Elisabetta Farnese
Scritto da Laura Savani. Pubblicato in società barocca
“ Il cuore di un romano, la fierezza di uno spartano, la costanza di un inglese, l’astuzia di un italiano, la vivacità di un francese, formarono questa donna singolare. Ella cammina audacemente al compimento dei suoi disegni; non vi è cosa che sappia stupirla, niente che sappia fermarla.” (Federico il Grande)
Un’italiana sul trono di Spagna
Elisabetta Farnese nacque a Parma il 25 ottobre 1692, figlia del principe Odoardo Farnese e di Dorotea Sofia di Neuburg. Unica erede del ducato di Parma e Piacenza la sua mano venne promessa, nel 1714, al re di Spagna, Filippo V, vedovo di Maria Luisa di Savoia. Le grandi potenze europee stupirono nell’apprendere che la scelta della nuova regina di Spagna era caduta su una principessa di un piccolo Stato italiano ma il ducato di Parma e Piacenza poteva diventare la testa di ponte per la riconquista dei vecchi possedimenti spagnoli. Fu il futuro cardinale Alberoni, suddito dei Farnese, che aveva da poco iniziato la sua ascesa in Spagna, a suggerire il nome di Elisabetta. Con molta scaltrezza egli descrisse la principessa come “una buona lombarda impastata di butirro e formaggio”. La realtà era ben diversa: non bella, segnata come era dal vaiolo, ma dotata di un certo fascino, Elisabetta conosceva diverse lingue, cavalcava come un’amazzone ed aveva uno spirito libero ed indipendente, “donna che sa volere fortemente”; era inoltre dotata di non comuni doti di statista.
Dopo uno scambio di ritratti, il re si decise a chiedere ufficialmente la mano di Elisabetta e rispettò a stento i sei mesi di lutto prima di convolare nuovamente a nozze. Il matrimonio avvenne per procura il 16 settembre 1714 ma Elisabetta giunse in Spagna solo in dicembre; fu l’Alberoni il primo ad andarle incontro a Pamplona; nessuno sa cosa si dissero ma è comunque un fatto che all’indomani del suo arrivo Elisabetta mandò a chiamare la principessa Orsini, già “camarera mayor” della defunta regina ed estremamente influente a corte, e la licenziò ancor prima di avere conosciuto il suo sposo. È chiaro che l’Alberoni non voleva condividere con nessuno la fiducia di Elisabetta.
Una donna difficile
Elisabetta non aveva certo un carattere facile: lo stesso Alberoni la definiva “scaltra come una zingara e consumata nelle più fini arti del regnare”. Decisa ed ambiziosa, dominava Filippo in modo da “far apparire tale attaccamento per lui, da non poterne rimanere un solo istante divisa senza patir svenimento”. Ostinata ed incline agli eccessi, era una sposa docile di notte e capricciosa di giorno. Costringeva i cortigiani a cavalcate e battute di caccia spossanti, mettendo a dura prova la corte con banchetti pantagruelici. Trattava i ministri come servi ma l’unico che riusciva a dominarla era quel prete italiano, apparentemente duttile e soave, sempre pronto a rispondere agli insulti della sua padrona con battute di spirito scherzose e adulatorie. L’assecondava nelle piccole cose per garantirsi la complicità di quelle grandi. Come per il Vendome, l’Alberoni sfruttò l’ingordigia di Elisabetta. Nelle cronache del tempo si apprende di un frenetico via vai di valige diplomatiche da Parma a Madrid. Quelle valige non contenevano documenti ma specialità parmigiane: formaggi, culatelli, passate all’uovo. Lo stesso Alberoni si metteva in cucina per preparare gustosi manicaretti per la sua signora, il tutto per attrarre la sovrana nei suoi disegni politici. Ma non ci voleva molto per convincere Elisabetta che seguitava a pensare agli interessi della sua famiglia, i Farnese, e Parma e i Farnese erano anche gli interessi dell’Alberoni.
