Immanuel Kant
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in filosofia barocca
I lavori giovanili di Kant riguardarono le scienze
Dopo il terremoto di Lisbona, scrisse sulla teoria dei terremoti, un trattato sui venti e un breve saggio sul problema se il vento dell’ovest in Europa fosse umido perché ha attraversato l’Oceano Atlantico. Il più importante dei suoi scritti scientifici è la Storia naturale generale e teoria dei cieli (1755), che anticipa la ipotesi lapalaciana. Ha il merito d’aver scoperto quella che si dimostrò una fruttuosa ipotesi. In parte puramente fantastica, come nella teoria che tutti i pianeti siano abitati, e che la maggior parte dei pianeti più distanti abbiano gli abitanti migliori: teoria che si può lodare per la sua modestia nei riguardi della Terra, ma non sostenere con ragioni scientifiche.
Critica della ragion pura
La più importante opera di Kant è la Critica della ragion pura (prima edizione 1781; seconda edizione 1787). Scopo del libro è di dimostrare che, per quanto la nostra conoscenza non possa in alcun modo trascendere l’esperienza, è nondimeno in parte a priori e non è desunta induttivamente dall’esperienza. Quella parte della nostra conoscenza che è a priori abbraccia, secondo Kant, non soltanto la logica, ma molto che non può essere incluso nella logica o dedotto da essa. Da una parte c’è la distinzione tra enunciati analitici esintetici; dall’altra parte la distinzione tra enunciati a priori e empirici.
Un enunciato analitico è quello in cui il predicato è parte del soggetto; ad esempio: Un uomo alto è un uomo » oppure « un triangolo equilatero è un triangolo. Questi enunciati derivano dal principio di contraddizione; affermare che un uomo alto non è un uomo sarebbe una contraddizione in termini. Un enunciato sintetico è quello che non è analitico. Tutti gli enunciati che conosciamo soltanto attraverso l’esperienza sono sintetici. Non possiamo, da una semplice analisi di concetti, scoprire verità quali: Martedì era un giorno piovoso oppureNapoleone era un grande generale.
Un enunciato empirico non possiamo conoscerlo se non con l’aiuto della percezione sensoria, o la nostra o quella di qualcun altro di cui accettiamo la testimonianza. I fatti della storia e della geografia sono di questo tipo; e così le leggi scientifiche, qualora constatiamo la loro verità attraverso i dati dell’osservazione. Una proposizione a priori, d’altra parte, è tale che, per quanto possa essere evocato dall’esperienza, all’atto in cui la si apprende si scopre che il suo fondamento è esterno all’esperienza stessa. Un bambino che impara l’aritmetica può esser aiutato facendogli sperimentare due palline e due altre palline e facendogli osservare che, in complesso, ha sperimentato quattro palline. Ma allorché il bambino afferra l’enunciato generale due e due fanno quattro non chiede più conferme attraverso gli esempi; l’enunciato ha una certezza che l’induzione non può mai dare ad una legge generale. Tutti gli enunciati della matematica pura sono, in questo senso, a priori.
Hume aveva dimostrato che la legge di causalità non è analitica e aveva dedotto che non possiamo esser certi che sia vera. Kant accettò la teoria che essa fosse sintetica, ma nondimeno sostenne che la si conoscesse a priori. Kant sosteneva anche che l’aritmetica e la geometria sono sintetiche, ma che sono nondimeno a priori.
Kant dice: Oso asserire che non c’è neppure un solo problema metafisico che non sia stato risolto, o per la soluzione del quale non sia stata almeno fornita la chiave. Nella prefazione alla seconda edizione, Kant si paragona a Copernico, e dice d’aver effettuato in filosofia una rivoluzione copernicana.
