Spettacolo della morte: apparati e macabro nel barocco
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in mirabilia
“Il fin, la meraviglia”
Con la Controriforma la Chiesa scopre il suo aspetto coreografico ed effimero: dalle celebrazioni ordinarie alle feste comandate, tutto viene celebrato con apparati retorici ed architettonici altisonanti, che destino nei fedeli stupore reverenziale ed una sorta di estasi teatrale.
Da questa filosofia, che porta alla ribalta del gran teatro del mondo tutti gli aspetti del sacro rendendoli paradossalmente umanissimi, non può rimanere esente il momento in cui il sacro e l'umano convergono: la morte.
Ed è proprio il momento in cui cala il sipario quello in cui è più magnificente l'immagine, la pompa, l'apparire: i migliori artisti del 6-700 si sono cimentati nella progettazione di apparati funebri, in particolare a Roma, ove le esequie dei papi, dei cardinali e dei membri della nobiltà palatina fungono da catalizzatore ed amplificatore di questa tendenza.
Il “castrum doloris”
Sin dai primi esperimenti di catafalchi funebri, come quello di Domenico Fontana eseguito nel 1591 per la morte di Sisto V, è evidente come gli artisti si ispirino alla classicità, riprendendo alcuni motivi funebri tipici dell'arte greca e romana quali la piramide, la pira, gli obelischi, l'arco trionfale e il tempietto, già “prototipizzato” dal Bramante.
Ma rispetto alla sobrietà classica tutto è sovradimensionato, frenetico, sovraccarico: è un modo di evocare la grandezza umana e politica del defunto ma anche di celebrare la gioia del passaggio alla “vera vita” cristiana. Ecco allora che nel “castrum doloris” del catafalco si vive un dolore talmente stereotipato e spettacolarizzato, da diventare una gioia (soprattutto per chi guarda) ed un'occasione di festa grande.
I catafalchi infatti non vengono esposti solo nelle chiese al momento delle esequie ma spesso sono delle vere e proprie strutture itineranti che, installate per giorni presso le accademie ed altri luoghi di ritrovo della città, trascinano con sè al loro passaggio torme festanti vestite a lutto.
Da Roma l'uso si diffonde in tutta Europa e i maestri romani di questo genere fanno scuola: ad esempio il catafalco del cardinale Mazzarino (1661) è in forma di mausoleo come quello della famiglia Ludovisi realizzato da Andrea Pozzo, mentre per Anna d'Austria (1666) viene innalzato un arco trionfale e un tempio coronato di piramide secondo l'uso introdotto da Andrea Sacchi.
L'addobbo funebre
Il catafalco è poi corredato da un addobbo funebre costituito da drappi, composizioni floreali, stoffe e candele che, a seconda del rango e dell'importanza del defunto, veste a lutto la chiesa contribuendo a creare effetti scenografici spesso mozzafiato.
Ecco una resoconto che descrive la magnificenza e l'originalità di un addobbo funebre del Sacchi(1693):
La chiesa si presentava apparata di negro dalla volta sino a terra, ma non erano però i panni neri interi ma rimanevano i pilastri bianchi, et il nero era tra un pilastro e l'altro acciò comparisse l'apparato mesto insieme, et allegro.
E ancora sugli addobbi funebri di una cerimonia del 1667 organizzata dal Bernini:
E si accrebbe maggiormente lo stupore né riguardanti, quando comparve l'illuminazione di circa 600 lumi di cera, tra i quali quantità di candelotti e torcie, e gareggiando lo splendore dell'oro sul color nero, con quello dell'accesi luminariii, non si discerneva se i lumi davano più vaghezza agli ori o se questi facevano di quelli spiccare maggiormente la luce.
Bernini,un “trendsetter”anche nella morte
Tra il 1624 e il 1633 Gian Lorenzo Bernini architetto realizza il baldacchino di San Pietro e da quel momento introduce degli stilemi che saranno ricorrenti in molti apparati effimeri, soprattutto funebri.
Alcuni tra i più bei catafalchi del XVII secolo sono “copie” in scala del capolavoro berniniano, come ad esempio quello di Giovan Battista Contini per la morte di Bartolomeo Ruspoli (1681) e quello di Angelo Torrone per Innocenzo XI (1689).
Bernini è inoltre il primo ad introdurre, accanto agli elementi dell'antichità classica, le simbologie funebri dell'iconografia gotica, medioevale e rinascimentale quali il teschio, la clessidra e il corpo di morte, come veniva allora definito lo scheletro.
Questi stilemi, che diverranno veri e propri feticci simbolici del barocco, sono interpretati da Bernini con una plasticità teatrale ed una vitalità piena di energia, che generano l'ossimoro per il quale la tristezza è allegra, per cui la morte è piena di vita (e viceversa). E' chiaro che nel cosmo barocco, tanto legato all'unione dei contrari, il buio assoluto finisce per coincidere con la piena luce.
Questa passione disperata per la vita, la corporeità e la ricerca della carnalità persino in uno scheletro è evidente nel monumento funebre a papa Alessandro VII (1678), nelle tombe delle famiglie Valtridini e Merenda e in quella di Camillo del Corno (realizzata da allievi del Bernini), sulle quali danzano aggraziate figure ossute che tutto sembrano tranne che materia inerte, tutte teste nell'atto di brandire energicamente una clessidra o di sventolare uno stendardo. Il mito della “mors victa” cinquecentesco si trasforma in quello barocco di una “mors triumphans” che non fa paura perchè plasmata ad immagine e somiglianza dell'uomo.
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