Nel seicento e per buona parte del secolo successivo il mestiere delle armi è cosa complessa e ben diversa da come divenne dopo la rivoluzione francese. Gli Stati non potevano permettersi un esercito regolare ne tanto meno la coscrizione obbligatoria, quello del soldato è un mestiere come un altro, al quale si accede di solito per sfuggire la durissima vita dei campi.
L’aristocrazia non ha più l’esclusiva della funzione militare come nel Medioevo e si limita alla formazione dei quadri ed al comando di parte delle truppe.
L’arruolamento dell’esercito
Non esistendo eserciti permanenti si arruolano soldati senza alcun riguardo alla loro provenienza nazionale cercandoli nelle regioni più povere del continente come in Svizzera, Castiglia e le brulle colline scozzesi. La parola stessa che definisce i combattenti ha un’etimologia chiara: «soldati» presi al soldo.
Il giuramento è alla bandiera, che rappresenta il reparto nel quale la recluta viene inserita e al quale promette una fedeltà che per via gerarchica si trasferisce fino a colui nel cui nome la guerra è combattuta. L’arruolamento è effettuato dai colonnelli, i comandanti dei reggimenti o delle unità equivalenti, attraverso propri delegati. Assoldare uomini significa togliere braccia al lavoro delle campagne e quindi impoverire la regione dove si agisce, in particolare in tempi di crisi demografica. A proibire un arruolamento possono intervenire anche ragioni politiche; l’autorizzazione a raccogliere soldati nei propri territori rappresenta comunque un atto di ostilità nei confronti di colui contro il quale essi sono destinati a combattere.
Il costo dell’esercito
Il denaro è la principale preoccupazione di chi vuole combattere una guerra. A causa della mancanza di denaro, le truppe del Cinque e del Seicento sono sempre sull’orlo dell’ammutinamento. Smobilitare un esercito risulta di solito difficile a causa della massa di arretrati che debbono essere pagati. Può capitare che vittorie ottenute con sacrifici enormi non vengano sfruttate perché i soldati non sono disponibili a continuare a combattere senza prima aver ricevuto almeno un anticipo sulle loro spettanze. A volte la truppa forza la mano ai propri comandanti, oppure si procura da sola quello che giudica essere il dovuto, senza riguardo per il modo nel quale lo fa. Se tenere sotto controllo un esercito in armi rappresenta un’attività difficile, liquidarlo lo è ancora di più. Infatti, non basta versare un anticipo sul soldo arretrato, occorre saldare il debito per intero e i mezzi per farlo non esistono praticamente mai. E necessario allora aprire trattative estenuanti, nel corso delle quali le paghe continuano a correre.
L’esercito come impresa economica
Nel XVII secolo non esiste una struttura statuale pubblica per mantenere un esercito. Un esercito era una gigantesca impresa privata che operava sulla base di quello che oggi definiremmo un appalto: dal reclutamento all’equipaggiamento, dalla logistica al munizionamento. Per procurarsi i cannoni spesso è necessario farli fondere appositamente da mastri campanari, a volte collaborando con gli artigiani che li costruiscono per determinarne caratteristiche tecniche e modalità di realizzazione. Ogni generale crea una sua rete di collaboratori ai quali affidare i vari incarichi, dall’arruolamento alla soluzione dei problemi logistici, al comando delle truppe in battaglia. Le figure più importanti in questa organizzazione sono quelle dei colonnelli, forti di circa duemila uomini, che in quegli anni cominciano a chiamarsi reggimenti. È il prestigio dei colonnelli che garantisce il successo dell’arruolamento mentre il loro mestiere fa sì che gli assoldati vengano inquadrati, che si forniscano loro le armi, le munizioni e i rudimenti dell’istruzione per usarle.
Dato che ogni colonnello gestisce una sorta di impresa, è responsabile anche della sua organizzazione economica. È lui che riceve le paghe, quando arrivano, e le distribuisce ai suoi uomini. Capita che interi eserciti si dissolvano a causa delle diserzioni, ma avviene raramente e solo quando si manifestano condizioni di particolare disagio e demoralizzazione alle quali i comandanti non riescano a porre rimedio.
Spesso questi eserciti si trovano a sopravvivere con l’unica risorsa del saccheggio in territori già molto provati dalla guerra, o addirittura sono costretti, durante gli accantonamenti prolungati, a ritornare alle attività contadine e a lavorare la terra per procurarsi il cibo. Le dimensioni di armate composte da truppe arruolate fra gli emarginati e sostenute da sistemi logistici rudimentali non superano praticamente mai le trentamila unità.
Le salmerie e la popolazione dell’esercito
Al seguito di ogni esercito seicentesco si sposta una comunità allargata comprendente tutti coloro che, a qualunque titolo, svolgono i servizi necessari alla sua esistenza o grazie a esso sopravvivono, non ultimi donne e bambini. E stato calcolato che per ogni soldato ci siano sempre almeno due persone al seguito, ma di solito gli accompagnatori sono più numerosi ancora.
I comandanti tentano in ogni modo di limitare le dimensioni di questi villaggi che si spostano con gli eserciti, rallentandone il movimento e appesantendone in modo abnorme le necessità logistiche, ma i loro sforzi si rivelano quasi sempre vani. I bagagli al seguito, intendendo con questo termine cose e persone, costituiscono l’anima di un esercito, lì si trovano tutti i beni materiali e affettivi dei soldati, che non hanno un’altra casa. Più volte si combattono battaglie disperate pur di non abbandonarli in mano al nemico. I soldati non lo permettono e i comandanti che proponessero di farlo cadrebbero nel discredito agli occhi dei loro uomini.
Per parte loro, le salmerie altrui rappresentano un obiettivo molto appetibile per la truppa. Reparti vittoriosi sospendono l’inseguimento degli sconfitti in fuga e si sbandano per lanciarsi a depredare gli averi del nemico, e così facendo mettono in discussione vittorie già conquistate. Si tratta di un problema che gli eserciti si portano dietro dall’antichità. Il saccheggio del campo avversario è stato per lunghissimo tempo il sogno di ogni soldato e una delle ragioni che lo conducevano in battaglia.
Una guerra lenta ma devastante
Questi eserciti creati per l’occasione, non addestrati e difficili da tenere uniti combattono guerre lente e di bassa efficacia, anche se devastante per i territori che attraversa. Del tutto incapaci di tenere sotto controllo una regione, amica o nemica che sia, gli eserciti seicenteschi ne devono in ogni caso trarre di che vivere, e di solito lo fanno nella maniera più brutale. Gli unici obiettivi alla portata di eserciti piccoli, lenti e poco disciplinati sono le città, così che la guerra è spesso d’assedio e consiste nello strapparsi l’un l’altro il controllo dei centri più ricchi e strategicamente rilevanti, come quelli che dispongono dei ponti per attraversare i fiumi maggiori o che controllano fortezze in grado di bloccare passaggi importanti. Anche le battaglie vengono combattute quasi sempre per proteggere una città o per liberarla da un assedio in corso.
L’obiettivo della guerra seicentesca è il conseguimento di una migliore situazione per trattare la pace. E una guerra per partecipare alla quale si deve essere membri del circolo esclusivo di quanti portano la corona e nessuno dei contendenti intende togliere dalla testa del rivale quella che la cinge.