Secondo Kant, il mondo esterno fornisce solo la materia per le sensazioni, ma è il nostro apparato mentale che dispone questa materia nello spazio e nel tempo e fornisce i concetti per mezzo dei quali comprendiamo l’esperienza. Le cose in se stesse, cause delle nostre sensazioni, sono inconoscibili; esse non sono nello spazio e nel tempo, non sono sostanze né possono essere descritte da alcuno di quegli altri concetti generali che Kant chiama categorie. Lo spazio e il tempo sono soggettivi, sono parte del nostro apparato percettivo. Ma proprio per questo possiamo esser certi che qualunque cosa sperimentiamo essa mostrerà le caratteristiche richieste dalla geometria e dalla scienza del tempo. Se portaste sempre occhiali con lenti verdi potreste star certi di vedere tutto verde Analogamente, dato che portate sempre occhiali spaziali nella vostra mente, siete certi di vedere sempre tutto nello spazio. Così la geometria è un a priori, nel senso che deve esser vera per tutto ciò che viene sperimentato, ma non abbiamo ragione di supporre che qualcosa di analogo sia vero per le cose in se stesse, che noi non sperimentiamo.
Spazio e tempo, dice Kant, non sono concetti; sono forme di intuizione. Ci sono però anche concetti a priori, ci sono le dodici categorie che Kant deriva dalle forme del sillogismo. Le dodici categorie sono divise in quattro serie di tre:
1) di quantità: unità, pluralità, totalità
2) di qualità: realtà, negazione, limitazione
3) di relazione: sostanza e accidente, causa ed effetto, reciprocità
4) di modalità: possibilità, esistenza, necessità.
Queste categorie sono soggettive nello stesso senso in cui lo sono lo spazio e il tempo; vale a dire, la nostra forma mentale è tale che esse sono applicabili a qualunque cosa noi sperimentiamo, ma non c’è ragione di supporle applicabili alle cose in sé. Per quel che riguarda la causalità, però c’è un’incongruenza, perché le cose in sé sono considerate da Kant come cause delle sensazioni, mentre Kant sostiene al tempo stesso che le cause degli avvenimenti nello spazio e nel tempo sono liberi atti di volontà. Questa incongruenza non è una svista accidentale; è una parte essenziale del sistema.
Gran parte della Critica della ragion pura è volta a dimostrare gli errori derivanti dall’applicazione dello spazio e del tempo o delle categorie a cose non sperimentate. Quando lo si fa, così sostiene Kant, veniamo a trovarci nell’imbarazzo a causa delle antinomie: proposizioni, cioè, reciprocamente contraddittorie, ciascuna delle quali può in apparenza essere dimostrata, Kant dà quattro di queste antinomie, ciascuna consistente in tesi e antitesi.
La prima antinomia dice: il mondo ha un principio nel tempo, ed è limitato nello spazio. L’antitesi dice: Il mondo non ha un principio nel tempo e non ha limiti nello spazio; è infinito sia neiriguardi dello spazio che del tempo.
La seconda antinomia dimostra che ogni sostanza composta è, e non è, costituita di parti semplici.
La tesi della terza antinomia sostiene che ci sono due generi di causalità, uno secondo le leggi della natura, l’altro secondo quelle della libertà; l’antitesi sostiene che c’è solo una causalità che obbedisce alle leggi della natura.
La quarta antinomia dimostra che c’è, e che non c’è, un Essere assolutamente necessario.
In un famoso brano, Kant si adopera a demolire tutte le prove puramente intellettuali dell’esistenza di Dio. Ci sono, dice Kant, soltanto tre prove dell’esistenza di Dio basate sulla pura ragione: la prova ontologica, la prova cosmologica e la prova fisico-teologica.
La prova ontologica, così come l’autore la espone, definisce Dio con l’ens realissimum, l’ente più reale; cioè il soggetto di tutti i predicati che si riferiscono all’Essere assoluto. Da parte di chi crede nella validità della prova, si afferma che, essendo l’ esistenzauno di questi predicati, questo soggetto deve avere il predicato « esistenza », cioè deve esistere. Kant contesta che l’esistenza sia un predicato. Cento talleri che siano unicamente immaginati possono avere tutti gli identici predicati di cento talleri reali.
La prova cosmologica dice: se qualcosa esiste, deve esistere un Ente assolutamente necessario; ancora, io so che io esisto; dunque un Ente assolutamente necessario esiste, e questo dev’essere l’ens realissimum. Kant ribatte che l’ultimo passo, in questo ragionamento, è ancora una volta l’argomento ontologico, e che quindi è confutato da quantò è stato già detto.
