Pasquino
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in mirabilia
Quello che i romani non potevano esprimere apertamente, veniva spesso affidato a piccole composizioni in versi, per lo più satire, affisse di notte accanto ad alcune statue nei luoghi più frequentati di Roma. La “statua parlante” più famosa è sicuramente quella di Pasquino, cui era stato affidato il rischioso compito di colpire i potenti con velenosi epigrammi.La statua di Pasquino ha una storia particolare. Fino al 1501 era sepolta nel fango di un vicolo del rione Parione, vicino Piazza Navona. Fu il cardinale Oliviero Carafa che abitava nell’attuale palazzo Braschi a far trarre dall’oblio quella statua che il tempo aveva ridotto molto male, senza gambe né braccia, senza naso e con le occhiaie vuote e spettrali. Ma al cardinale quella statua era apparsa di ottima fattura e decise di porla sopra un piedistallo addossato ad un angolo del suo palazzo, destando lo stupore dei passanti, che non capivano come una statua simile potesse meritare l’onore di un piedistallo.
Gli umanisti invece erano convinti che fosse nata dalla mano esperta di un’artista greco, e anche Michelangelo fu dello stesso avviso dichiarando che l’opera meritava di essere esposta nei Musei Vaticani. Con molta approssimazione si convenne che la statua rappresentasse Menelao nell’atto di trarre dalla mischia il corpo morto di Patroclo. Giudizio che anche Bernini condivideva.
Dopo averle dato un’identità si decise di darle anche un nome. Ci pensò il monaco gaudete Teofilo Folegno a dare alla statua il nome di Pasquino. Nel suo Maccheronee racconta che Pasquino era un oste famoso, che gestiva da quelle parti un avviato esercizio, frequentato da raffinati buongustai; ricco e famoso, quando morì ebbe l’onore di funerali grandiosi e di una statua che il Senato romano volle erigergli là dove aveva esercitato la sua professione. Non sappiamo quale fondamento abbia la storia nata dalla fantasia del poeta mantovano. Altri sostengono infatti che nei pressi c’era la bottega di un sarto, frequentata da clientela esclusiva, nobili e cortigiani; proprio dal sarto, anzi, sarebbe nata la tradizione della temutissima “statua parlante”. In quella bottega, maestro e garzoni avevano l’abitudine di parlare liberamente e con biasimo del papa e dei cardinali e di altre personalità importanti.
Molto probabilmente però, Pasquino era una maestro di scuola che per sbarcare il lunario insegnava ai ragazzi del quartiere i primi rudimenti del sapere. Quella statua informe doveva attirare l’attenzione degli scolari, che affibbiarono ad essa, il nome del maestro.
Quale che sia la versione più attendibile, è un fatto che la statua di Pasquino iniziò la sua fortunata carriera nel cinquecento, esprimendo gli umori di una Roma delusa, con epigrammi feroci e beffardi che autori ignoti ponevano di notte sotto la statua. Nacquero in questo modo le cosiddette Pasquinate, che sbirri e autorità non riuscirono mai a debellare. Nessuno veniva risparmiato, nemmeno i più grandi pontefici. Alla morte di Clemente VII dei Medici, morte che la voce popolare attribuiva all’incapacità del medico pontificio, venne affisso sulla statua il ritratto del presunto responsabile con sotto questa frase: “Ecco colui che toglie i peccati del mondo.”
Verso la fine del Cinquecento, Pietro e Cinzio Aldobrandini, nipoti del papa Clemente VIII, proposero di eliminare la statua e di buttarla nel Tevere. Vi si oppose Torquato Tasso ritenendo il rimedio assolutamente inutile.
Nel Seicento all’elezione di Paolo V Borghese la statua parlante così commentava: “ Dopo i Carafa, i Medici, i Farnese or si deve arricchir casa Borghese”.
Non meno graffianti furono le pasquinate contro Innocenzo X Pamphili e contro Donna Olimpia, la terribile cognata del papa. Dei versi recitavano così: “Per chi vuoi qualche grazia dal sovrano! Aspra e lunga è la via del Vaticano! Ma se è persona accorta! Corre da donna Olimpia a mani piene! E ciò che vuole ottiene! E la strada più larga e la più corta.”
Ancora più celebri questi versi: «Chi dice donna, dice danno - chi dice femmina, dice malanno - chi dice Olimpia Maidalchini, dice donna, danno e rovina».
Gli autori delle pasquinate rischiavano molto e la statua parlante era spesso soggetta ad una rigorosa sorveglianza da parte di sbirri e spie camuffate. Molti finirono sul patibolo ma questo non bastò per impedire ai romani di esprimere con graffiante ironia i loro umori repressi.
Gli avvisi di Pasquino
A Roma, ma anche nelle altre città italiane, circolavano dei fogli di notizie, chiamati Avvisi, che possono essere considerati legittimamente gli antenati dei nostri giornali. Ogni settimana venivano spediti alle principali corti italiane. Vi erano pubblicate notizie curiose e qualche volta anche piccanti che i lettori dimostravano di apprezzare. Venivano redatti da giornalisti ante litteram, chiamati menanti, che raccoglievano notizie nel mondo degli affari, negli ambienti della curia, nelle ambasciate. La parola menante sembra avesse un significato piuttosto moderno. Secondo alcuni il termine discendeva dalla capacità che questi cronisti avevano di “menare l’opinione”, cioè di creare consensi. I menanti non avevano vita facile perché le autorità non amavano gli impiccioni.
Gli avvisi venivano venduti agli angoli delle strade da qualche strillone; qualche voltacircolavano anonimi se velenosi e pungenti . Nel seicento gli avvisi si fecero più cauti per non correre rischi e di conseguenza meno interessanti. Salvo tornare pungenti e aggressivi alla morte dei papi, quando la sede vacante consentiva di rimanere impuniti.
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