La religione naturale nel settecento
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in religione barocca
La minaccia di gran lunga più profonda e estesa ai sistemi religiosi dell’Europa occidentale, fu quella rappresentata dalla concezione della « religione naturale ».
I postulati della religione naturale
Essa si basava su due postulati. In primo luogo gli aderenti davano per scontato, come tutti i credenti, che l’universo fosse opera di Dio. Più particolarmente credevano che l’origine divina dell’universo fosse rivelata dalla simmetria e dalla regolarità del suo funzionamento, dal suo evidente obbedire a certe leggi semplici e universali. Le scoperte scientifiche, soprattutto quelle di Newton, contribuirono a convalidare e far conoscere questo postulato, concorrendo a diffondere la convinzione che lo studio del mondo fisico, e non lo studio delle opere dei teologi ortodossi o anche dei padri della Chiesa, era il passaporto per la conoscenza della vera religione. In secondo luogo, elemento forse più importante, il principio della religione naturale sottintendeva che ci fossero idee religiose innate in ogni uomo, dal carattere intuitivo e universale: come la consapevolezza dell’esistenza di Dio, la convinzione che l’uomo sarebbe stato premiato o punito in una vita futura per la sua condotta terrena, e che si dovesse obbedire a certi fondamentali doveri nei confronti di Dio e del prossimo.
Incompatibilità con la religione rivelata
Credenze del genere, anche se spesso formulate in termini molto vaghi, ebbero in quel periodo considerevole influenza all’interno delle chiese ufficiali dell’Europa occidentale. In Francia, soprattutto, furono esaminate a fondo da diversi studiosi gesuiti. Nondimeno, intaccavano le radici stesse dell’ortodossia, cattolica come protestante. Il continuo manifestarsi di Dio in un universo che la scienza poteva descrivere e misurare pareva menomare, addirittura distruggere, il significato dell’atto speciale della rivelazione. La religione naturale era perciò implicitamente avversa alla religione rivelata, e perfino al concetto di un Dio personale. Così l’abate Camier, gesuita, poteva affermare, in un testo pubblicato nel 1769, che « la legge naturale ha forza vincolante indipendentemente dall’esistenza di Dio », e che « i principi morali sono obbliganti indipendentemente dall’esistenza di Dio ». La religione naturale, inoltre, contraddiceva alla pretesa delle varie chiese di essere depositarie esclusive della verità.
Il prevosto della cattedrale di Berlino poteva addirittura dire, verso la fine di questo periodo, che gli ebrei erano « veri cristiani », in quanto credevano in Dio, nella virtù e nella immortalità. Molti contemporanei avrebbero accettato i postulati che erano alla base di questi enunciati, anche se un po’ sgomenti per la chiarezza con la quale venivano espressi. Inoltre, se l’uomo veniva al mondo avendo già nel cuore tutte le credenze essenziali per salvarsi, qual era allora in realtà il valore dei sistemi teologici e delle complicazioni dogmatiche, delle elaborazioni liturgiche e cerimoniali di cui erano incrostate - quale più quale meno - quasi tutte le chiese esistenti? La religione naturale perciò tendeva a essere indifferente alle esteriorità della fede e del culto. Era ostile anche alla teologia tradizionale, che era portata a considerare semplicemente come terreno di coltura di diatribe insignificanti e vane.
La religione naturale e i popoli non cristiani
Questi sentimenti, inoltre, erano alimentati dal crescente interesse verso i popoli non europei e dall’ammirazione che molti provavano per essi; I sentimenti religiosi innati e le aspirazioni postulate dalla religione naturale erano uguali per tutti gli uomini. Tutti si trovavano nello stesso rapporto con Dio. Perché allora un bramino o un confuciano virtuosi dovevano essere considerati spiritualmente inferiori a un cristiano? Non veneravano tutti lo stesso Dio? Non era possibile che i cristiani avessero da imparare dallo studio dei libri sacri delle altre religioni, che adesso cominciavano ad essere tradotti nelle lingue europee?
La religione naturale e gli intellettuali
Un cristianesimo ripulito di tutti gli elementi corrotti accumulatisi nel corso dei secoli e riportato alla primitiva purezza, un cristianesimo dai dogmi ridotti all’essenziale e semplificati al massimo, liberato dal potere e dall’arroganza dei preti e dalla teologia che il potere sacerdotale aveva creato: questa fu la visione che apparve molto allettante a parecchi pensatori del diciottesimo secolo. La religione naturale, assieme al deismo e al latitudinarismo che generò, ebbero in questo periodo più influenza in Inghilterra che nelle altre regioni europee. Nei primi decenni del secolo tutta una galassia di abili autori — David Hume, Samuel Clarke, Thomas Woolson, Matthew Tindal e altri — esponendone le idee minarono dogmi e enunciati che da generazioni erano moneta corrente dell’anglicanesimo. Poi Joseph Priestley, unitariano e grande scienziato, propose nella History of the Corruptions of Christianity (1782) di purificare la fede cristiana da tutte quelle dottrine che gli ortodossi consideravano essenziali: trinità, peccato originale, espiazione, predestinazione, e altre ancora. In Germania le idee del filosofo Christian Wolff, uno dei più influenti personaggi della vita intellettuale della prima metà del secolo, presentavano considerevoli affinità con quelle dei suoi contemporanei deisti in Inghilterra e furono causa della sua espulsione dalla cattedra dell’università di Halle, decisa da Federico Guglielmo I. Soprattutto le opere di Voltaire devono essere considerate, dal punto di vista religioso, come una ininterrotta perorazione a favore del deismo e della religione naturale, perorazione di solito superficiale, ma quasi sempre brillante ed efficace.
Le nuove idee confinate nel nord Europa
La religione naturale, il deismo, la tolleranza, l’avversione per la tradizione e il dogma costituirono solo una parte della vita religiosa dell’Europa del diciottesimo secolo. Si limitarono in buona parte a pochi stati occidentali, soprattutto alla Gran Bretagna, alle Province Unite, alla Francia e ad alcune zone della Germania. In Spagna, Portogallo, gran parte dell’Italia e dell’Impero Asburgico si svilupparono molto più lentamente ed ebbero un’influenza di gran lunga più ridotta. Nella cristianità ortodossa si può dire non esistessero. In complesso furono il prodotto di stati che sentirono gli effetti benefici di un affrancamento intellettuale prodotto dalle scoperte scientifiche e geografiche, di società che avevano un ceto medio colto e abbiente e un’aristocrazia di mentalità liberale. Dove tali fattori erano di scarso peso o mancavano, quelle idee ebbero difficoltà a mettere radici.