Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (dal luogo di provenienza della sua famiglia) nasce a Milano nel 1571. Gli anni della sua formazione sono ancora coperti da ombre e incertezze, ma alcuni dati sicuri sono emersi: il padre era “maestro di casa” dei marchesi di Caravaggio ed esercitava, sia pur modestamente, il mestiere di architetto.
Il Merisi, ancora tredicenne, fu posto a bottega a Milano presso il pittore bergamasco Simone Peterzano, di cultura veneta, e svolse presso di lui il tirocinio per alcuni anni. Ma le sue prime opere romane confermano che il giovane pittore subì contemporaneamente altre influenze, più vitali e stimolanti: dal naturalismo dei cremonesi (Antonio e Vincenzo Campi, Sofonisba Anguissola) alla conoscenza delle opere di Lorenzo Lotto, fino alle esperienze dei bresciani Savoldo e Moretto e del bergamasco Moroni: tutti artisti, questi ultimi, tendenti a privilegiare una visione degli eventi colti nella loro concretezza immediata, piuttosto che allontanati in un universo remoto e idealizzato.
Non sono stati ancora individuati con certezza dipinti di Caravaggio anteriori al suo trasferimento a Roma; il pittore si trasferisce nell’Urbe nel 1592, in circostanze non ancora del tutto chiarite. Al suo arrivo Caravaggio è già in possesso di un solido bagaglio di cultura figurativa, ma è assolutamente sconosciuto.
Caravaggio a Roma
Lavora per otto mesi nella bottega di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, giovane e colto artista alla moda nonché ultimo esponente di rilievo della cultura tardomanierista romana, allora impegnato in imprese prestigiose come la decorazione del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Inizialmente, Caravaggio dipinge composizioni di fiori e frutta: opere di un genere considerato minore ma molto richiesto dal mercato, praticato soprattutto dagli specialisti fiamminghi. Tuttavia, il rapporto col Cesari s’interrompe rapidamente e Caravaggio, deciso a “star da se stesso”, secondo la testimonianza del suo biografo e fiero avversario Giovanni Baglione, dipinge scene di genere a mezze figure che incontrano il favore dei collezionisti. Due opere di questo periodo, La buona fortuna e I bari, vengono acquistate dal cardinale Francesco Maria Del Monte. Uomo di vasta cultura, spaziante dal campo della filosofia a interessi scientifici, fratello del matematico Guidobaldo e protettore di artisti e musicisti, il cardinale ospita il giovane Merisi nel suo palazzo e favorisce il suo inserimento in un ambiente culturale particolarmente ricco e vivace, esercitando una sorta di controllo sulla sua produzione durante il quinquennio 1594-99 e mettendolo in contatto con alcune delle principali famiglie aristocratiche di collezionisti residenti a Roma, come i Giustiniani, i Barberini, i Borghese, i Mattei.
Le prime opere di Caravaggio: tecnica e stile
Stando sempre alla biografia del Baglione prima di entrare in rapporto con il cardinal Del Monte, Caravaggio avrebbe iniziato a dipingere “alcuni quaretti da lui nello specchio ritratti”. Si tratta di una pratica ricordata dalle fonti soprattutto nel caso di artisti nordici, ma che si ritrova in Savoldo e riconduce a esperimenti e precetti di Leonardo. La riflessione nello specchio piano “circoscrive” il frammento di natura, e consente di coglierne meglio il rapporto con l’atmosfera in termini di luce e ombra. A tale pratica sono state ricondotte composizioni di argomento mitologico-allegorico, con allusioni alla caducità della vita o della giovinezza o al disinganno: gli esempi più famosi sono il Ragazzo con canestra di frutta (1593-94) e il Ragazzo morso da un ramarro (1593).In queste opere, la forte adesione formale ed emotiva al modello sembra travalicare ogni significato simbolico. L’artista mira a cogliere e affermare perentoriamente, per mezzo della luce che costruisce le forme e di studiati tagli compositivi, l’assoluta dignità di ogni elemento naturale, allargando gli orizzonti della “grande” pittura, in polemica con una tradizione culturale che relega a genere minore la rappresentazione della realtà oggettuale. La canestra di frutta(1596) viene realizzata da Caravaggio per il cardinale Federico Borromeo, il quale ammirava l’opera a tal punto che, descrivendola, ricordava di non essere riuscito a farne eseguire una copia a causa della sua “incomparabile bellezza”. Per il Del Monte, Caravaggio dipinge anche la Testa di Medusa (1596-98) al centro di uno scudo da parata donato dal cardinale a Ferdinando de’ Medici.
