Saint Simon non ama certo Versailles: Il più triste e il più ingrato di tutti i siti, senza vista, senza boschi, senz’acqua, senza terra, perché là tutto è sabbia in movimento e paludi, e di conseguenza senz’aria, che non può essere buona…
La Versailles di Luigi XIII
Ma quanta esagerazione, signor duca. Una sola cosa è vera di quanto detto: non mancano le paludi, che pian piano verranno eliminate.
Clikka per visitare la reggia di versailles
Luigi XIII è una persona complessa. Le ultime indagini storiche cambiano le descrizioni dei contemporanei e in particolare quella di Dumas. E’ un re allegro e con gran volontà, che dando fiducia a Richelieu lavora per costruire la Francia. Un uomo romantico e melanconico che ama la caccia e la vita ritirata. Per queste ragioni Luigi XIII in cerca di tranquillità sceglie Versailles, questo paese lontano da Parigi ma non troppo, circondato da boschi e colline. Dopo essersi fermato laggiù per la caccia diversi giorni e costretto a ritornare a Parigi per onorare l’etichetta nei grandi palazzi del Louvre, nel 1624 prende la decisione di acquistare dei terreni per render l’abitazione e la zona di caccia più confortevole. Si moltiplicano i soggiorni. Le donne non sono ammesse se non dal 1627, ma non è concesso loro di dormirci anche perché si tratta di casa di caccia non adatta alle dame. Le stanze abitabili all’origine erano 26 e la migliore era quella del re, tappezzata di arazzi delle Fiandre con raffigurati eventi storici recenti.
Nel 1632 Luigi XIII acquista la signoria di Versailles, che apparteneva al vescovo di Parigi, e inizia la costruzione della futura reggia. I lavori iniziano presto e si concludono nel 1636 ad opera dell’architetto Philibert Le Roy. Vengono ampliate le abitazioni e aggiunti padiglioni, anche il parco di caccia si ingrandisce e viene ammodernato l’interno con nuovi mobili. In generale però rimane un’abitazione secondaria, la cui spesa di mantenimento rimane relativamente modesta.
La Versailles di Luigi XIV
Alla morte di Luigi XIII il castello rimane inabitato e lasciato a sé stesso per almeno venti anni. Anni di dura lotta contro la fronda e contro un paese duramente provato da crisi economiche e militari. Luigi XIV viaggia molto, visita castelli e palazzi e negli anni giovanili si reca di rado a Versailles se non per la caccia. Il ricordo per il padre rimane e la frequentazione del luogo amato dall’avo lo spinge a ritrovare e a far sbocciare l’amore per l’arte e l’architettura che ha ereditato dal genitore.
I terreni di proprietà del re a Versailles erano già immensi, a perdita d’occhio, ma lui continua a comprare sognando un enorme parco e fa fare degli abbellimenti pur mantenendo intatta la casa paterna. Alcuni cortigiani oculati comprano già casa percependo che il re potrebbe trasferirsi lì, ma la maggioranza torna a casa dopo le feste o dorme in carrozza.
Il potere del re Sole aumenta, e con esso l’ambizione e la perspicacia politica. Arrestato Fouquet, il ricchissimo finanziere del regno che ha sfoggiato il castello di Vaux, a Versailles vengono assunti i suoi architetti, i migliori: Le Vau e Le Brun.
Luigi XIV vuole modellare il suo potere su Versailles, lasciare il segno: per questo non si può accontentare di altri castelli, seppur magnifici come il Louvre.
Nel 1668 Le Vau inizia i lavori, che dureranno sei lustri, mantenendo il castello centrale di Luigi XIII com’è volontà del re Sole. Anche Versailles viene rinnovata per attirare abitanti.
Alla morte di Le Vau proseguono i lavori dal suo prediletto che segue i disegni del maestro. Dopo la firma del trattato di Nimega i lavori saranno diretti da Jules Hardouin-Mansart fino al 1708. In quell’anno la reggia assume le fattezze definitive, ma il re trasferisce definitivamente governo e corte nel 1682 imponendo la costruzione di edifici, stabili e stalle per migliaia di persone che si occupano del re, della corte e dei cortigiani.
Nel 1687 Mansart costruisce il Il Grande Trianon, un edificio più modesto che serve al re per ritirarsi in più intima compagnia.
L’interno del palazzo supera per fasto l’esterno: statue, arazzi, giochi di ogni sorta, candelabri e bracieri per incensi e profumi, ma soprattutto il mobilio in argento massiccio inciso e lavorato da Claude Ballin la cui maestria supera il valore del metallo prezioso. Questo mobilio di enorme valore, unico in tutto il mondo, verrà fuso per far fronte alle guerre che rovinarono il re Sole. Gli originali saranno sostituiti da mobili più sobri di legno dorato.
Durante tutto l’anno alcuni saloni, in particolare quello dell’abbondanza, vengono adibiti ai rinfreschi. Su vassoi di cristallo e d’argento sono sempre presenti artistiche piramidi di frutta fresca e secca, vivande, dolciumi di ogni sorta e bibite, vini, succhi di frutta, cioccolata calda e caffè.
