalvo.
Il governatore di Milano ordinò il ritiro delle truppe sabaude ma il duca rispose restituendo al re di Spagna il Collare del Toson d’oro e dichiarando guerra. Lanciò quindi appelli alla Francia, a Venezia, agli Stati italiani perché scendessero in campo con lui ma nessuno si mosse. Malgrado ciò il Duca decise di sfidare ugualmente la Spagna con la quale si scontrò a più riprese. Si piegò solo quando vide minacciata Torino, firmando la pace ad Asti nel giugno del 1615.
Subito dopo si rimise a tessere le fila di una nuova alleanza (più solida) con la Francia, chiedendo la mano della sorella di Luigi XIII re di Francia, Cristina, per il figlio ed erede Vittorio Amedeo.
Attraverso questo matrimonio il duca sperava che prima o poi la questione del Monferrato sarebbe tornata a galla e con l’appoggio della Francia egli l’avrebbe spuntata. Ma prima di morire (1627) il duca Vincenzo, ultimo dei Gonzaga, aveva dato in moglie la figlia Maria a Carlo di Nevers che con la morte del suocero diventò il naturale successore al Ducato di Mantova, e quindi anche del Monferrato. Tutti i disegni di Carlo Emanuele andavano a monte e a monte andava anche l’alleanza con la Francia.
Con la guerra dei Trent'anni, che impegnava fino al collo la diplomazia e la Francia, il Duca ne approfittò per passare in campo spagnolo e lanciarsi per la seconda volta alla conquista del Monferrato e del Ducato di Mantova. Il cardinale Richelieu, primo ministro del re di Francia, spedì subito un esercito per sostenere il duca di Nevers, ma a Sampeyre Carlo Emanuele lo mise in fuga.
Richelieu tentò a questo punto di convincere Carlo Emanuele ad abbandonare gli spagnoli, offrendogli in cambio le piazzeforti del Monferrato che del resto il duca aveva già occupato. Ma dal momento che Carlo Emanuele tergiversava, il cardinale ripetè l’invito con la forza, riuscendo con il suo esercito a sbaragliare quello del duca. Carlo Emanuele fu costretto ad accettare l’offerta di Richelieu ripudiando l’alleanza spagnola con la quale in realtà continuò a trescare. Il Cardinale allora lo convocò a Bussoleno intimandogli di far presidiare il Monferrato dai francesi.
Nell’estate dello stesso anno, alcune truppe spagnole sbarcarono a Genova che però erano dirette verso Casale anziché verso la valle di Susa. Carlo Emanuele che aveva sperato di tirare un sospiro di sollievo dovette barricarsi a Rivoli e a difesa di Torino. Il Cardinale Richelieu temendo di non riuscire ad espugnarla ordinò alle truppe di occupare Pinerolo e Saluzzo. Alla testa di diciottomola uomini, Carlo Emanuele scese in campo per affrontare i francesi ma a Savignano fu stroncato da una broncopolmonite. Aveva sessantotto anni e per cinquanta aveva regnato, cacciandosi in imprese più grandi di lui. Aveva con eccessiva disinvoltura cambiato continuamente bandiera, ordendo intrighi. Aveva però intuito e vacheggiato un’Italia unita sotto gli stemmi sabaudi, con uno stato sul modello francese e spagnolo. Era per i suoi tempi un visionario ma durante il Risorgimento fu visto come un profeta. Lasciò il suo amato Piemonte, in balia della Francia e della peste, in mano al figlio Vittorio Amedeo.