La macchina di Santa Rosa
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in mirabilia
L'origine della macchina di Santa Rosa
La coreografica festività del 3 settembre in onore di Santa Rosa a Viterbo si origina probabilmente alla fine del XVII secolo: la prima fonte certa sulle celebrazioni è infatti datata 3 settembre 1686 e ci informa che vennero cantati i Vespri solenni alla presenza dei canonici del Duomo. In quella occasione il conte Sebastiano Gregorio Fani di Viterbo fu chiamato dalla curia ad organizzare delle fastose celebrazioni in onore di Santa Rosa, patrona della città.
Il Fani, nominato “Signore delle allegrezze per Santa Rosa da Viterbo”, era un mecenate delle arti che vantava egli stesso fantasia e ingegno nell'architettura: è infatti attribuito a lui stesso il progetto e la realizzazione della prima macchina portata in processione il 27 ottobre 1686.
La macchina
Il baldacchino, alto più di 10 metri e letteralmente tempestato di fiaccole e candele sorrette da putti, era realizzato in legno ed ospitava sulla sommità un statua della santa in atto penitente, rispecchiando nella ricca struttura a volute il gusto barocco dell'epoca e traendo di certo ispirazione dalle macchine scenografiche realizzate per le festività sacre da Gian Lorenzo Bernini architetto e da Pietro da Cortona decoratore nella vicina Roma.
Il trasporto di questa luminaria in movimento fu effettuato da più di 30 facchini per i quali fu istituita una confraternita apposita, riunendoli sotto un solenne sodalizio che ancora oggi viene ripetuto dagli aspiranti portatori della macchina. Anche il percorso, circa un km che si snoda attraverso il centro storico della città, e le stazioni di sosta, sono le stesse oggi come allora.
Nel 1690 la macchina fu sostituita, probabilmente per usura e per le bruciature che inevitabilmente la cera calda e le fiaccole avevano causato al legno, da quella disegnata dal costruttore Giuseppe Franceschini: da allora la macchina fu periodicamente rinnovata, cambiando nella forma che si evolveva con l'evolversi del gusto estetico ed artistico, e diventando sempre più alta, ricca e spettacolare.
Come è possibile evincere dai bozzetti e dai modellini conservati presso il museo civico di Viterbo, anche il numero di addetti al trasporto dovette aumentare esponenzialmente per sostenere il peso di strutture sempre più complesse e gravose, che oggi hanno raggiunto i 30 metri d'altezza.
Devozione e tragedia
Le cronache storiche della città di Viterbo riportano il resoconto di diversi incidenti occorsi durante il trasporto della macchina nei secoli: la massiccia presenza di frotte di devoti e visitatori, che sin dal XVII secolo erano richiamati nella cittadina dalla sontuosità ed unicità della celebrazione, ha aggravato il bilancio di incidenti che in alcuni casi hanno trasformato la festa in vera tragedia.
Più di una volta infatti, durante tutto il XVIII secolo, le fiamme instabili montate sulla struttura procurarono incendi tra i facchini, il pubblico o sulla struttura stessa, seminando il panico tra la folla e i cavalli del corteo: molte furono le vittime, tra cui anche dei bambini portati in processione come simbolo dei “boccioli di Santa Rosa”, travolte nel fuggi fuggi generale o, come nel 1790, schiacciate dalla macchina stessa che, inclinatasi irreparabilmente, sfuggì alla presa dei facchini caracollando sulla folla.