La pace d’Augusta del 1555, basata sul cuis regio eius religio, per cui i sudditi di uno stato dovevano abbracciare la fede del loro sovrano, aveva lasciato aperto il conflitto religioso in Germania.
A complicare le cose c’era l’instabilità degli stessi Principi. L’elettore palatino Federico III fu un arrabbiato calvinista; il figlio Luigi si fece luterano; il fratello Giovanni Casimiro ripristinò la fede paterna. Milioni di tedeschi erano in balìa della fede dei loro capricciosi sovrani.
Ma la diatriba religiosa non era la sola causa del caos tedesco. Ciascun principe germanico sognava di cingere la corona di Sacro Romano Imperatore, anche se da secoli non era più che un simbolo, per inseguire l’impossibile chimera di una restaurazione carolingia. Ciascuno mirava al solo ingrandimento del proprio territorio a spese di quelli vicini e rivali.
All’interno di questi mini-reami c’era una gran baraonda e le leggi di successione, incerte. I Principati nascevano come funghi, c’erano le cosiddette città libere sottoposte alla giurisdizione puramente formale dell’Imperatore. C’erano i feudi della Chiesa, in mano ai Principi-Vescovi, indipendenti da tutti anche dal Papa. C’erano i liberi cavalieri come Gotz von Berlichingen, che si vantava di obbedire solo a Dio, all’Imperatore e a se stesso. E c’erano infine delle enclaves in mano a sovrani stranieri. Il re di Danimarca, per esempio, era duca dell’Holstein, quello di Spagna dominava il Circolo Burgundo, cioè le zone renane.Alla vigilia della Guerra dei Trent’anni milioni di tedeschi erano governati da più di duemila autorità diverse, in perpetuo conflitto fra loro.
L’Imperatore, la cui sovranità era puramente nominale, poteva teoricamente convocare la Dieta, l’unico organo qualificato a legiferare ma le rare volte che queste assise si riunivano non combinavano niente e la Dieta finì per perdere autorità e prestigio. In mancanza di leggi nazionali, funzionavano quelle locali, che aggravavano le divisioni interne.
L’Imperatore era in pratica “prigioniero” dei sette grandi elettori. Tre, quelli di Magonza, Colonia e Treviri, erano vescovi; quattro, quelli di Boemia, del Palatinato, della Sassonia e del Brandeburgo, erano laici. I loro poteri erano enormi. Eleggevano l’Imperatore e questi era tenuto a consultarli nelle questioni più gravi come per la convocazione della Dieta, l’imposizione di una nuova tassa, la confisca di un territorio, la ratifica di un’alleanza, la dichiarazione di una guerra.
Il paese era spezzettato, privo di una società con gerarchie rigide come nell’età feudale. I nobili se ne stavano arroccati nei loro manieri, ignoranti e refrattari ad ogni novità. Vivevano di rendite e gabelle, e alle volte anche di rapine. I borghesi, per lo più commercianti, artigiani e piccoli industriali, sfruttavano il popolo; il clero campava di decime ed elemosine.
La moralità pubblica e privata lasciava molto a desiderare. Il vizio era diffuso in tutte le classi e le leggi contro gli eccessi non venivano applicate. Già da tempo la Francia e la Spagna tenevano d’occhio il deterioramento della situazione tedesca.