25 giugno 1691. Una calda sera d’inizio estate.
Il castello di Versailles, come ogni giorno, come ogni ora, è impegnato nella meccanica ripetizione dei rituali che regolano come un orologio la vita di corte. Eppure c’è qualcosa che non va. Bontemps, primo cameriere di Sua Altezza, è nervoso. Si aggira avanti e indietro sfregandosi le mani, impreca, si passa di continuo il fazzoletto sulla fronte madida, si allarga la cravatta stretta al collo, interroga le guardie. E’ successo che nel corso della mattinata, mentre il Re era impegnato a tenere consiglio, qualcuno, approfittando della confusione che segue sempre il concludersi del Lever, ha tagliato le frange d’oro che ornano le porte del Grande Appartamento. Non che gli interessi granché del valore di quelle stramaledette frange: Bontemps è preoccupato perché già sente, lungo i corridoi, per le sale, e perfino negli angusti passaggi di servizio in cui la servitù striscia mormorante, i pettegolezzi sul suo conto, le ingiurie sulla sua inettitudine.
Quanto è avvenuto è colpa sua: sua è la responsabilità dell’Appartamento Reale. Passano le ore ma il colpevole non viene trovato. Come è potuto avvenire un fatto simile in quello che qualcuno ha definito “un luogo tanto frequentato di giorno, chiuso di notte e custodito a tutte le ore”? Quesiti senza risposta. Almeno pare che il Re non se ne sia indispettito troppo.
26 giugno 1691. Come tutte le sere si tiene il Grand Couvert. La scena è solenne. Sua Maestà sta seduto al centro del gran tavolo apparecchiato. Dietro di lui, in piedi, stanno il Primo Medico di Corte, Louis de Rouvroy duca de Saint-Simon e alcuni altri fortunati cortigiani che in quel momento godono dell’ondivaga benevolenza reale. Regna la calma e il silenzio, tutto si svolge secondo le regole non scritte di un cerimoniale incredibile che obbliga la corte a fermarsi di fronte alla cena del suo Signore fino all’ora prima della mezzanotte. Ogni gesto è codificato, previsto. Nulla è lasciato al caso. Sembra di assistere a un carillon di automi che si muovono seguendo il tempo scandito dall’orchestra di archi che suona dalla tribunetta. Il Re ha sete, alza appena una mano. Il Coppiere grida a gran voce “Da bere per il Re!”, si inchina e va verso la grande credenza, dove lo attende il Capo del Copro dei Coppieri. Costui, con fare cerimonioso, gli porge un vassoio dorato con un bicchiere in cristallo coperto da un piattino e due caraffe, una con acqua e l’altra con vino. Tutti a corte sanno che Sua Maestà beve solo vino tagliato. Il Gentiluomo incaricato del Servizio, preceduto dal Capo del Corpo dei Coppieri, e seguito dall’Aiutante di Bicchiere del Servizio Vini e Cucina sono chiamati ad espletare il loro dovere. Arrivato di fronte alla tavola reale, quel curioso trittico di cortigiani impettiti, dopo l’inchino di rito, dà luogo a una cerimonia incredibile: il Gentiluomo incaricato del Servizio e il Capo dei Coppieri procedono all’assaggio dell’acqua e del vino in coppe di vermeil. Dopo un’altra reverenza, il Gentiluomo toglie il coperchio al bicchiere e presenta le caraffe al Sovrano, che ha l’abitudine di mescersi da solo vino e acqua nelle proporzioni a lui più gradite. Fatto un terzo inchino, e ricevute indietro le caraffe dal re, il Coppiere restituisce il vassoio al Capo del Corpo dei Coppieri, che lo riporta alla credenza. Tre persone e otto minuti per un bicchiere di vino: dietro a tanta esagerazione è ben celato il potere di quel magnifico Sovrano.
Assaggiati gli arrosti, prima che vengano introdotti i vassoi ricolmi di frutta, viene servito l’entremets. PAM! Uno schianto incredibile. Tutti sobbalzano. Un grosso fagotto nerastro è piombato sul tavolo. Il Re alza le mani ma non pare turbato. Il grido di una dama terrorizzata rende ancora più inquietante il silenzio che segue. Gli archi smettono di suonare. Si sentono tintinnare solo le stoviglie sulla tavola. Il Re, ammirevole per serenità e controllo, mentre le guardie si agitano tutte in torno, volge lo sguardo verso Madame e Monsieur e mormora: “Credo siano le mie frange”. Il marchese de Livry, uno dei fortunati a cui è stato concesso l’ambito diritto di assistere al Grand Couvert, si precipita a togliere dalla regale parrucca una delle frange dorate che durante la carambola si è staccata dal pacchetto volante avendo l’ardire di andare a posarsi sui riccioli di Sua Maestà. L’ordine del Re di chiudere immediatamente le porte per bloccare il ribaldo che ha avuto tanto ardire verrà eseguito mezz’ora dopo da un esagitato duca de Gesvres, capo delle guardie reali. Sua Maestà, senza perdersi d’animo, esamina con la punta del lungo coltello con cui taglia la carne quel grosso pacco piramidale che gli è piombato sulla tavola portando tanto scompiglio. C’è un biglietto attaccato. Il marchese de Livry, su invito del Re, lo legge: “Riprenditi le tue frange, Bontemps, la sofferenza supera il piacere. Bacio le mani al Re”.“Questa sì che è insolenza” mormora Luigi indispettito.
L’analisi della calligrafia porta a concludere che quel biglietto sia stato scritto da una donna, una dama a cui forse il Primo Cameriere del Re ha negato qualche favore e che, per vendicarsi, è arrivata ad architettare un piano tanto ardito. Il ritardo con cui sono state chiuse le porte dell’Appartamento e la grande calca che si viene sempre a creare durante il Grand Couvert hanno impedito di acciuffare l’ardita signora. Nessun problema: Sua Maestà ha decretato che tanto ardire deve per forza essere opera di un pazzo e che quindi non necessita di punizione esemplare. Il Sole ha riavuto le sue frange, ma il povero Bontemps rimane umiliato a vita.
Fonti: Louis de Rouvroy de Saint-Simon, “Mémories”, Jacques Levron, “La vie quotidienne a la cour de Versailles”.
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