Giochi e passatempi
Scritto da Laura Savani. Pubblicato in mirabilia
La Roma barocca offriva con le sue molteplici feste, non poche distrazioni. Il clima mite della città permetteva ai molti sfaccendati di trascorrere le giornate nelle strade e nelle piazze, dove non mancavano i passatempi.
Nei pressi di Piazza del Popolo, lungo le mura Aureliane si riunivano i giocatori di rotella, un gioco che richiedeva abilità e forza di braccia.La rotella, veniva avvolta con una cinghia di cuoio e scagliata, dopo ampi giri, verso il bersaglio. Vinceva chi si avvicinava di più al bersaglio con il minor numero di colpi. Il gioco era un continuo pericolo per chi passeggiava lungo le mura, ma non era nulla se rapportato al fastidio provocato dal gioco delle bocce.
Il gioco delle bocce era diffuso un po’ ovunque a Roma, anche nelle strade più frequentate. Molti abbandonavano temporaneamente le loro botteghe per fare la loro partita rotolando le bocce tra schiere di curiosi, per riprendere poi il lavoro. Questo gioco era così amato che nemmeno la canicola distoglieva gli appassionati.
Un altro grande passatempo era il pallone: appena potevano, bottegai e artigiani abbandonavano i loro affari e per circa un’ora non pensavano che a divertirsi e a giocare.
In estate le persone non rinunciavano a godersi il fresco per le strade fino alla mezzanotte e in quelle sere d’estate, le vie e le piazze risuonavano di canti e di chitarre; secondo la testimonianza di Montaigne, quasi tutti, mendicanti compresi, erano in grado di suonare questo strumento.
Uno dei passatempi tradizionali più amati dai romani, era l’albero della cuccagna, che si usava piantare il primo di maggio. L’albero, alto e liscio, veniva eretto ai piedi del Campidoglio, e sulla sua cima venivano posti generi alimentari o “galanterie” come calze di seta, cappelli, nastri. Chi riusciva a raggiungere la cima, si impadroniva di tutto ed erano soprattutto i giovani a cimentarsi nell’impresa. Era un gran divertimento per i romani ma spesso attorno all’albero della cuccagna nascevano disordini e risse e Alessandro VII decise di proibire questo divertimento divenuto pericoloso.
Ma nessun papa riuscì a proibire il gioco delle carte che era uno dei passatempi più diffusi della Roma barocca. Tutti giocavano a carte: nobili e popolino, gentiluomini e servi, persino i cardinali non ne erano immuni. Tra i più umili questo gioco non comportava (per forze di cose) incovenienti rilevanti ma nei palazzi dei ricchi si giocava d’azzardo e ciò provocava sconvolgenti perdite di denaro.
A villa Caetani, a Semoneta, il cardinale de’ Medici in una sola serata perse seimila scudi d’oro; settemila ne perse il duca di Zagarolo e quattordicimila il marchese Theodoli. Nulla in confronto ai centomila persi da Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino. Ma la gran dama non ne fece un dramma e il marito, il Gran Connestabile Lorezo Onofrio Colonna saldò subito il debito della propria consorte.
Clemente XI giudicava il gioco d’azzardo “ scuola di ateismo…traffico del demonio…ozioso e miserabile dispendio delle facoltà, della buona e cristiana economia del tempo.”
La pallacorda e il bigliardo puzzavano meno di zolfo ed erano assai diffusi in quel tempo. Non erano alla portata di tutti ma erano passatempi riservati alle classi più agiate. La pallacorda, antenata dell’attuale tennis, prevedeva l’uso di palle e racchette rigorosamente confezionate ( a Roma) da un noto artigiano, Orazio, “pallacordaro al Fico”.
Il bigliardo o “gioco del trucco”, era molto di moda al tempo di Luigi XIII e di Luigi XIV. Si poteva giocare sia su un terreno levigato o reso liscio con il sapone, o sopra un tavolo ricoperto di panno verde.
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