La cappella Contarelli e la cappella Cerasi: le grandi committenze di Caravaggio a Roma
Sempre su interessamento del cardinale Del Monte, nel 1599 riceve l’incarico di dipingere tre tele per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi: sono le sue prime opere pubbliche, non confinate nella cerchia ristretta del collezionismo privato. Quando le Storie di San Matteo per la Cappella Contarelli non sono ancora terminate,Caravaggio riceve da monsignor Tiberio Cerasi (tesoriere papale) l’incarico di dipingere due tele raffiguranti la Conversione di San Paolo (1600-01) e la Crocifissione di San Pietro (1600-01) per le pareti della sua cappella in Santa Maria del Popolo. L’esecuzione della pala d’altare è invece affidata ad Annibale Carracci, e la scelta simultanea dei due artisti suona come il riconoscimento del loro ruolo di protagonisti nel rinnovamento del linguaggio figurativo in quegli anni. Di fronte alle due tele dipinte da Caravaggio per la Cappella Cerasi, il “classicista” Bellori commenta sgomento: la storia è affatto senza azione.
In effetti si tratta di rappresentazioni del tutto antieroiche e antiauliche in rapporto alle aspettative comuni e ai canoni di giudizio del tempo. Alle tele della Cappella Contarelli e della Cappella Cerasi si può riferire l’osservazione del Bellori: il Caravaggio “facevasi ogni giorno più noto per lo colorito ch’egli andava introducendo, non come prima, dolce e con poche tinte, ma tutto risentito di oscuri gagliardi, servendosi assai del nero per dar rilievo ai corpi”. Tuttavia, l’intento dell’artista non è quello accademicamente “mimetico” di “dar rilievo ai corpi”: il risalto cercato da Caravaggio è piuttosto quello dell’istantanea e folgorante “verità ottica” dell’immagine, in contrasto con le tenebre che l’avvolgono e ne interrompono la continuità, rivelandone nel contempo la “viva realtà” naturale e spirituale.
Caravaggio pittore "di rottura"
A brevissima distanza di tempo seguono altre opere importanti: la Deposizione (1602-04) per la Cappella Vittrice nella chiesa nuova degli Oratoriani, la Madonna della serpe (1605), la Morte della Vergine (1605-06) destinata alla Cappella Cherubini in Santa Maria della Scala. L’infittirsi delle commissioni indica il crescere della fortuna di Caravaggio, ma alcune opere da lui dipinte – come la Madonna della serpe e la Morte della Vergine – sono rifiutate perché giudicate irriverenti, mancanti di “decoro” e “convenienza” sul piano devozionale come su quello formale. Lo scandalo più grave è provocato dalla Morte della Vergine, dove il significato terreno del tema tragico della morte è richiamato con la massima evidenza al fine di coinvolgere emozionalmente gli spettatori nel modo più diretto. In un ambiente umile invaso dall’ombra, gli apostoli sopraffatti dal dolore si raccolgono intorno al catafalco su cui giace la Vergine morta, col volto terreo, il ventre rigonfio e un braccio inerte. In primo piano la Maddalena, seduta su una comune sedia, si abbandona al pianto affondando il volto tra le mani. Le vesti sono dimesse come l’ambientazione, i personaggi umili e “popolani”. Molti dei contemporanei, che non seppero leggere la solenne e commossa grandiosità della rappresentazione di Caravaggio, giudicarono provocatoria l’ambientazione spoglia e dimessa, senza cogliere la connessione (o in alcuni casi proprio cogliendola) con le esigenze devozionali manifestate dalle correnti spirituali pauperistiche. L’aver rappresentato la Vergine giovane (come immagine allegorica della Chiesa) fu imputato all’artista come mancata osservazione della verità storica, e il ventre rigonfio (che allude alla grazia divina di cui la Madonna è “gravida”) fu interpretato addirittura come un elemento oltraggioso, facendo sorgere la leggenda che il Caravaggio avesse sacrilegamente preso a modella una prostituta annegata nel Tevere. La pala, rifiutata dai committenti, fu fatta acquistare ai Gonzaga da Rubens. Quanto alla Madonna della serpe, era già entrata nella collezione del cardinale Scipione Borghese.
Il favore dei collezionisti di cultura più avanzata non lenisce lo scacco pubblico dell’artista. La novità del suo linguaggio pittorico non è facilmente compresa, le sue scelte iconografiche radicali sgomentano o suscitano reazioni violente, in un ambiente che non chiedeva “verità” alle immagini dipinte quanto “devozione” e “nobiltà” di soggetto e di azioni.