La prova fisico-teologica è il solito argomento del disegno, ma in una veste metafisica. L’argomento sostiene che l’universo mette in mostra un ordine che è dimostrazione d’uno scopo preciso. Questo argomento è trattato da Kant con rispetto; tuttavia, egli afferma che alla meglio, serve a dimostrare soltanto l’esistenza d’un Architetto, non d’un Creatore, e quindi non può dare un’idea adeguata di Dio. Conclude che la sola possibile teologia della ragione è quella basata sulle leggi morali, o che cerca in esse una guida Dio, libertà e immortalità, dice Kant, sono le tre idee della ragione. Ma per quanto la pura ragione ci porti a formulare queste idee, non può dimostrare la loro realtà. L’importanza di queste idee è pratica, legata cioè alla morale.
Il ragionamento è questo: la legge morale richiede giustizia, cioè una felicità proporzionata alla virtù. Solo la Provvidenza può assicurarcela, ed evidentemente non ce l’assicura in questa vita. Quindi ci sono un Dio e una vita futura; e ci dev’essere la libertà, altrimenti non potrebbe esserci nulla di simile alla virtù.
Il sistema etico di Kant, così come è esposto nella Metafisica’ dei costumi (1785) ha una notevole importanza storica. In questo libro è contenuto l’imperativo categorico che, almeno come espressione, è familiare anche al di fuori dei circoli dei filosofi di professione. Kant vuole “ una metafisica della morale completamente isolata, non frammista ad alcuna teologia o fisica o iperfisica”. Tutti i concetti morali, continua, hanno la loro base ed origine a priori nella ragione. Un merito morale si ha solo quando si agisce per senso del dovere; non è sufficiente che l’atto sia tale quale il dovere avrebbe potuto prescrivere. Il commerciante che è onesto “perché gli conviene, o l’uomo che è gentile perché la sua indole è socievole, non sono virtuosi. L’essenza della moralità va dedotta dal concetto di legge; infatti, per quanto tutto in natura agisca secondo le leggi, soltanto un essere razionale ha il potere d’agire secondo l’idea li una legge, cioè per volontà. L’idea d’un principio obiettivo, in quanto costrizione della volontà, si chiama « comando della ragione », e la formula del comando si chiama imperativo.
Ci sono due tipi di imperativo: l’imperativo ipotetico che dice: “De vi fare così e così se vuoi raggiungere questo obiettivo così ecosì”; ecco come descrive l’imperativo categorico: “agisci come se la massima della tua azione dovesse divenire per tua volontà una legge naturale generale”.
Kant dà come esempio dell’azione dell’imperativo categorico il prender danaro a prestito, dato che se tutti tentassimo di farlo non rimarrebbe più danaro da prestare. In questa maniera si può dire che il furto e il delitto sono condannati dall’imperativo categorico. Ci sono però alcuni atti che Kant giudicherebbe senza dubbio errati ma che non possono esser dimostrati tali mediante i suoi principi, per esempio il suicidio: sarebbe possibilissimo per un uomo malinconico desiderare che tutti si uccidessero. Sembra infatti che questa massima dia un criterio necessario, ma non sufficiente per individuare la virtù. Per trovare un criterio sufficiente dovremmo abbandonare il punto di vista puramente formale di Kant, e tener conto in qualche molo degli effetti delle azioni. Kant afferma recisamente che la virtù non dipende dal risultato che l’azione si prefigge, ma solo dal principio cui l’azione stessa è informata; se si ammette questo, non esserci niente di più concreto della sua massima.
Kant sostiene che noi dovremmo agire in modo tale da trattare ogni uomo come fine a se stesso. Questa può esser considerata una forma astratta della dottrina dei diritti dell’uomo, e quindi le si possono rivolgere le stesse obiezioni. Se la si ammette per buona, diviene impossibile prendere una decisione allorché gli interessi di due persone vengono a conflitto. Le difficoltà sono particolarmente evidenti nella filosofia politica, che richiede alcuni principi, come quello di dare la preferenza alla maggioranza, per cui gli interessi di qualcuno possono venir sacrificati, se necessario, a quelli degli altri. Se deve esserci un’etica di governo, il fine del governo deve essere uno solo, e l’unico compatibile con la giustizia è il bene della comunità. È possibile però interpretare il principio di Kant come se significasse non che ciascun uomo sia uno scopo in assoluto, ma che tutti gli uomini debbano contare egualmente nel determinare le azioni delle quali molti vengono a risentire.