Si susseguono saloni stupendi, per il gioco ed i ricevimenti. Quello che supera di slancio gli altri è il salone di Apollo, il salone del trono. Qui sono racchiusi i marmi migliori, i Rubens, i Van Dyck. Fra tappezzerie cremisi bordate d’oro e d’argento spicca il trono, in argento massiccio, alto due metri e sessanta.
Poi c’è il salone della Guerra e dall’altra parte della Grande Galleria il salone della Pace, dove sono raffigurati i nemici e le vittorie della Francia. Nella Galleria si assiste al trionfo maggiore dell’arte: il locale rappresenta il punto di ritrovo dei cortigiani e di tutti coloro che si recano a palazzo.
Parte importante della reggia è il grande canale terminato nel 1672, che il re utilizza regolarmente facendo arrivare addirittura gondolieri da Venezia. Si costruiscono anche imbarcazioni di foggia particolare e si costituisce una piccola flotta i cui marinai alloggiano al quartiere della Piccola Venezia; un’apparecchiatura maestosa e sempre pronta per le feste durante le quali il re sale sulla gondola con le dame. D’inverno capita che il canale ghiacci imprigionando la flotta, e allora diventa buono per le slitte ed il pattinaggio.
Il parco dei Cervi viene creato e costantemente modificato da Luigi XIV come riserva di caccia. Il re è un appassionato cacciatore e dedica al suo passatempo preferito qualche ora quasi tutti i giorni, arrivando a uccidere ben 250 capi che dona alle dame che lo accompagnano.
Per soddisfare il caravanserraglio di corte sono necessarie più di 2000 persone adibite ai servizi alimentari. Fino agli anni settanta del sedicesimo secolo, cuochi, sguatteri, e camerieri occupano il piano terra della reggia e solo nel 1685 vengono spostati nella Grand Commun, creata da Mansart per togliere dalla reggia la confusione di questo esercito delle cucine.
Le provviste sono acquistate tramite appalto, e nonostante le gran bocche di palazzo molte venivano sprecate, perché tutto, dai dolci alla frutta, dalle bevande alle vivande vengono rimpiazzate fresche tutti i giorni.
Tra le mille cariche dell’etichetta una è molto singolare, il serdeau: un ufficiale che porta via i resti del pranzo reale che vengono rivenduti quasi intatti, vista l’abbondanza. Un commercio tanto proficuo che il costo per diventare serdeau è enorme.
Versailles è una città cantiere che viene costruita per ospitare artigiani, operai viaggiatori ospiti e quanto di più si necessita nei pressi della reggia. Si lavora senza precauzioni e si registrano più di cento morti annui tra i manovali. Luigi XIV non rimane insensibile, ordina la costruzione di un ospedale e concede una pensione alle vedove. Gli albergatori fanno fortune enormi, e sorgono come funghi alberghi e pensioni che costano sempre più, tanto da far decretare un calmiere che non viene rispettato. I vicoli del paese diventano arterie, per soddisfare la fame di tutti si alleva pollame e bestiame che per mancanza di spazio viene lasciato girare per le strade dove gentiluomini infiocchettati girano per recarsi a palazzo. A fianco dello scrivano molte giovani donne procurano piaceri ai ben paganti, insegnanti di grammatica e latino iniziano una proficua attività e i sarti lavorano sodo.
La Versailles di Luigi XV
Con la morte del re Sole nel 1714 Versailles torna a essere un paese anonimo. Tutte le attività si ridimensionano, i prezzi crollano, molti falliscono. Il reggente il Duca D’Orleans che aveva subito a Versailles tanti soprusi cerca d’influenzare il futuro re Luigi XV per fargli detestare quel luogo insalubre. In quegli anni ne gode da turista, per una settimana, Pietro il Grande di Russia, che come gli altri sovrani nutriva un gran desiderio di visitare la reggia.
Nel 1722, con grande stupore e gioia degli abitanti di Versailles, Luigi XV vi torna in pompa pronto a farne sua dimora abituale. La corte, che in quegli anni si era sciolta, ritorna e con essa l’animazione di quel fantastico paese. Il tempo è però passato e il nuovo re è diverso dal precedente: è più melanconico e si annoia, lavora ma non troppo e dedica molto tempo a trovar distrazioni; amanti, viaggi e scorribande a Parigi in incognito per recarsi nei teatri popolari.