Mentre la fama di Caravaggio cresce, aumentano anche le gelosie e i contrasti negli ambienti artistici. Il suo comportamento, anticonformistico anche nella vita privata, e il suo temperamento irruento creano intorno a lui un alone di sospetto. In base a testimonianze dirette, il Van Mander ne traccia un vivacissimo ritratto: “egli ha il torto di non attendere stabilmente allo studio; quando ha lavorato quindici giorni, si dà al bel tempo per un mese. Spada al fianco e un paggio dietro di sé si porta da un campo da gioco all’altro, sempre pronto a rissare e ad azzuffarsi, tanto che non è troppo comodo accompagnarsi con lui. Tutto ciò non assomiglia molto alla nostra professione, ché Marte e Minerva non sono mai stati troppo amici.”
Il delitto Tommasoni e la fuga di Caravaggio a Napoli
Il 29 Maggio 1606, una delle risse in cui l’artista si lasciava coinvolgere ha un esito drammatico. Due gruppi di contendenti si affrontano, armi alla mano, per una banale contesa su un punto conquistato al gioco della pallacorda. Uno degli avversari del pittore rimane ucciso; Caravaggio, ferito al volto, è costretto a fuggire da Roma trovando riparo nei feudi dei Colonna, ma viene condannato a morte in contumacia.
Ha inizio così la tragica odissea degli ultimi anni dell’artista, continuamente fuggiasco, da Napoli a Malta, in Sicilia e nuovamente a Napoli. Ciascuna delle tappe è segnata da nuovi capolavori. Durante il primo soggiorno napoletano (1606-07) dipinge la Madonna del Rosario e le Sette opere di misericordia per la chiesa del Pio Monte della Misericordia. “Si direbbe che mai il Caravaggio si sia sentito più libero che in questo primo argomento napoletano” annota il Longhi, e in effetti il linguaggio rivoluzionario dell’artista trovò a Napoli un terreno fertilissimo, dando vita a vivaci esperienze che si diffusero a loro volta in altri centri italiani e spagnoli.
Da Malta alla morte: gli ultimi dipinti di Caravaggio
Sempre preoccupato di sfuggire alla sentenza capitale pronunciata contro di lui, Caravaggio lascia Napoli per Malta dove, il 4 Luglio 1608, gli è concessa la croce di cavaliere. Nella testimonianza di Sandrart troviamo menzione del suo “comportamento coraggioso contro i Turchi”, facendo pensare alla sua partecipazione ad azioni militari. Il capolavoro del periodo maltese è la Decollazione del Battista (1608), firmata “fra’ Michel Angelo” in rosso, nella pozza di sangue che sgorga dalla gola del santo decapitato. I contrasti luministici si fanno meno serrati e violenti; dominano il vuoto e la penombra, come nei successivi dipinti siciliani tra i quali spicca la Resurrezione di Lazzaro (1608-09).
Caravaggio fugge da Malta dopo esservi stato incarcerato, non è chiaro se a causa di una violenta contesa con un cavaliere dell’Ordine, o perché era giunta nell’isola notizia della sua condanna romana. Nessun rifugio è ormai più sicuro per lui: tornato a Napoli nell’estate del 1609, è ridotto in fin di vita da sicari che lo aggrediscono sulla porta di una locanda. Incarcerato, continua a dipingere; alcune sue opere, eseguite per il viceré spagnolo, giungono a Siviglia fin dal 1610. Raggiunto infine dalla notizia di una prossima concessione della grazia, s’imbarca per Porto Ercole dove pensa di attendere la conferma prima di raggiungere Roma. Nuovamente arrestato per uno scambio di persona e quindi liberato, viene colpito da febbri malariche e muore sulla spiaggia di Feniglia (presso Porto Ercole) il 18 Luglio 1610.
Davide con la testa di golia (1609) - Galleria Borghese - Roma
La testa di Golia è un probabile autoritratto di Caravaggio
Tra le sue opere estreme c’è l’ultima versione di Davide con la testa di Golia (probabilmente inviata al cardinale Scipione Borghese in attesa che venisse accolta la domanda di grazia), con il tragico autoritratto nelle sembianze di Golia decapitato, verso cui Davide vincitore si volge con un’espressione di commossa e desolata pietà
In morte di Michelagnolo da Caravaggio (Giovan Battista Marino)
Fecer crudel congiura,
Michele, a' danni tuoi Morte e Natura:
questa restar temea
da la tua mano in ogni imagin vinta,
ch'era da te creata e non dipinta;
quella di sdegno ardea
perché con larga usura,
quante la falce sua genti struggea,
tante il pennello tuo ne rifacea. riscoprendo la sua vera grandezza.
La musica nella pittura di Caravaggio La puttana e il pittore, gli amori del Caravaggio La morte della Vergine di Caravaggio Il martirio di Sant'Orsola di Caravaggio Giuditta e Oloferne nell'interpretazione di Caravaggio