I veleni
Scritto da Laura Savani. Pubblicato in mirabilia
L’acqua Tofana
In epoca barocca si era andata diffondendo la moda dell’ acqua tofana che prendeva il nome dalla donna che ne aveva messo a punto la ricetta; distillata da intraprendenti megere nei loro segreti laboratori era anche conosciuta con il nome di “manna di San Nicola”. Veniva largamente usata dalle mogli desiderose di sbarazzarsi di mariti ingombranti. L’acqua tofana non aveva né odore né sapore ed era tranquillamente usata senza destare sospetti nelle vittime che morivano pochi giorni dopo di morte apparentemente “naturale”.
La micidiale ricetta richiedeva due once di arsenico macinato, un “grosso” di piombo e una “foglietta” e mezzo litro d’acqua. La preparazione era semplice: “ si acciacca il piombo o l’antimonio e unito all’arsenico si mette a bollire in una pignatta nova otturata bene, che non sfiati, sino a che cali un dito, e, dopo che è stata al fuoco a bollire, la composizione dell’acqua è venuta chiara e pulita.” Il veleno veniva poi unito al vino o in una minestra. In genere provocava vomiti e dopo qualche giorno sopraggiungeva la febbre. La morte avveniva normalmente nel giro di quindici-venti giorni, a seconda che la dose fosse più o meno “gagliarda”.
In pochi anni, a Roma, le vittime furono oltre seicento, di cui però nessuno si accorse perché nel frattempo era esplosa la peste. Fu una donna a pentirsi, spiattellando tutto al suo confessore. Il tutto culminò nel famoso “processo dei veleni”, nel 1659. Le donne imputate furono quarantasei. Le maggiori imputate furono impiccate in Campo de’ Fiori. Altre imputate vennero murate nelle carceri dell’Inquisizione.
Il liquore mortifero
Il liquore mortifero venne messo a punto nel 1630. Si diceva che bastasse toccarlo per essere contagiati dal terribile morbo. Bastava schizzarlo con speciali strumenti e chi veniva colpito era colto inesorabilmente dal temuto contagio. A Roma si andò diffondendo la voce che uomini scellerati avessero portato in città quel “liquore mortifero” e lo versassero nelle acquasantiere, diffondendo in tal modo il contagio. Nessuno entrando in chiesa osava più bagnarsi la mano con l’acqua benedetta. Quando il sacrestano di S. Lorenzo Damaso scorse un giorno un povero diavolo rimescolare l’acqua santa, cominciò a gridare, provocando nella basilica un gran trambusto. Ci si accorse poi che il poveretto voleva solo bagnarsi gli occhi con l’acqua santa. Un episodio che ricorda “la storia della colonna infame” di manzoniana memoria.
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