Spazio e Tempo secondo Kant
Kant ritiene che gli oggetti immediati della percezione siano dovuti in parte a cause esterne e in parte al nostro personale apparato percettivo. Kant non mette in dubbio che le nostre sensazioni abbiano delle cause, che egli chiama cose in sé o noumeni. Ciò che ci appare attraverso la percezione Kant chiama fenomeno. Per provare che lo spazio e il tempo sono forme a priori, Kant ha due classi di argomenti, una metafisica, l’altra epistemologica o, come egli la chiama, trascendentale. La prima classe di argomenti è preso direttamente dalla natura dello spazio e del tempo, la seconda indirettamente dalla matematica pura. Riguardo allo spazio, gli argomenti metafisici sono quattro.
1. Lo spazio non è un concetto empirico, ricavato dalle esperienze esterne, perché lo spazio è presupposto allorché si riferiscono le sensazioni a qualche cosa di esterno, e l’esperienza esterna è solo possibile attraverso la presupposizione dello spazio.
2. Lo spazio è una necessaria rappresentazione a priori, che sta alla base di tutte le percezioni esterne; perché noi non possiamo immaginare che non ci sia lo spazio, ma possiamo invece immaginare che non ci sia nulla nello spazio.
3. Lo spazio non è un concetto vago o generale insito nelle relazioni tra le cose, perché c’è solo unospazio di cui sono parti, non esempi, ciò che noi chiamiamo spazi.
4. Lo spazio è presentato come un’infinita dimensione data, che contiene in sé tutte le parti dello spazio; questo rapporto è diverso da quello tra un concetto ed i suoi esempi, e inoltre lo spazio non è un concetto.
L’argomento trascendentale riguardante lo spazio è tratto dalla geometria. Kant sostiene che la geometria euclidea è nota a priori, pur essendo sintetica, cioè non deducibile dalle figure; possiamo vedere, per esempio, che, date due linee rette che si intersecano ad angolo retto, può esser tracciata per il loro punto d’intersezione una sola linea retta ad angolo retto con entrambe. Questa cognizione, secondo Kant, non deriva dall’esperienza: ma il solo modo in cui la mia intuizione può anticipare ciò che poi troverò nell’oggetto, è quello di con tenere solo la forma della mia sensibilità, anticipando nella mia soggettività tutte le impressioni esistenti. Gli oggetti del senso debbono obbedire alla geometria, perché la geometria è legata al nostro modo di percepire, e noi non possiamo percepire in altro modo. Ciò spiega perché la geometria, benché sintetica, sia a priori ed apodittica.
Il vigore e la freschezza spirituale di Kant nella sua tarda età sono messi in luce dal trattato sulla Pace perpetua (1795). In quest’epoca Kant auspica una federazione di liberi Stati, legati insieme da un accordo che vieti la guerra. La ragione, dice, condanna aspramente la guerra, che soltanto un governo internazionale può impedire. La costituzione civile dei vari Stati dovrebbe essere repubblicana, ma Kant definisce questa parola nel senso che i poteri esecutivo e legislativo siano separati. Kant non vuol dire che non debbano esserci re; dice anzi che è più facile ottenere un governo perfetto sotto una monarchia. Scrivendo sotto l’impressione del Regno del Terrore, Kant è sospettoso della democrazia; dice che questa è necessariamente un dispotismo, dato che instaura la superiorità del potere esecutivo. Il cosiddetto popolo tutto che porta a compimento i propri progetti, è in realtà non “tutto”, ma solo una maggioranza: cosicché la volontà universale è in contraddizione con se stessa e col principio della libertà. Il modo di esprimersi mostra l’influsso di Rousseau, ma l’importante concetto di una federazione mondiale come mezzo per assi curare la pace non è derivato certo da Rousseau.