Architetto incisore e scenografo, Giovanni Battista Piranesi nacque a Mogliano di Mestre nel 1720.
Formatosi a Venezia, in un ambiente ancora fortemente palladiano, con il Lucchesi e lo Zucchi, Piranesi fu poi a Roma dove, grazie al Vasi, apprese la tecnica dell'incisione e il gusto dei paesaggi e delle rovine, che disegnò a lungo. Fu poi di ritorno a venezia per breve tempo, studiando presso il Canaletto.
La sua vera "ossessione" diventerà la rappresentazione scenografica della città e lo studio scientifico dell'antichità-
Un primo risultato di questi studi è la Prima parte di architetture e prospettive (Venezia 1743), una raccolta di incisioni che non ebbe però un gran successo.
La fama di incisore del Piranesi si affermò con le successive raccolte, Le Carceri(1750), in cui è visibile l'influenza di Rembrandt e dei veneziani Ricci e Tiepolo, cui si deve il raffinatissimo uso cromatico dei contrasti luci ed ombra e si può senza dubbio sostenere che l'iniziatore dell'immagine gotica di fantasia fu proprio Piranesi con questa sua opera.
Le Carceri sono una serie di incisioni originalissime; esse raffigurano vastissimi e cupi ambienti nei quali minuscole figure salgono arrancando per interminabili scale verso oscuri antri evocatori di torture e di indicibili orrori.
Seguirono le Vedute di Roma, le Opere varie di architetture, Prospettive, Grotteschi, Antichità e altre incisioni staccate, in cui Piranesi affermò la sua visione fantastica e nostalgica del mondo romano. Le sue incisioni sono caratterizzate da dramma e poesia e la tecnica è quella ormai di un autore tardobarocco, il che si rileva nella teatrale esagerazione dei volumi e nel prevalere di diagonali che si riversano sulla trasversale del palcoscenico.
Dopo la metà del secolo Piranesi si accostò progressivamente all'ambiente neoclassico, cui però, al di là di ogni dogmatismo, diede una veste pittoresca e vagamente romantica, intesa a cogliere soprattutto la grandiosità del mondo romano, sentito come un ideale eroico: in questo clima furono concepite le antichità romane (1756) e il trattato Della Magnificenza et Architettura dei Romani (1761), con cui entrò in polemica con i francesi sostenendo la superiorità dei romani sui greci. In questo progetto l'aggiunta di elementi scenici fantastici rinvia direttamente alla rappresentazione scenica-architettonica come primo basilare principio, ma non manca anche un attento e scientifico studio dei pochi frammenti dell'unica antica pianta di Roma, la marmorea Forma Urbis: utilizzando questi due "ingredienti" Piranesi aveva nel 1756 ricostruito i rapporti di spazi e volumi dell'antica Urbe, in una proiezione che forse altro non era che un analitico e nello stesso tempo nostalgico sguardo ad un passato ideale.
L'espressione più evidente di questo modo di intendere l'antichità è poi l'unica opera architettonica del Piranesi, la sistemazione della piazza, della villa e della chiesa dei Cavalieri di Malta a Roma ( Santa Maria del Priorato 1765 circa), composta con elementi romaneggianti interpretati però con una grazia severa e pittoresca e una sensibilità per la luce calma e diffusa che rivelano i persistenti rapporti con la cultura settecentesca. Lo spazio della piazza, il labirinto del giardino, la facciata della chiesa riccamente adornata, il suo interno ma soprattutto l'altare sono un serie di reperti antichi bizzarramente composti che sembrano assemblati accidentalmente e che pur tuttavia, nella loro messa in scena, risultano estremamente efficaci.
Il Piranesi è anche un meticoloso acheologo: documenta con grande precisione i ritrovamenti di Ercolano e traccia una pianta della villa di Adriano. Partecipa attivamente alla discussione sull'antichità come modello, mettendo in evidenza l'estrema varietà dell'arte e dell'architettura romana e sostenendo la sua supremazia su quella greca. Ma soprattutto è convinto che l'antichità possa costituire il modello decisivo per la modernità.
Al termine della vita i collegamenti con l'ambiente neoclassico si accentuarono, tanto che l'ultima raccolta di incisioni ( Vasi, candelabri, cippi ecc. 1778) costituirà uno dei repertori più sfruttati dai decoratori neoclassici.
Morì a Roma nel 1778.
La Fontana di Trevi, 1773, collezione privata