In breve tempo la regina riuscì a sottomettere l’apatico marito e a sostituirsi nella direzione politica del regno, riportando la questione della successione del ducato di Parma e Piacenza in primo piano presso le cancellerie europee. Si impegnò ad allacciare relazioni internazionali e progetti politici anche attraverso legami matrimoniali per i sette figli che diede a Filippo.
I due maschi, Carlo e Filippo, non potevano aspirare al trono di Spagna perché quello era già stato assegnato al rampollo di primo letto del re ma Elisabetta era ben determinata ad assicurare un trono anche ai suoi figli e la sua preoccupazione principale fu quella di assicurarsi la successione dinastica del Ducato di Parma.Per questo progetto occorrevano due cose: ricostruire la potenza militare della Spagna e soprattutto procurarle degli alleati.
La politica dell’Alberoni
In pochi anni la Spagna si ritrovò con un esercito ed una flotta efficienti ma nonostante le mosse spregiudicate dell’Alberoni, sul piano diplomatico il paese collezionò solo insuccessi. Nelle cancellerie europee l’Alberoni veniva definito “l’avventuriero italiano” e i suoi doppi giochi erano così sfacciati che tutti diffidavano di lui. Cercò di isolare l’Austria, inserendo la Spagna nella Triplice Alleanza e dal momento che non ci riuscì cercò di appoggiare lo Zar e il re di Svezia sempre ai danni dell’Austria. Nello stesso momento trattava con i turchi perché riprendessero l’offensiva nei Balcani e contemporaneamente offriva al Papa la flotta di Spagna per una crociata contro di loro, aspirando al cappello cardinalizio. Fu a questo punto che l’Alberoni rimase impigliato nel suo stesso gioco: il Papa fece cardinale l’Alberoni e accettò la flotta spagnola per poter dare un colpo di grazia ai turchi che pochi mesi prima erano stati battuti dalle truppe di Eugenio di Savoia. La sconfitta dei turchi aveva liberato l’Austria da un grosso pericolo mandando a monte tutti i piani dell’Alberoni: “quelle bestiazze si fanno battere così male a proposito!” esclamò.
Per riparare la beffa l’oramai cardinale Alberoni cercò di gabbare anche il papa mandando la flotta spagnola di diecimila soldati in Sardegna invece che a Costantinopoli e danneggiando in questo modo l’Austria. Gli Asburgo chiesero allora l’intervento di Inghilterra e Olanda che però non solo non intervennero ma avanzarono una proposta di compromesso che andava a vantaggio della Spagna: secondo il progetto della Triplice Alleanza la Spagna avrebbe dovuto ottenere il Regno di Napoli, la Sicilia, il Ducato di Parma e il Granducato di Toscana dove la dinastia Medici stava per estinguersi; la Sardegna sarebbe andata ai Savoia e agli Asburgo sarebbe rimasto solo il Ducato di Milano.Incredibilmente il cardinale Alberoni rifiutò, probabilmente a causa di Elisabetta ormai definita “la strega di Spagna”. Imbaldanzita dal successo e sobillata dallo zio di Parma, la regina non voleva altro che la cacciata definiva dell’Austria dalla penisola; era talmente certa di questa linea politica che si mise personalmente alla testa di una divisione spagnola durante una battaglia. Il cardinale ebbe il torto, per accontentare la regina, di inviare la flotta in Sicilia per ripetere l’operazione compiuta in Sardegna. Fu a questo punto che la Triplice Alleanza, allarmata, appoggiò l’Austria regolando in questo modo la sorte dell’Italia.
L’Austria entrò a far parte della Triplice Alleanza che divenne in questo modo Quadruplice. Gli Asburgo ottennero il ducato di Milano, il Regno di Napoli e la Sicilia; il Piemonte ottenne la Sardegna; quanto ai Borbone di Spagna, il figlio primogenito di Elisabetta avrebbe ereditato il Ducato di Parma e il Granducato di Toscana.
