Il cicisbeismo fu un fenomeno settecentesco esclusivamente italiano, una moda alla quale solo preti e militari potevano sottrarsi. Sulle sue origini ci sono varie ipotesi: in molti sostengono che esso sia scaturito dalla galanteria secentesca, il secolo del preziosismo, ma è sicuramente la tesi del grande scrittore Stendhal la più attendibile: egli si convinse che il fenomeno fosse nato in Spagna e che gli italiani ne avessero assimilato l’uso durante la dominazione spagnola tra cinque e seicento. Leggendo, infatti, le novelle di Matteo Bandello (1540 circa), si scopre che ogni signora aveva un suo braccere, un cavaliere addetto a porgerle il braccio in assenza del marito.
Il fenomeno del cicisbeismo si diffuse soprattutto al nord e in origine la presenza del cicisbeo fu più che altro un modo per protteggere le donne sposate dai male intenzionati. Spesso designato nel contratto di matrimonio, il cicisbeo veniva scelto tra parenti o amici di famiglia anche di una certa età e, comunque, si trattava sempre di un uomo che non piaceva gran che alla dama. Del resto l’usanza si mantenne sempre nei limiti della decenza: il cavalier servente poteva assistere alla toeletta mattutina della signora, quando le cameriere la pettinavano e la vestivano; l ’accompagnava a tavola, a passeggio, nei salotti, a teatro ma non passava mai la notte con lei; non va dunque confuso con la figura dell’amante.
Giuseppe Parini, nel suo poema Il Giorno, descrive magistralmente la giornata del giovin signore: ben lungi dall’insinuare che il cicisbeo potesse spingersi troppo oltre nella sua intimità con la dama, Parini ci illustra l’origine del cavalier servente con un’allegoria: Eros si era lagnato presso la madre Venere, di non poter ferire come voleva i cuori incatenati dal vincolo del matrimonio e Venere, per accontentarlo, concesse che il fratello Imene mantenesse il suo imperio sui mortali soltanto durante la notte, mentre durante il giorno Eros li avrebbe colpiti con le sue frecce. Così il giorno sarebbe stato riservato alle tenere cure dei cicisbei.
A tavola il cicisbeo sedeva accanto alla padrona di casa e a lui spettava il compito di tagliare con arte la selvaggina, di scegliere i bocconi preferiti dalla dama e di tenderle con grazia ed eleganza il coltello se la signora desiderava servire personalmente gli ospiti. Nel pomeriggio accompagnava la dama a far visita alle amiche percorrendo con lei in carrozza le vie del corso; di tanto in tanto si fermava a conversare con gli occupanti di un’altra carrozza; la sera, durante le eleganti riunioni della nobiltà, il cicisbeo era accanto alla dama al tavolo da gioco e in ogni caso va sottolineato che il marito, che nel frattempo corteggiava un’altra signora, non giocava mai con la propria consorte.
Lo scrittore satirico veneziano Clemente Bondiparla del cicisbeo in tono ironico, descrivendone la giornata in qualità di sposo supplementare, incaricato di badare alla cucina, di fare la lettura e di ricamare. Carlo Goldoni ne ha introdotti alcuni notevoli esemplari in varie commedie, tra cui La famiglia dell’antiquario, sottolineandone soprattutto i tratti ridicoli.
È importante quando si parla di signore del XVIII secolo specificare l’ambiente a cui appartenevano: la giovane della media borghesia restava più a lungo in famiglia, sempre strettamente sorvegliata e, quando diventava sposa e madre, non abbandonava più la sua casa. A Venezia le mogli dei “cittadini”, quali ad esempio i segretari della cancelleria, non avevano cicisbei, non frequentavano salotti di conversazione (casini) dove invece la nobiltà si riuniva per giocare fino a tarda notte.
A Napoli, dove il fenomeno era poco diffuso, la signora di una certa posizione sociale non avrebbe mai osato scendere in strada se non preceduta da un lacchè e seguita dappresso da una cameriera; in mancanza di domestici era uno scudiero ad offrirle il braccio quando si recava in chiesa. Quella dello scudiero esigeva “una vita irreprensibile, una fedeltà a prova di qualsiasi tentazione”. Lo scudiero poteva servire più di una signora: durante le devozioni dell’una poteva andare a prenderne un’altra e poi ricondurre a casa la prima, ma chiaramente non era un cicisbeo.
Da queste premesse sembrerebbe che gli italiani nel settecento non ordissero tutti quegli intrighi amorosi descritti da Giacomo Casanova nelle sue memorie, il quale in questo modo aveva creato una fama di abitudini libertine piuttosto esagetata.
Montesquieu riportò solo calunnie quando da Roma scriveva: « Niente di più comune dei mariti che per denaro o protezione vendono le loro mogli. Non appena una ragazza si sposa, subito si cerca il prelato o il cardinale a cui sarà…. Si dice che Ottoboni abbia dai sessanta ai settanta bastardi ». Va comunque sottolineato che per un francese era difficile poter concepire che una donna rimanesse fedele al marito ed è comunque tipico di ogni viaggiatore codificare in tal modo le prime impressioni.
Il Cicisbeo fu una figura marginale dell'aristocrazia: in genere i cicisbei erano giovani aristocratici poveri ai margini della società che intraprendevano questa carriera per poter godere di un lusso che non avrebbero mai potuto avere in altro modo. Il cavalier servente doveva seguire una rigida etichetta, vestire in modo appropriato e ricercato, esser sempre profumato e incipriato, doveva sapere le lingue e esser galante e conversare con spiritosaggine per ore sul niente. La chiesa condannava questa moda, come parte dell'aristocrazia, perchè era un segno di decadimento, un costoso orpello inutile che i grandi signori usavano come status simbol. La vita del cavalier servente era dura, interminabili ore di noia ad aspettar la dama che spesso era altera e lo trattava come schiavo. Il contratto di matrimonio tra aristocratici era per lo più una questione economica e di dinastia per cui l'amore coniugale era raro ed il marito era ben contento di lasciare la moglie con il suo cicisbeo.