Nel trattare di Barocchus romanticus, D’Ors stende un semplice elenco di nomi: Beethoven, Goya, Herder, Goethe, Lavater, Saint-Evremond, Schiller, Delacroix, Turner e Chateaubriand; ma lo fa precedere da alcuni personaggi che a suo dire fanno da trait d’union tra il barocco tridentino e il romantico, che nel tridentino sarebbero precursori del romanticismo: Watteau, Salvator Rosa, Giambattista Vico e, forse, Jean-Jacques Rousseau, sempre che quest’ultimo non sia già ascrivibile a pieno titolo nel romanticismo.
Il barocco rupestre
Che cosa D’Ors intenda per barocco rupestris non è subito chiaro da definire: egli comincia a trattarne partendo dall’Italia e dalla Francia di Maria de’ Medici, la principessa fiorentina che andò sposa al re di Francia, per poi arrivare a Florian e ai Trianon, coprendo così un arco di tempo che va dalla fine del XVI sec. a tutto il XVIII, una corrente evidentemente parallela e contemporanea ad altre forme di barocco come il tridentino e il rococò, di cui parlerà – e noi con lui – più avanti. Trattandone, infatti, conferisce al rupestre alcune caratteristiche del rocaille, che è però fenomeno tutto rococò: distinguendo perciò i due fenomeni artistici.
Il barocco di Maniera
D’Ors, proseguendo il discorso sul Barocco rupestre, elenca anche altri pittori: tra cui Bassano, Le Nain e “anche, da un certo angolo d’interessi, perfino il Greco.” Ma subito dopo si corregge avvertendo che, per quanto riguarda il loro periodo d’appartenenza, “non si vede alcun inconveniente a parlare di un Barocchus ‘maniera’ ”, riferendosi alle tendenze della critica tedesca a lui attuale, che a suo dire è rispettabile purchè non confonda il genere barocco con la specie manierismo: e porta come esempio l’insegna di quella locanda portoghese che recava scritto “Albergo dell’Universo e del Portogallo”, facendo il manierismo parte del barocco. Ciononostante distingueremo qui tra i due movimenti, cioè tra manierismo e barocco propriamente detto, il Barocchus tridentinus o “barocco barocco” di cui parleremo nel prossimo capitolo.
Barocco tridentino o romanesco o gesuitico ovvero “barocco barocco”
Introduzione
Del Barocchus tridentinus D’Ors afferma che “è quasi superfluo parlare particolarmente”. Già in precedenza, in un altro capitolo, trattandone di striscio, aveva spiegato come “nell’opinione corrente […] pass[i] per un fenomeno […], una sorta di “onda nera”, che spegne le luci brillanti e policrome del Rinascimento, che rovina la festa.” Ma non è così, dice D’Ors: “non conv[iene] contrapporre la Controriforma al Rinascimento” ma casomai entrambi al giansenismo: discorso già affrontato nell’illustrare il Barocco francescano. Quindi, pur essendo superfluo parlarne poiché i suoi “caratteri sono così conosciuti”, elenca Caravaggio, Carracci, Borromini, Della Porta, Tiepolo e Churriguera e, pur riconoscendone la parziale classicità, Vignola – che qui abbiamo visto essere “anche” manierista – ed Herrera. Ma noi ne parleremo particolarmente, anche se è superfluo, poiché il superfluo è una delle caratteristiche del barocco.
Il Barocco di Eugenio D’Ors
" Del Barocco " di Eugenio D'Ors è un romanzo autobiografico che racconta una serie di suggestioni e ispirazioni di un viaggio alla ricerca del Barocco. D'Ors ama il barocco e trova traccia di questa categoria dell'arte nella storia umana, nelle forme e nei pensieri che lo hanno accompagnato per una vita.
Barocco commerciale ovvero piccole osservazioni neobarocche
Il crescente barocchismo della nostra epoca si riscontra in tanti piccoli particolari della nostra vita quotidiana. E’ ciò che pensavo l’altro giorno, intento a considerare alcune forme che mi passavano davanti. La creatività commerciale, forma d’arte della contemporaneità, si dipana in mille aspetti. Osservavo il lunotto posteriore della Citroen C2, la sua forma particolare a trapezio irregolare, e mi chiedevo se potesse essere considerato “barocco”: per le linee diritte e squadrate sicuramente no, ma per l’irregolarità “borrominiana” di fondo quasi sì. Ma non era sufficiente.
