Le origini
Jean de La Fontaine nacque il 1621 a Chateau Thierry, nella Champagne. Studiò teologia e diritto e divenne maestro delle foreste e delle acque come il padre. Nel 1647 sposa Marie Hericart quattordicenne da cui si separa per motivi di lavoro, spinto dall’amore per le lettere divenne un uomo di Nicolas Fouquet, potentissimo ministro sotto il giovane Luigi XIV. Caduto in disgrazia Fouquet anche La Fontaine fisse un travagliato periodo sostenuto però da generosi amici quali la Duchessa di Orleans. Nel 1683 venne eletto all’Academie française con l’approvazione di Luigi XIV. Mori nel 1693.
Alla corte del re Sole
Emigrato a Parigi per amore della letteratura e del successo conservò sempre un modo di fare poco elegante, i contemporanei lo descrivo pesante nella conversazione, elogiatore senza scrupoli del re, come quando osanno Luigi XIV per la revoca dell’editto di Nantes. Ebbe molti protettori, in particolare nobildonne come Madame de la Saliere. Non tutte le sue opere furono accolte con successo, anzi, eccezion fatta per le favole. Madame de Sévigné scrisse in merito ad alcuni suoi scritti: Vorrei fare una favola che gli facesse capire quant’è miserabile forzare il proprio spirito a uscire dal suo genere… Bisogna che egli non esca dal suo talento.
Scrisse anche per il teatro ma Psyché fu accolta da pochissimi ammiratori ed ancor peggio Daphné fu rifiutata da Jean Baptiste Lully. Fu certamente capace e rinnovatore dal complesso stile tanto da riprendere la poesia di Sarasin ma anche di Giovan Battista Marino, tuffarsi nel rinascimento ma adeguarsi al linguaggio alla moda di corte. La sua poesia snellisce il discorso rigido della poesia riuscendo a produrre seicento alessandrini a rima baciata, sullo sfondo sempre epicureo ma velato di tristezza.
Le favole
I suoi capolavori rimangono senza dubbio le favole che elevò dalla posizione didascalica donando leggerezza e freschezza quasi acerba, ma dalla musicalità moderna.
Fu un narratore vivace, intelligente e fine umorista dotato di gran gusto per le sfumature che lo rendevano prezioso nei componimenti e prezioso a chi lo proteggeva.
Le favole sono raccolte in dodici volumi e composte tra il 1669 e il 1693 rinnovando la tradizione di Esopo rappresentando la commedia umana tramite simboli e personaggi animali che con ironia diventano specchio di un epoca.
Il Cervo che si specchia nell'acqua
D'una fonte nel liquido cristallo,
con suo dolore ed ira
esclama un Cervo, mentre si rimira:
Quale contrasto, oh vedi,
fra la mia testa e i piedi!
Mentre le corna i bei rami dispiegano
come una selva, ahimè!
i piedi sono asciutti come legni,
per quel ch'io veggo, e non degni di me.
Un can, mentr'ei si duole,
uscendo a un tratto, tronca le parole.
Il Cervo presto, via,
nei boschi per un pezzo si fuggìa.
Se non che noia e danno
le belle corna a un bel fuggir gli fanno,
inutil benefizio
che in testa gli regala il Cielo ogni anno,
e che de' piedi intralciano il servizio.
Questo Cervo, che si specchia
alla fonte, ti fa prova
di non poche genti insane,
che disprezzan ciò che giova
per amor di cose vane.
Il Sole e le Rane
Celebrando un tiranno i suoi sponsali,
beveva e allegro schiamazzava il popolo,
affogando nel fiasco i vecchi mali.
Esopo sol, si narra,
allora dimostrò con una favola
ch'era sciocca la gente a far gazzarra.
Volendo il Sole, ei disse, or non so quando,
pensare a prender moglie,
un grido miserando
nel regno delle Rane si levò.
- Chi può sottrarci al danno, -
dicean le Rane, -
alla cattiva Sorte,
se de' figlioli al Sole nasceranno?
Se brucia tanto un Sole,
che non splende nemmeno ogni mattina,
figuratevi voi mezza dozzina!
L'unico bel guadagno
sarà che moriranno
le canne e i giunchi e seccherà lo stagno.
Addio, ranocchi! svaporato il mondo,
sarem ridotte dello Stige in fondo.
Mi pare, a mio buon senso naturale,
che per ranocchi non parlasser male.
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