Le donne d’Arcadia
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in letteratura barocca
Non vi erano donne fra i quattordici fondatori d’Arcadia che si riunirono il 5 ottobre 1690 nel giardino dei Francescani a San Pietro in Montorio e non vi furono nemmeno fra i sei compastori aggregati nella stessa occasione. Ragioni di chiostro, di prelatura e di tutela, impedirono all’inizio una frequentazione femminile.
Partite con uno zero di presenza istituzionale, le donne avevano però a loro favore una buona carta: la presenza di una donna eccellente, al di là del proprio sesso, era una consuetudine consolidata nelle accademie secentesche dove era in uso una nomina onoraria, che non implicava una reale frequentazione, ma un pubblico riconoscimento simile a un dottorato. Si trattava di una presenza femminile più simile a un emblema che a un reale ingresso nell’accademia.
Fino alla fine del secolo, le aggregazioni femminili ebbero soprattutto un carattere rappresentativo, quasi un’onorificenza concessa per ragioni diplomatiche, parentali e di patronage. La presenza femminile comunque, non doveva costituire un problema da regolamentare, se nelle leggi formulate dal Gravina nel 1696 non se ne trova cenno. L’assenza di riferimenti, sia pure di cortesia, fa pensare che fra il pubblico non vi fossero pastorelle. Non fu quindi la legge accademica a imporre un costume, ma una nuova forma sociale.
Le prime donne d'Arcadia
Il mutamento avvenne fra il 1695 e il 1699, quando entarono a far parte dell’Arcadia la contessa Prudenza Gabrielli Capizucchi e Maria Casimira Sobieska, entrambe residenti a Roma, provviste di dimore, di parentele e di rapporti diplomatici di prestigio. Quello di Maria Casimira era, anche dal punto di vista diplomatico, un caso a sé. Si trattava di un’illustre esule che tentava di ripetere in Arcadia il ruolo che era stato di Cristina di Svezia, con una corte in concorrenza con quelle cardinalizie e rapporti privilegiati che passavano attraverso il pontefice e gli ambasciatori stranieri. Per lei, che era stata regina di Polonia e aveva manovrato per conservare il regno, le frequentazioni erano strumenti fondamentali per i suoi progetti politici. L’Arcadia le offriva due vantaggi: il prestigio consolidato e le reti di rapporti allargate oltre Roma.
La presenza a Roma di Casimira poteva offrire all’intera accademia le sale prestigiose del palazzo dove ella aveva fissato la sua residenza. Poco importa che la presenza della Sobieska sia stata transitoria.Importa invece che la funzione di una donna dotata di un palazzo principesco, da cui dipendeva la gestione dell’onore del casato, la selezione degli inviti e il tono delle cerimonie, si sia fatta strada nel costume romano, maschilista ed ecclesiastico per tradizione.
La prima delle romane residenti, ammesse in Arcadia fu invece Prudenza Gabrielli Capizucchi, nipote del cardinale Giulio Gabrielli e cognata del cardinale Galeazzo Marescotti. Fu questa una mossa destinata ad avere ripercussioni sul futuro immediato dell’accademia, perché il salotto di Prudenza divenne il centro di aggregazione femminile delle prime donne d’Arcadia: Petronilla Paolini Massimi e Faustina Maratti, che aprirono a loro volta salotti letterari.
Nel 1700, a dieci anni dalla fondazione, le aggregazioni femminili in Arcadia erano divenute una ventina e soprattutto le dame realmente residenti a Roma avevano mutato il modello delle riunioni. Fu allora che per la prima volta il custode generale pose pubblicamente il problema delle donne in accademia: fu così sancita per tutti un’età minima (ventiquattro anni) e la nobiltà dei costumi. Ma mentre per gli uomini era prescritto «l’esser cognito per erudito almeno in una delle scienze principali», alle dame si richiedeva di più e cioè «che attualmente professassero la poesia». Professare era verbo soft, che indicava che alle donne non si chiedeva la produzione ma la frequentazione, il consumo, l’uso sociale della cultura.
Del resto l’erudizione era impossibile per un sesso escluso da regolari corsi di studi, dalle università e, fino a quel momento, dalle accademie, mentre la scrittura poetica costituiva quasi un obbligo nella vita di società, un’abilità artigianale.
L’Arcadia, anche in questo più moderna delle accademie mirava a un’elite femminile capace di maneggiare gli strumenti della socializzazione e per questo scelse una misura più “mediocre” per distribuire le sue patenti. Più modestamente mirava alla diffusione del buon gusto.