Poi ho visto una confezione di caffè liofilizzato di una celebre marca di una celebre catena di supermercati, che riproduce la forma tozza della chiesa di Miagao nelle Isole Filippine. Anche i colori delle auto non sono da meno: Omar Calabrese, nel suo L’età neobarocca del 1987 (Laterza, Bari), afferma come tra le caratteristiche del barocco “neobarocco” vi siano la sfumatura, l’imprecisione, il non so che. E la nostra epoca è colma di sfumature.
Un’altra caratteristica è l’ibridazione dei generi, tipica della letteratura del Seicento e che si ripercuote su tanti oggetti della vita quotidiana oggi. Ad esempio il color gelato al pistacchio di molte auto non è il semplice color verde, e neanche il più complicato verde pistacchio: è proprio il color gelato al pistacchio. Di auto così colorate ce ne sono parecchie. Ma dal momento che l’argomento ci ha fatto pensare ai colori delle auto, non si può fare a meno di andare a considerare direttamente i gusti dei gelati: se ci si reca da un gelataio, si potrà osservare come molti gusti siano stati sostituiti dalla loro sfumatura: si troverà il gelato allo yogurt alla fragola, ma si rischia di non trovare più il tradizionale gelato alla fragola. E così per le mousse: si troveranno la mousse al caffè o allo zabaione, ma non più il semplice gelato al caffè o allo zabaione. Ovviamente ciò accade in molti casi, non in tutti, ma è fortemente indicativo.
Il giocatore di calcio della Roma Francesco Totti, nella sua piacevole e ironica guida alla città di Roma, E mo’ te spiego Roma - la mia guida all’antica Roma, descrive nel penultimo capitolo come dopo una partita di calcio si faccia uno shampoo ai frutti rossi energizzanti. Non più il classico shampoo alla camomilla, dunque.
Lo stesso discorso vale per i vestiti, i cui colori sono quasi sempre sfumature di colori principali, vale a dire colori principali decentrati: calzini color ghisa, e non semplicemente grigi; pantaloni antracite e non marroni, giacche color casa cantoniera, e non più semplicemente rosse.
Ma la nostra epoca non si presenta barocca solamente per i colori: torna di moda l’ovale. E’ sempre più frequente il caso di piattini da caffè asimmetrici col posto per la tazzina pòsto di lato, al fuoco dell’immaginaria ellisse costituita dal piattino stesso. Nella città in cui vivo, Faenza, vi è una pasticceria coi tavolini ovali, per non parlare delle illuminazioni a vòlte concentriche e spiraliformi (quest’ultimo caso è diffusissimo, ma da sempre).
Tornando al fenomeno dell’ibridazione, non sottovaluterei i succhi di frutta misti: mela-banana, pesca-limone ecc., che si possono trovare ormai in tutti i supermercati e bar.
Non c’è da meravigliarsi di tutto questo: una società complessa come la nostra non poteva non pervenire agli esiti della più complessa delle forme, quella barocca.
Barocco erotico
Ogni epoca ha avuto il suo genere di letteratura pratica. Ad esempio nell’antichità e nel Medio Evo si sprecavano i trattati sull’educazione dei rampolli delle famiglie aristocratiche o sull’equitazione, la caccia o altre cose, e nel Rinascimento abbiamo quello splendido esempio di trattato sull’arte di governare che è il Principe di Niccolò Machiavelli. Chissà che la nostra epoca non passi alla storia per lo stile fantasioso, esagerato e barocco che a volte raggiungono certe pagine della pornografia.
Le quali presentano, ad imbattercisi, uno stile iperbolico ed ipertrofico di aggettivi e metafore: così felicemente assurde, roboanti e magniloquenti che talvolta paiono stese da un prosatore del Seicento.
Alcuni esempi:
“Jenny si tolse le mutande e un profumo fragrante di f**a penetrò nell’aria della stanza, una nuvola di sesso che punse le narici suine di John. Egli fu preso da una voglia acre e pungente di possederla, si calò le mutande a sua volta e ne estrasse srotolandolo il suo manubrio maleolente e nauseabondo. Quindi lo porse, già in fiamme, alla bocca oscena della donna, che…”
“Cerca di resistere un po’ ma quelle calde grotte, e lo stantuffarci dentro senza sosta lo fanno giungere ben presto all’eiaculazione. Anni e anni di attesa richiedono un magistrale orgasmo che chiaramente sbocca in un violento schizzo sulla faccia delle maestrine compiaciute.”
“Infilarsi in vasca per godere di un caldo abbraccio di acqua calda e di una soffice carezza di bagnoschiuma è piacere che ogni giorno è consentito di vivere a ciascuno di noi. Non altrettanto, almeno non per tutti, è facile vivere di piaceri ulteriori in una vasca dove il bagno si gode in compagnia di un pezzo di f**a che ti trastulla il c***o, te lo smanetta, te lo prende tra le sue burrose tettone per una spagnoletta da brivido e ti porta alle soglie dello schizzo.”