L’etichetta rimane ma non è più rispettata con devozione. Il nuovo re non ha lo sguardo del re Sole, gli manca il carisma a cui tutti si chinano. Nonostante ciò si fa di tutto per vedere il re o avere qualche privilegio. Se non si è nobili comprovati almeno dal 1400 bisogna avere dei padrini per essere ammessi a corte e alla presenza del re. Tra Parigi e Versailles le strade sono trafficate e un grande onore è essere ammessi ad una delle carrozze che il re mette a disposizione per i viaggi. Sono carrozze da 12 posti, ma ci si affolla in venti per poter dire di esserci stati. Alla reggia si affollano mediamente più di 5000 persone al giorno; commercianti e scrivani occupano il piano terra, confusione e scompiglio sono quasi un’abitudine. La disciplina lascia a desiderare e questo causa mancanza di rispetto, generando invidie e litigi. A Versailles il mondo è talmente diverso che anche la lingua è differente. Ci sono frasi e modi di dire che un gentiluomo deve conoscere per non esser ridicolo: non si dice che si assiste ad uno spettacolo a teatro, ma che si va alla Comédie Française; non si dice regalo, ma presente; non si beve champagne, ma vino di champagne; non si pronuncia tabac, ma taba; non sac, ma sa. Chi non conosce il complesso lessico viene spietatamente deriso e Madame de Pompadour sarà una vittima famosa dei cortigiani. Fortuna per lei che il re l’amava.
Negli ultimi anni di Luigi XV, Versailles è sempre più annoiata nell’etichetta stanca e nelle bisbocce tra dame ed amanti.
Nel 1774 Versailles vede la morte del suo re Ligi XV. Con lui finisce un’epoca e Versailles si rinnova cambiando padrone.
La Versailles di Luigi XVI
Luigi XVI è giovane, simpatico, generoso e popolare, per lo meno all’inizio. La sposa del giovane re è Maria Antonietta, arciduchessa d’Austria, bella, giovane e piena di quell’energia dei ventenni che si buttano nell’azzardo. Versailles cambia drasticamente, l’etichetta va a soqquadro.
L’etichetta, come sappiamo, era un insieme di regole e di leggi non scritte che consentivano privilegi ai nobili cortigiani incaricati di svolgere delle funzioni a corte. Le più comuni pratiche di vita per il re e la regina erano soggette all’etichetta comportando procedure per noi ridicole, lunghee pedanti. Se la regina aveva sete e non era presente la dama addetta a porgere l’acqua, la regina non beveva. Le altre dame si rifiutavano di portarle da bere, per non inimicarsi la dama predisposta al compito.
Maria Antonietta rivoluziona tutto e incomincia a bere senza servitori. Addirittura si fa accompagnare da valletti.
Il giovane re non ha né la maestosità del re Sole né l’eleganza del nonno, però è bonario, gli piace lavorare il ferro e l’oro e lascia fare alla moglie tutto ciò che vuole. Versailles rimane fino alla Rivoluzione una grande gabbia dorata da cui nessuno vuole fuggire. Viene pubblicato un libro in cui vengono elencati gli impiegati a Versailles conle loro cariche: ebbene, il libro di grossa taglia conta 165 pagine. La maggioranza di queste persone serve a pochissimo, da qualche minuto al giorno a un quarto d’ora la settimana. Ci sono persone il cui solo compito consiste nel portare una valigia con le vettovaglie quando il re va a caccia; altri servono solo per la chinea, cioè l’usanza introdotta nel XIII secolo di donare ogni anno al pontefice una cavalla o un asino in segno di vassallaggio. Le spese aumentano sempre più e arrivano a cifre folli, tra sprechi e furti veri e propri da parte della servitù. Un giorno un sarto propone al re un taffetà dal colore così incerto che Luigi XVI, che proprio stupido non era, definisce “color pulce”. Ebbene, per quell’anno tutti vestono il color pulce: color pulce giovane, color pulce vecchia e via dicendo. Maria Antonietta che vuole esser la più originale sceglie un colore che si abbini ai capelli, così porta a Lione una ciocca dei suoi capelli per riprodurre una stoffa con quel colore.
Le acconciature femminili passano dal barocco al glamour, sempre più alte, fino a più di un metro. Una dama se ne fa costruire una che riproduce addirittura un bassorilievo con tanto di cacciatore che spara e stagno per le anatre.
Maria Antonietta si fa regalare il Trianon che fu di Madame de Pompadour, e ne fa la sua villa di campagna con tanto di contadino che lavora tra mucche inghirlandate e capre col fiocco. Non manca il teatrino personale, dove la giovane regina si diverte a recitare con le comparse e gli attori presi dalla corte.
Alla reggia si svolgono i più grandi intrighi che tragedia e commedia possono mai creare, in un’ atmosfera irreale dove il superfluo è assolutamente vitale. Alla fine del regno di Luigi XVI viene ospitato alla reggia Benjamin Franklin, un americano che chiede all’Europa denaro per combattere una rivoluzione democratica. Versailles ne è entusiasta e raccoglie molti soldi.
Sempre sotto la sovranità di Maria Antonietta passano personaggi come Giacomo Casanova e Il Conte di Cagliostro, e scoppiano scandali come quello celeberrimo architettato dalla La Motte che beffa il Cardinale di Rhoan nel cosiddetto affair du collier. Fino alla fine, fino a che la Rivoluzione non travolge Luigi XVI, Versailles vive la sua favola di vanità e lusso.
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