Nei salotti d’Arcadia si conversava, si ascoltava musica, si recitavano e si cantavano testi propri e altrui, si giocavano giochi di parola che richiedevano scioltezza di linguaggio e capacità di improvvisare. Per questo l’accademia pretendeva non un diploma di poetessa, ma la destrezza di comunicazione. Il limite d’età salvò l’Arcadia dal flagello delle bambine prodigio e costituì anche una selezione importante per le future pastorelle: non giovinette in attesa delle nozze, ma padrone di casa pronte ad aprire col marito le sale di ricevimento. Era una realtà che corrispondeva approssimativamente al lancio che, in quegli anni, tutta l’Arcadia romana promuoveva dei coniugi Zappi e del loro salotto, aperto da poco ma già frequentatissimo. Sposati dal 1705, arcade fondatore lui, pastorella all’inizio della celebrità lei, i coniugi Zappi avevano aperto il salotto più nuovo di quegli anni: il salotto borghese di un avvocato concistoriale di grido e di una donna dalla nascita irregolare, figlia di un pittore celebre, da poco legittimata e uscita da una brutta storia di rapimenti e di sesso col giovane duca Gian Giorgio Sforza Cesarini. E, sopra tutta questa vicenda vi era la volontà risolutoria e pacificatoria del cardinale Ottoboni e di Clemente XI. L’ammissione in Arcadia significò anche questo per Faustina Maratti Zappi: il riconoscimento pubblico di un’innocenza da molti contestata e sottoposta a ripetuti processi. Il lancio del suo salotto costituì una patente di buoni costumi e la riparazione di un torto subito.
Le pastorelle della prima Arcadia erano però tendenzialmente colte dame coniugate, dall’onestà comprovata, che aprivano i loro salotti a una conversazione letteraria. In breve non vi fu posto per le avventuriere, per le trasgressive, per le libertine. E comunque l’unico modello statuario e inaccessibile rimaneva la defunta Cristina di Svezia e l’altra regina esule, Maria Casimira Sobieska. Entrambe rimasero a lungo le uniche donne eccezionalmente acclamate. Alle donne, infatti, in base alle leggi del 1700, non era concesso l’ingresso in Arcadia per acclamazione, che si concedeva soltanto ai principi, agli ambasciatori e ai regnanti. Anche in questo l’Arcadia mutò. Le prime acclamazioni femminili, dopo la partenza della regina vedova di Polonia, si ebbero a partire dagli anni venti e si fecero più frequenti di mano in mano che le ragioni della diplomazia portavano a Roma personaggi di rilevanza internazionale, fra cui molte donne. Anche in questo il Crescimbeni diede l’avvio: nel 1716, terza dopo le grandi sovrane, fu acclamata Violante di Baviera (Elmira Telea),governatrice di Siena; nel 1720 fu la volta di Ricciarda Gonzaga Cybo (Olinda Anoneia), duchessa di Massa ed erede del feudo di Novellara. Nel 1728 toccò a Giacinta Orsini Ruspoli (Cassandra Corinea), nipote del regnante pontefice Benedetto XIII. L’Arcadia divenne così una sorta di sede diplomatica d’accoglienza e d’incontro dotata di extraterritorialità.
Le eccellenze letterarie
Ma il mutamento più rilevante si ebbe quando alla condizione di arcade acclamata fu dato un riconoscimento d’eccellenza letteraria. Il caso più famoso è quello dell’improvvisatrice Corilla Olimpica, cui venne concessa la nobiltà romana per meriti letterari, con clamore di cerimonie ufficiali. Ammessa in Arcadia fin dal 1753, Corillanon soltanto fu acclamata nel 1773, ma l’anno seguente fu incoronata in Campidoglio con una cerimonia che destò entusiasmo e riprovazione e perfino un piccolo scisma interno. Un caso paradigmatico misto di osanna e di sarcasmo. Corilla fu esaminata in Arcadia e improvvisò a soggetto davanti a un pubblico che si lasciava contagiare dall’entusiasmo della declamazione. Improvvisatrice, poetessa di corte, donna di spettacolo, avventuriera, Corilla Olimpica sul piano del gusto rappresenta il passaggio dall’Arcadia del Metastasio all’Arcadia filosofica. Sul piano del costume letterario invece, fu la prima a lanciare con successo una nuova immagine di donna letterata: non più dama dilettante, pupilla di eruditi, salonnière, bensì una professionista dell’improvvisazione agganciata al mondo della politica e della cultura militante.
Una vicenda simile ma scarsamente nota è quella di Maria Domenica Mazzetti. Maria era una contadina analfabeta quando fu scoperta da Violante di Baviera che la volle a corte per i suoi talenti di improvvisatrice. Qui iniziò a leggere e a scrivere, imparò il latino, la musica, le buone maniere: le fu impartita una educazione completa che arricchì le doti naturali. Inserita nella famiglia granducale dalla sua protettrice, si sposò regolarmente, ma continuò a esercitare nella corte-salotto di Lappeggi la poesia estemporanea, gareggiando col principe degli improvvisatori, il coltissimo e laureato Bernardino Perfetti. Accolta in Arcadia nel 1725 col nome di Flora, fece dimenticare il primo soprannome che era il popolaresco Menichina di Legnaia e finì anch’essa per tributare il suo omaggio all’incoronazione di Corilla.