Cercando qua e là si possono rintracciare molti epiteti omerici, ovvero aggettivi che accompagnano necessariamente il nome come sua parte costitutiva e non come complemento di specificazione: la “cappella salata”, la “vagina unta”, l’ “ano bollente”, inquantochè la cappella è sempre salata, la vagina è sempre unta e l’ano bollente.
E’ incredibile quanta creatività si prodighi a stendere questi testi, quando si pensa che tali pubblicazioni sono accompagnate da testi scritti solamente perché non possono presentare solo fotografie ed immagini, onde poter essere annoverati ufficialmente tra le riviste e godere dei relativi benefici legali e fiscali. Forse creatività sprecata, ma comunque di un buon livello medio-alto.
Barocco debole
Alla base del “pensiero debole” del filosofo torinese Gianni Vattimo c’è il dibattito intellettuale sulla crisi della ragione, in cui si osserva l’assenza di un filo rosso conduttore della storia e di una visione “vera” del mondo ottenuta assemblando i saperi particolari in un unico sapere totalizzante. In tale dibattito c'è chi ha cercato di salvarsi in calcio d’angolo costruendo arbitrariamente nuove forme sia pure parziali di razionalità e chi si è rassegnato ad un improbabile ritorno ai valori tradizionali. Vattimo è andato oltre.
Il suo pensiero debole abolisce i pensieri forti ancora sollevati dalla ragione, vecchi colpi di coda dell’illuminismo e del marxismo. Appoggiandosi a Nietzsche e Heidegger e nello stesso tempo mettendo in discussione anch’essi quando necessario Vattimo si libera dei fantasmi della ragione giungendo a un’idea di realtà più elastica, mobile, eterogenea e morbida, anche se meno rassicurante e meno “certa”, in quanto offre una tabula rasa del pensiero degli ultimi due secoli e non solo.
Ne deriva una filosofia dell’emancipazione dalle ideologie “forti” che però non come esse hanno fatto porta a una demistificazione del reale, ma viceversa porta a rivolgere uno sguardo più nuovo e più amichevole al mondo delle apparenze, in quanto più disteso e meno angosciato da esigenze metafisiche: mondo delle apparenze visto come “luogo di una possibile esperienza dell’essere” e che porta ad un atteggiamento più “spensierato” nei confronti del reale.
Il pensiero debole è una soluzione a quella impasse a cui è pervenuto il pensiero alla fine del suo tragitto metafisico, tragitto da ripensare e di cui esplorare le strade per poter andare oltre. L’orecchio, dice Vattimo, “si è reso disponibile” ad una numerosissima quantità di messaggi inviati dalla tradizione, anche se non si ricade nella tentazione di abbracciarla in toto: in quanto prima di ora il prezzo che ci faceva pagare la ragione era quello di limitare “il numero degli oggetti che si possono vedere e di cui si può parlare”.
Vattimo ribattezza il Superuomo di Nietzsche “Oltreuomo”, conferendogli il significato di uomo che si libera da etiche castranti – non solo quella cristiana, ed è qui la grande novità, ma anche quelle razionali, illuministe e marxiste – per esperire l’essere nel mondo tramite le apparenze: essere che a sua volta è più mobile e “poroso” di quello di Parmenide ed è liberamente e soggettivamente percepito da ciascuno. Lo stesso cristianesimo viene rivisto in sede relativista: l’uomo non crede più, ma “crede di credere”, e nel fare questo si forgia una religione personale tutta sua.
Barocco postmoderno
Postmoderno in origine è un termine coniato negli Stati Uniti verso la fine degli anni Sessanta per definire, in architettura, un movimento di rivisitazione del passato che intende reagire al funzionalismo e al razionalismo esagerato. Il postmoderno si è manifestato come una contaminazione di stili di secoli diversi e un rilancio della libertà creativa dell’artista. Tale riesame dell’antico sembra esprimere affinità con l’eclettismo storico dell’Ottocento, quando il revival degli stili del passato era visto come stimolo a nuove creazioni. Dal campo dell’architettura il postmoderno si è diffuso poi alle arti figurative, alla letteratura, alla filosofia ecc., esprimendo, quale componente comune, il superamento delle avanguardie e del loro linguaggio.