La Spagna ovviamente non accettò e la Quadruplice Alleanza passò alle armi distruggendo la flotta spagnola a Capo Passero in Sicilia. L’Alberoni vietò agli spagnoli, pena la morte, di diffondere la notizia e cercò contemporaneamente di montare una congiura contro il Duca d’Orleans, in quel momento Reggente in nome del piccolo Luigi XV. Quando la congiura venne scoperta, la Francia trovò il pretesto per dichiarare guerra alla Spagna malgrado le due dinastie fossero legate da vincoli di sangue. L’esercito che l’Alberoni aveva così faticosamente ricostruito non resse e ovviamente chi pagò questo disastro fu lui stesso.
“Da vero italiano, gli manca il senso dell’onore” dicevano gli inglesi a proposito dell’Alberoni, eppure questo cortigiano che negli anni d’oro della sua ascesa era pronto a strisciare, seppe cadere con dignità e con un coraggio che nessuno avrebbe mai sospettato potesse avere. Fu cacciato come un servo, Elisabetta e Filippo inventarono una partita di caccia per evitare il congedo; attraversò la Spagna armato con una pistola alla mano per difendersi dai sicari che gli avevano messo alle calcagna per eliminarlo e impadronirsi dei documenti che possedeva; riuscì a salvare l’Epistolario ma non lo utilizzò contro nessuno dei suoi persecutori: molto nobilmente non tentò mai di vendicarsi.
L’eredità di Elisabetta
Secondo il trattato dell’Aia, il ducato di Parma e Piacenza, alla morte dell’ultimo dei Farnese, sarebbe passato al figlio primogenito di Elisabetta, Carlo. Elisabetta inoltre era anche erede legittima del Granducato di Toscana (la bisnonna paterna era una Medici).
Nel 1724 Filippo, ormai stufo e disgustato, abdicò in favore del figlio Luigi, nato dal suo primo matrimonio. Pochi mesi dopo, però, Luigi morì ed Elisabetta riuscì a convincere il marito a riprendere la corona, continuando in questo modo a dirigere, tramite il consorte, la politica spagnola.
Con la guerra di Successione Polacca, il figlio primogenito di Elisabetta, l’infante Carlo, ereditò il ducato di Parma e Piacenza e due anni dopo, nel 1734, divenne re di Napoli. Il ducato tornò quindi ad Elisabetta che fu nominata Duchessa di Parma e Piacenza. Con la pace di Aquisgrana, nel 1748 il ducato passò, infine, al figlio secondogenito di Elisabetta, il prediletto Filippo, il cui matrimonio con Maria Luisa Elisabetta (Madame Infante), figlia di Luigi XV, era stato fortemente voluto dalla regina.
Con la morte di Filippo V, nel 1746, il trono di Spagna passò al figlio di primo letto del sovrano, Ferdinando VI, che detestava la matrigna e provvide subito ad esiliarla dalla capitale. Fu a questo punto che la regina uscì definitivamente di scena dalla politica ma il suo sogno, di vedere salire al trono di Spagna uno dei suoi figli, si realizzò nel 1759: con la morte di Ferdinano VI, che non aveva avuto eredi, il trono passò a Carlo, già re di Napoli, che divenne re di Spagna con il nome di Carlo III.
In definitiva la regina, con la sua politica, era riuscita e ridisegnare l’assetto politico dell’Italia ma i parmensi non le perdonarono mai la dispersione del patrimonio artistico che i Farnese erano riusciti ad accumulare nel corso dei secoli: quando infatti il figlio Carlo, nel 1734, divenne re di Napoli, su pressione materna portò via con se da Parma quell’immenso patrimonio che oggi si può ammirare presso il Museo di Capodimonte.
Elisabetta passò i suoi ultimi anni di vita ad Aranjuez dove si dedicò ad opere pie e di carità. Morì l’11 luglio del 1766 quasi totalmente cieca.