Donna Pimpa o la “Pimpaccia”, come la chiamavano i romani, fu uno dei personaggi più discussi della Roma del Seicento e il suo ricordo è ancora vivo nei sonetti del Belli.
Nata a Viterbo nel 1594 da una famiglia di modeste condizioni Olimpia Maidalchini era destinata al chiostro ma riuscì ad evitare il velo accusando il suo confessore di molestie. A vent’anni sposò un ricco e facoltoso possidente viterbese che la lasciò presto vedova ma la sua ascesa sociale iniziò sposando in seconde nozze Pamfilio Pamphilj fratello del cardinale Giambattista Pamphilj, il fututo Innocenzo X.
Quando anche il secondo marito morì, Olimpia era già riuscita ad entrare nelle grazie del cognato e tra i due si instaurò un rapporto esclusivo, fatto di confidenza e di profondo attaccamento.
Donna di non comune intelligenza, intrigante e ambiziosissima e con un forte senso degli affari, puntò tutte le sue carte sul fratello del marito, alla cui elezione, nel 1644, certamente contribuì, anche se ignoriamo in quale dose. Quando il conclave proclamò Papa Giambattista, Olimpia spalancò personalmente le porte di Palazzo Pamphilj al popolino perché saccheggiasse, secondo l’uso, la casa del Cardinale elevato al Soglio. Prima, però, fece portare nella propria casa le suppellettili più pregiate.
Avrebbe voluto installarsi in Vaticano per stare più vicino al cognato ma il cardinale Panzirolo si oppose; Olimpia restò nel proprio palazzo ma ottenne di poter vedere il Papa in qualunque ora del giorno e della notte, provocando inevitabilmente grandi pettegolezzi. Si mormorava che il figlio Camillo, avuto dal secondo marito, fosse in realtà figlio di Innocenzo.
Il Papa era completamente alla mercè della cognata che concedeva e revocava privilegi, distribuiva cariche e prebende, fissava udienze, proteggeva i bordelli per riscuoterne le tasse e, senza ipocrisie, permetteva alle cortigiane di partecipare alle solennità, nonostante esistesse un veto papale. Tutto dipendeva da lei, dai suoi umori, malumori e capricci: "mostruoso potere di una femina in vaticano!” Ambasciatori e cardinali le rendevano omaggio e la colmavano di doni per procacciarsene i favori.
Amante dell’arte e dello sfarzo fece abbellire Palazzo Pamphilj, che si affaccia su Piazza Navona, affidando i lavori a Gerolamo Rainaldi, al quale commissionò anche i lavori per la baroccachiesa di Santa Agnese; Bernini potè realizzare la Fontana dei Fiumi solo dopo aver mostrato un modellino ad Olimpia. Gran parte dell’impianto barocco di Roma lo si deve a lei e al suo innato buon gusto.
Fu una madre possessiva e dispotica: fece nominare Cardinale il proprio figlio Camillo, un bellimbusto frivolo e ignorante che rinunciò al galero per poter sposare la ricca e bellissima ereditiera Olimpia Aldobrandini.
La lotta tra le due Olimpie scoppiò al ritorno degli sposi dal viaggio di nozze e fu degna più di due lavandaie che di due nobildonne. Olimpia riteneva la nuora pericolosa perché il Papa, sebbene vecchio e decrepito, era ancor gaudente con uno spiccato debole per le belle donne. Alla fine fu la nuora ad avere la peggio ma anche Olimpia pagò il fio delle sue prepotenze e delle sue scenate: i cardinali ne imposero l’allontanamento dalla curia.
Sia pure a malincuore il vecchio Papa dovvette accettare questa decisione; Olimpia era divenuta oggetto di troppe chiacchere e lui, il Pontefice, oggetto di troppe corbellature: un anonimo gli aveva inviato una medaglia con incisa su un lato l’effigie della cognata addobbata da pontefice e sull’altro quella sua vestito da donna coi capelli lunghi e con i mano una canocchia e un fuso.
Tuttavia Inocenzo e Olimpia continuarono a vedersi e quando il cardinale Panzirolo morì (era stato lui l’artefice dell’allontanamento della donna), Olimpia tornò nuovamente alla ribalta e il papa di nuovo il suo fantoccio.
Esercitava un tale potere in Vaticano che quando Innocenzo morì, il 7 gennaio del 1655, riuscì a tenere nascosta la notizia per due giorni per condurre a termine il proprio saccheggio degli appartamenti del defunto: mobili, preziosi e opere d’arte.
Donna Olimpia fuggì di notte con una carrozza trainata da quattro cavalli e i bauli colmi di monete d’oro. Quanto al cadavere del papa venne abbandonato in una stanza infestata dai topi in attesa di una sepoltura cui nessuno in Vaticano, a cominciare dalla stessa cognata, volle sostenere le spese. Finalmente un canonico di San Pietro, che era stato un tempo a servizio del Pontefice, sborsò mezzo scudo per le esequie. Queste furono celebrate alla chetichella, senza pompa, tra i lazzi e gli sberleffi del popolino e la gioia dei cardinali che, con la morte di Innocenzo, vedevano la fine del potere della terribile cognata.
Olimpia venne esiliata da Roma dal successore di Innocenzo, Alessandro VII, e morì a S. Martino al Cimino nel 1657 di peste, lasciando i figli eredi di una grande fortuna, circa due milioni di scudi d’oro.