Parlamenti e Consigli feudali
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in politica barocca
Lo storico Boutruche definisce il sistema feudale come un’organizzazione sociale e politica fondata su vincoli privati di natura particolare, sulla catena di fedeltà legate all’omaggio vassallatico.
Durante i secoli la perdita di valore dei vincoli tradizionali ne ha affermati altri di tipo clientela- reristrutturando le relazioni sociali e il sistema politico.
La nobiltà feudale occupa le posizioni intermedie della gerarchia, ed è in grado di svolgere un ruolo politico sia verso l’alto, in relazione con la corona, sia verso il basso in rapporto con i propri vassalli. Tale ruolo può essere di volta in volta solidale o antagonistico, a seconda delle circostanze e degli interessi in gioco.
I Parlamenti
Oltre all'auxilium dell'aiuto militare il vassallo era tenuto a fornire il consilium al re che era ritenuto dai baroni primus inter pares, nei secoli dai consigli informali si è passati a forme istituzionalizzate di rappresentanza e partecipazione politica.
Composizione e prerogative variavano da Stato a Stato e anche da provincia a provincia. Le assemblee potevano per essere costituite da due o da tre camere. I sistemi tricamerali erano diffusi nelle regioni che erano state al centro dell’Impero carolingio, in Francia, nei Paesi Bassi e nella maggior parte dei principati della Germania occidentale, ma anche nella penisola iberica e in Italia meridionale. I sistemi bicamerali si erano invece affermati soprattutto nelle aree periferiche rispetto all’Impero, in Inghilterra, Ungheria, Boemia, Polonia e nei principati tedeschi orientali.
La composizione delle camere distingueva i nobili da clero e sudditi in modi differenti, agli Stati Generali di Francia del 1614 su un totale di 187 deputati del Terzo stato c’erano ben 31 nobili e 72 proprietari di signorie, questi ultimi erano quindi nobili ed ecclesiastici minori esclusi dalla camera dei nobili e da quella del clero.
Ogni aiuto straordinario, da parte del re, non poteva essere richiesto senza il consenso dei vassalli che erano tenuti a prestarlo ma la partecipazione era anche un dovere. Ricevere il consiglio dei propri vassalli era un privilegio del signore, la partecipazione era manifestazione di fedeltà.
Il Parlamento più antico d’Italia, quello siciliano rivolgeva continue petizioni al re perché obbligasse la nobiltà e il clero a prender parte alle sue assise o perché almeno limitasse il numero delle deleghe. Ma il successo delle richieste era generalmente nullo: all’assemblea del 1656 erano presenti 9 prelati su 50 e 17 nobili su 72 .
Il disinteresse della nobiltà facilitava di fatto la politica «assolutistica» dei sovrani che tendeva a sviluppare il più possibile forme di prelievo ordinarie, che non richiedessero il consenso dei ceti. La convocazione degli «stati» era infatti sempre potenzialmente pericolosa, perché essi tendevano a subordinare la concessione di nuovi sussidi a rivendicazioni politiche di vario genere.
In Francia gli Stati Generali furono riuniti nuovamente nel 1614 e si è avuta la Fronda e l'ultima volta prima del fatidico 1789.
I magnati del regno ne avevano reclamato la convocazione, fidando nel fatto che la debolezza della monarchia avrebbe consentito una agevole restaurazione della loro egemonia sociale e politica. La nobiltà feudale si sentiva minacciata dalla crescita del corpo degli ufficiali e dalla «concorrenza» della fiscalità regia.
Le assemblee dei ceti dei territori asburgici erano relativamente potenti: in Bassa Austria, per esempio, le «camere» dei signori e dei cavalieri sono riuscite ad imporre il proprio controllo sull’ammissione di nuovi membri, e sono quindi in grado di influire sul processo di nobilitazione, che altrove è interamente nelle mani del sovrano. L’imposizione e la riscossione dei tributi spettano alla Dieta che deve essere convocata regolarmente.
La scarsa fiducia della nobiltà nelle prerogative politiche formali e la sua preferenza per altre modalità di partecipazione al potere si ritrovano in molti Stati europei. Il Parlamento napoletano, che aveva avanzato rimostranze contro l’eccessivo carico fiscale, fu convocato per l’ultima volta nel 1642. Quello siciliano sopravvisse più a lungo, ma la sua reale capacità di incidere sulle scelte politiche era assai scarsa. Solo in Sardegna il Parlamento assunse un ruolo di rilievo, spingendosi, nel corso delle ripetute crisi tra corpi sociali e viceré, fino a contestare la nomina di Spagnoli alle cariche pubbliche e a rivendicare un ampliamento dei diritti nobiliari di giurisdizione, avanzando inoltre una serie di richieste di privilegi commerciali: la nobiltà si schierava con i ceti urbani, con i quali condivideva interessi ed obiettivi, e utilizzava consapevolmente le istituzioni parlamentari per conferire legittimità alle proprie rivendicazioni.
Il disinteresse dei grandi nobili, incapaci di adottare tattiche per sostenere le proprie rivendicazioni, fece sì che le politiche assolutistiche di molti sovrani avessero buon gioco nei confronti delle assemblee rappresentative.
I Consigli
Il Consiglio del re è un altra prerogativa formale politica dell'alta nobiltà. Diffusa è la richiesta che a far parte delle istanze superiori del governo e dell’amministrazione siano soprattutto gli esponenti della più alta nobiltà. In Francia i grandi del regno approfittano di ogni debolezza della monarchia per far valere il proprio diritto ad «assistere» il re e a far parte del Consiglio di Stato o per strappare un nuovo brevetto di nomina a consigliere. Solo Luigi XIV metterà fine a queste pretese, estromettendo la famiglia reale dal Conseil d’en haut,dopo che Mazzarino era riuscito ad imporre il principio che il Consiglio di Stato fosse esclusivamente composto da magistrati, riducendo drasticamente il numero dei membri nobili ed ecclesiastici.
I nobili rivendicavano ed esprimevano in loro stessi una fiducia innata nelle loro capacità di governo e volevano metter naso negli affari di stato. In Francia come in Inghilterra sono molti i tentativi della nobiltà di far passare questa ideologia del potere, durante le guerre di religione in Francia i nobili provarono, tramite un pamphlet, di fissare il principio costituzionale della nobiltà e ci riprovarono all'inizio del 700 durante il regno del reggente dopo la morte di Luigi XIV.
fonte scientifica e per approfondimenti:La Feudalità in età moderna di Renata Ago, Laterza 1994