Per estensione si riferisce ad una mentalità tendente al recupero dei valori del passato, in quanto critica verso i principii fondamentali del moderno, vale a dire la razionalità e la fede in un progresso illimitato. Ne deriva la coniazione per la nostra epoca dell’appellativo “età postmoderna”, anche se c’è chi afferma, dagli anni ’00 del XXI secolo, che essa sia di già terminata e vi sia una ricaduta di caratteristiche prepostmoderne, cioè moderne. Il dibattito è tuttora aperto.
Il postmoderno presenta caratteristiche di ironia, scetticismo e soprattutto rifiuto delle grandi ideologie della modernità (le cosiddette “grandi narrazioni”), attaccando la razionalità sia sotto forma di quella ereditata dall’illuminismo che quella marxista. Ne derivano l’autoreferenzialità, il relativismo epistemologico e morale, il pluralismo, un atteggiamento di irriverenza verso tutto, anche verso l’irriverenza “ufficiale” ereditata dai moderni, scetticismo metafisico, nichilismo e una preferenza per il virtuale a scapito del reale.
Il postmoderno, come mentalità e come pratica artistica, viene accusato di fomentare una sorta di oscurantismo, in quanto respinge l’esistenza di una realtà universale e stabile e prende in esame i prodotti estetici da un punto di vista arbitrario e soggettivo. E’ una reazione contro i tentativi scientifici di illustrare il reale con oggettività e certezza, visti come un modo di “costruire” la realtà in quanto spesso asserviti a forme di potere politico, sociale o culturale (i “poteri forti”, l’egemonia marxista ecc.). I postmoderni inoltre sono accusati di essere confusi e assertori in campo scientifico di argomentazioni evidentemente false.
Il loro relativismo estremo minerebbe alla base verità e ragione. Tale ideologia sarebbe il riflesso della generazione rivoluzionaria delusa del ’68 incorporata nella nuova classe media professionale e gestionale, sintomo di mobilità sociale e frustrazione politica piuttosto che un vero e proprio fenomeno culturale. Dall’altra parte lo storico statunitense Richard Wolin vede un rispecchiamento tra le radici del postmodernismo e le radici intellettuali del fascismo, sia per i contenuti che per la comune derivazione da Nietzsche e Heidegger.
Caratteristiche del postmoderno sono le sue condizioni economiche e tecnologiche, viste come differenti da quelle del moderno, e che portano a una società decentralizzata e plasmata dai mass-media, in cui le idee sono simulacri, pure rappresentazioni autoreferenziali e copie: le comunicazioni, la produzione industriale e i trasporti portano a una società globalizzata, interconnessa e culturalmente pluralistica. E’ quella che il critico statunitense Fredric Jameson ha definito, titolo di un suo celebre saggio, “la logica culturale del tardo capitalismo”.
L’estetica postmoderna consiste nella ripresa di forme preesistenti come citazioni, pastiche e parodie, che convergono in un sincretismo estetico ottenuto tramite collage e miscelazione di stili e che porta allo spaesamento: tra gli altri tende a mescolare la cultura popolare con la cultura d’elite, ad esempio facendo convergere arte contemporanea e pubblicità. Ma così facendo si distingue dall’ironia moderna e soprattutto ripudia l’epistemologia moderna (teoria della conoscenza che cerca di costruire un’immagine fedele del mondo reale) a favore di un ritorno, per doppia negazione, di un’ontologia postmoderna, cioè una teoria dell’essere sia pure virtuale.
Il testo teorico più importante del postmoderno è La condizione postmoderna del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, secondo cui nell’epoca postmoderna vengono meno le illusioni illuministiche e marxiste che davano un senso all’esistenza di molte persone a favore di una crisi irreversibile, un disincanto, una incertezza, una incredulità, disperdendosi in una nebulosa di elementi linguistici narrativi talvolta incompatibili e irriducibili ad un progetto unitario: le cui conseguenze non sono solo negative – gran parte dei teorici del postmoderno sono purtroppo critici verso di esso – ma anche positive, poiché si dà vita ad un’età creativa, dinamica ed eterogenea.
Il postmoderno è stato definito come “la teoria di rifiutare le teorie” e Umberto Eco lo ha definito come una forma di moderno manierismo, tanto che ha affermato che ogni epoca ha il suo postmoderno - come il suo barocco diremmo noi – e ne fa una categoria spirituale non circoscrivibile cronologicamente.
Già dal XIX secolo il termine ha fatto capolino tra gli scritti di alcuni pensatori, in piena modernità, ogni volta che questa è sembrata entrare in crisi o ad una svolta. Ma è solo con gli anni Sessanta e Settanta che entra prepotentemente di moda nelle discussioni teoriche e filosofiche, ovviamente da quando siamo nell’età postmoderna.