Il Fascino dell'instabilità
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in neobarocco
Tutte le epoche hanno generato mostri: molti reali (come il nazismo), molti altri fortunatamente solo immaginari. Ci occuperemo di questi ultimi, sicuramente più innocui.
Il mostro rappresenta da sempre il meraviglioso, come indica il suo nome: “monstrum” è colui che si mostra, le sue caratteristiche sono la spettacolarità e la misteriosità. Il mostro è anche colui che si allontana dalla norma. Essendo questa una misura media, mostro è chi oltrepassa i limiti. E’ smisurato per eccesso o per difetto: può essere grandissimo, o piccolissimo, o deforme.
L’eccedenza del mostro tradizionale non è solo fisica, ma anche spirituale: il mostro classico è cattivo e gode nel compiere il male.
Ma i mostri odierni sono un po’ diversi da quelli antichi. Anzitutto per la forma: se i mostri classici sono assemblaggi di animali (serpenti, rapaci, pipistrelli) a cosa somigliano i mostri del cinema contemporaneo?
La Cosa di Carpenter è una massa amorfa; Alien è un essere orribile ma imprecisato, non ce lo fanno mai vedere per intero: a volte sembra un drago, a volte un robot. E, seppur orribile, viene giudicato anche bello: ha vinto persino un premio per gli effetti speciali!
L’aspetto fisico non è la sola differenza col passato: se il mostro classico era invariabilmente e indubitabilmente cattivo, come dobbiamo giudicare La Cosa e Alien? Sono dei predatori, cacciano gli umani come i leoni inseguono le antilopi. In questi casi sembra che siamo costretti a sospendere ogni giudizio etico.
Lo stesso vale per i Gremlins, adorabili creaturine capaci di trasformarsi in mostri crudeli: buoni e cattivi insieme. Se il primo mostriciattolo creato da Spielberg, ET, era un esempio di mostro anticlassico (un mostro buono anziché cattivo), i Gremlins, creati sempre dal regista americano, esprimono una nuova poetica legata all’incertezza e all’instabilità, che si esprime sia nella forma fisica (i nuovi mostri sono elastici, gommosi, accorciabili, allungabili, trasformabili) che in quella spirituale.
L’instabilità e la metamorfosi hanno a che fare col barocco storico. Le facciate concave e convesse delle chiese di Borromini; l’Apollo e Dafne di Bernini; la colonnata di Palazzo Spada, ancora del Borromini, della quale è impossibile intuire la reale lunghezza a colpo d’occhio.
L’instabilità si trova anche nella letteratura: “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino è un romanzo creato da una serie di racconti che s’intersecano tra loro senza giungere a una vera conclusione. “Il nome della rosa” di Eco è il montaggio di moltissimi testi (narrativi, figurativi, filosofici, scientifici), di fonti vere e citazioni false incassate in un unico testo che rende il tutto figurativamente omogeneo. Leggendo Calvino bisogna ritrovare l’unità nella varietà dei racconti; Eco invece ci spinge a fare il gioco opposto: riconoscere le fonti e le citazioni, ritrovare il diverso nell’omogeneo. In entrambi i casi, il lettore deve abbandonarsi al delirio dell’instabilità e delle metamorfosi.
Negli spettacoli e a teatro, l’instabilità porta all’interazione tra gli artisti e il pubblico. Non c’è più una distinzione netta tra il palco e la platea, e il pubblico diventa parte dello spettacolo. Basta pensare che il barocco venne definito “il gran teatro del mondo” per capire che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.