Le fazioni nobiliari
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in politica barocca
La nobiltà nel continuo esercizio del potere, della sua conquista e contro le pressioni del popolo e del re contro i privilegi, cercava di dare di se un'immagine unitaria ma di fatto era impossibile: la competizione continua per il potere spesso faceva sì che rivalità di antica data si tramandassero di generazione in generazione, esplodendo con violenza ogni volta che su di esse veniva ad innestarsi un nuovo motivo di conflitto.
All’inizio del Cinquecento, in Castiglia, le tensioni che da tempo immemorabile opponevano tra loro le grandi famiglie feudali e le rispettive clientele furono alla base della rivolta dei comuneros. Alla fine del secolo lo scontro che si svolse all’interno del Consiglio di Stato dell’Impero spagnolo vide sommarsi ragioni politiche immediate a contrasti che risalivano al 1520. A due generazioni di distanza, la lotta politica si avvaleva ancora di una retorica legata a quegli avvenimenti: Luis Enrique de Cabrera y Mendoza, ammiraglio di Castiglia, si dichiarava convinto che il potere fosse nelle mani di uomini i cui padri si erano schierati con i rivoltosi e che ora cercavano di vendicarsi della sconfitta subita. E le famiglie toledane degli Ayala e dei Ribeira, imparentate con i casati che cercavano di prevalere a corte, soffiavano sul fuoco delle ostilità per continuare a combattersi come avevano fatto nel 1520, quando gli uni avevano sostenuto i comuneros e gli altri li avevano osteggiati.
Anche in Francia, le adesioni ad uno dei due fronti che si contrapposero nel corso delle guerre di religione furono spesso all’origine di schieramenti destinati a pesare sulle lealtà successive. La posizione assunta nei confronti della Lega cattolica aveva influito in maniera determinante su molti destini familiari e individuali fino alla metà del Seicento. Furono gli ambienti che alla fine del Cinquecento si schierarono per Enrico IV contro la Lega a fornire, qualche decennio più tardi, i più fedeli seguaci di Richelieu e i più leali servitori della monarchia durante la Fronda.
Questi conflitti si ritrovano anche in Austria dove l’antica nobiltà aveva aderito in misura massiccia alla riforma. La rivalità con le famiglie cattoliche, costantemente privilegiate dai sovrani nella concessione di cariche ed onori, spinse i casati protestanti a schierarsi a fianco dei boemi nella rivolta del 1620 e a rinunciare in seguito alla partecipazione alla vita di corte per ritirarsi nei propri possedimenti, da dove i loro esponenti più illustri esaltarono le virtù della campagna contro la corruzione della capitale.
Opposti schieramenti, all’interno dei quali le ragioni familiari si sommano e si intrecciano a quelle politiche, si incontrano anche in Inghilterra, dove una inimicizia più che secolare divide gli Howard e i Dudley, o nel regno di Napoli, dove la rivalità tra le antiche famiglie feudali di ascendenza angioina e la «nuova» nobiltà creata dagli aragonesi si accompagna, anche a distanza di più generazioni, alla rispettiva adesione al partito filofrancese e a quello filospagnolo.
Le ribellioni dei nobili e l'accentramento del potere regio non è da vedersi solamente come una contrapposizione di potere entrambi i contendenti in gioco agivano all'interno del codice culturale feudale. Richelieu e Mazzarino furono innovatori ma per perseguire i propri scopi agivano con doppio gioco e in modo appariscente per distruggere il nemico pubblicamente, teatralmente. Non agivano quindi contro il sistema ma con le regole del sistema.
Per esempio nel 1632 Richelieu decise di eliminare politicamente il duca d’Épernon, governatore della Guyenne, uno degli uomini più potenti del suo tempo. Per ottenere il suo scopo, egli lo attirò in una controversia cerimoniale con l’arcivescovo di Bordeaux e fece poi in modo che la disputa si concludesse con il trionfo di quest’ultimo. La reputazione del duca ne fu compromessa e, per tener fede al proprio codice d’onore, egli fu costretto ad abbandonare ogni incarico e a ritirarsi dalla vita pubblica.
Luigi XIV si dimostrò ancora più abile dei suoi predecessori nel manipolare la cultura cavalleresca a sostegno di una politica assolutistica. Poiché l’ansia di preminenza dei grandi e le rivalità che ne derivavano sopravvivevano intatte al trasferimento a corte della nobiltà francese, i concetti di onore e di privilegio offrirono al re il mezzo per tenere tutti costantemente sospesi al suo buon volere. La vita di corte, inoltre, faceva sì che la competizione si spostasse dalle controversie giurisdizionali ai conflitti di etichetta, ovviamente molto meno distruttivi per la compagine sociale e immediatamente controllabili dal re.
Tra la metà del Seicento e l’inizio del secolo successivo, la pratica politica della nobiltà aveva subito radicali trasformazioni in tutta l’Europa occidentale e centrale, e ovunque in questa area i nobili erano statiaddomesticati.
fonte scientifica e per approfondimenti:La Feudalità in età moderna di Renata Ago, Laterza 1994