Nel 1740 si può dire che l’opera buffa avesse già superato la prima fase di sviluppo concretizzandosi in un repertorio ormai rifinito, che fissò le sue regole nell’alternanza veloce di arie, duetti, terzetti, recitativi accompagnati e soprattutto finali elaborati, sommando cioè le innovazioni principali delle due esperienze italiane, quella napoletana e quella veneziana. Come nell’intermezzo i soggetti sono tratti dal vivere quotidiano e lo svolgersi degli eventi si sviluppa lungo un crescendo di situazioni paradossali, spesso incredibilmente artefatte. Travestimenti, equivoci, fughe, matrimoni celati e schermaglie tra servi sono la linfa vitale che scorre nelle partiture delle opere buffe e che conquista il pubblico, elemento sempre più influente nella realtà teatrale settecentesca. In scena viene portato il trionfo dell’ingegno umano sulle azioni materiali dettate dalle rigide convenzioni sociali, così semplici borghesi riescono a sposare ricche nobildonne e astute servette a maritarsi con ricchi nobili. Se l’opera buffa abbandona di tanto in tanto le vicende borghesi del quotidiano è per dedicarsi alla farsa dell’opera seria e dei suoi rigidi schemi. In questo caso i protagonisti sono le prime donne, i castrati e gli impresari, con i loro capricci, le loro angustie e le loro esagerazioni. Quest’ultimo filone riscuoterà particolare successo nella seconda metà del XVIII secolo con lavori di grande notorietà quali La Cantarina (1756) di Baldassarre Galuppi, La Critica (XXX) di Niccolò Jommelli , L’opera seria (XXX) di Florian Leopold Gassmann e Prima la musica e poi le parole (1786) di Antonio Salieri che già nel titolo evidenzia la fondamentale differenza che separa l’opera seria da quella buffa: il predominare del testo, e quindi della vicenda, sulla musica.
Ritornando però agli anni Quaranta bisogna mettere in evidenza che fu proprio lo straordinario successo riscosso dai lavori di quegli anni a portare gli autori dei libretti verso una dimensione più consapevole della commedia. Più il comico riscuoteva successo più gli impresari ne facevano richiesta a librettisti e compositori spingendo entrambi ad orientarsi verso nuove tematiche. I più autorevoli testimoni di questo straordinario momento di transizione sono i due librettisti Carlo Goldoni e Francesco Cerlone attivi rispettivamente a Venezia e a Napoli, vale a dire nei due centri di maggior sviluppo della neonata opera buffa.
Se Carlo Goldoni ebbe l'intuito di importare nel mondo musicale la straordinaria rivoluzione già operata nel teatro in prosa con l’affermazione della commedia borghese non priva di sentimentalismi riflessivi e buoni propositi, a Cerlone va riconosciuto il merito di aver dato inizio al filone “fantastico” ispirato cioè all’oriente, all'avventuroso e al fantasioso.
Si distinguono così nell'opera buffa italiana due correnti distinte chiamate “scuole”, una Napoletana e l’altra Veneziana. Originariamente le due identità più importanti della penisola si distinsero, oltre che per la provenienza dei compositori operanti nei due diversi contesti, soprattutto per alcuni elementi strutturali che ne differenziavano le produzioni. Nell’opera buffa veneziana, come già accennato, si ebbe la grande influenza goldoniana e l’usanza di inserire in partitura alcune arie popolari, mentre a Napoli l’aspetto più caratterizzante fu il riemergere degli stilemi della Commedia dell’Arte, dei caratteri delle sue maschere adattati ai nuovi protagonisti. Tuttavia questa distinzione non sopravvisse a lungo. La tradizionale trasferta veneziana che per consuetudine ogni compositore italiano doveva compiere affinché la propria formazione potesse dirsi completa permise uno scambio di tematiche tra Napoli e Venezia ricco di spunti e ispirazioni. I giovani napoletani arrivavano a Venezia col loro stravagante bagaglio culturale e tornavano in Patria arricchiti dalle sofisticate ispirazioni veneziane.
Il filosofo di campagna, dramma giocoso di Baldassarre Galuppi su testo di Goldoni (1754)
Atto I, Scena 12 - Aria (Nardo, Lena, Lesbina, Tritemio): Son pien di giubilo
Tale miscuglio di “stili” appare evidente nella tarda produzione di Baldassarre Galuppi, incontrastato monarca dell'opera veneziana, che in sostanza non risulta troppo dissimile da quella dei suoi contemporanei napoletani. Lo stesso fatto che Niccolò Piccinni, padre storico della tradizione napoletana, musicò un soggetto del veneziano Goldoni, La Cecchina ossia La buona figliola (1760), lascia intendere quanto il confine tra Scuola Veneziana e Napoletana si fosse ridotto, nella seconda metà del secolo, a semplice distanza geografica.
Con Goldoni, dicevamo, si sviluppa un nuovo modo di concepire la vicenda dell’opera buffa che comincia ad accostarsi a temi più complessi, non solo per quanto riguarda lo svolgersi della vicenda, ma anche nella definizione dei personaggi, delle loro personalità e soprattutto dei loro sentimenti. Non più uno spietato susseguirsi di eventi, ma un alternarsi di divertimento e riflessione.
"Galuppi a Venezia" e "Piccinni a Napoli", furono queste le principali identificazioni musicali di questa importantissima fase di affermazione dell'opera buffa che ebbe in Carlo Goldoni, oltre che un geniale comune denominatore, un ricettivo innovatore. Mentre i successi de L'Arcadia in Brenta (1749), Il mondo della luna (1750), Il mondo alla roversa (1750) e Il filosofo di campagna (1754), faranno di Baldassarre Galuppi il compositore più ricercato della ormai tramontante tradizione veneziano-goldoniana, La Cecchina ossia la buona figliola di Niccolò Piccinni innalza l'opera buffa napoletana a testimone di un'epoca destinata a completarsi con i gloriosi astri di Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa.
Dall'opera La Cecchina ossia la buona figliola (1760) di Niccolò Piccinni