Il predicatore nel periodo barocco
Scritto da Laura Savani. Pubblicato in uomo e società
Chi può ripensare al seicento senza rivedere in fantasia la figura del predicatore, nerovestito come un gesuita, o biancovestito come un domenicano o col rozzo saio cappuccino, gesticolante in una chiesa barocca, innanzi a un uditorio dai fastosi abbigliamenti?
Questa felice rievocazione di Benedetto Croce mette in luce la figura del predicatore nell’età barocca. La predicazione non era di per se un’esclusiva del Barocco; da quasi duemila anni era il mezzo più efficace per diffondere il Vangelo, ma dopo la grande crisi religiosa del cinquecento e le guerre di religione, la predicazione assunse un valore strumentale.
La predicazione barocca era gesticolante, ampollosa e ad effetto, questo perché non si voleva che l’oratoria sacra si riducesse a pura dialettica ma doveva avere la doppia funzione di stimolare la volontà e compiacere il sentimento.
A questo scopo la Riforma cattolica fece un uso intensivo dell’arte del suo tempo: l’esuberanza decorativa, la tendenza all’iperbole; il tutto per suscitare sentimenti di fervore e di meraviglia nel contemplare le cose celesti. Per le funzioni solenni, le prediche della Quaresima, occorrevano spazi vasti, capaci di accogliere folle numerose o almeno la totalità dei fedeli del luogo. La ricerca di effetti visivi e drammatici sfociò come modo di far appello alla sensibilità elementare del pubblico.
I temi più tipici del repertorio barocco erano rivolti a far intravedere delle realtà ottimistiche, come la felicità e la gloria dell’aldilà. Nelle prediche si preferiva percorrere il cammino verso il paradiso associando al pensiero della beatitudine celeste quello dell’inferno. Nei sermoni non mancavano elementi puramente spettacolari: “verso la fine della predica spesso si calcava in testa (il predicatore) una corona di spine e sulle spalle nude con una disciplina di ferro cominciava a pestarsi la carne. Non contento, con un sughero rotondo incassato in una scatola di latta, armato di spille e di aghi, si batteva forte il petto, facendosi uscire il sangue in gran copia davanti a tutto un popolo che piangeva e implorava misericordia…
gli effetti erano strepitosi: confessioni generali, conversioni innumerevoli, paci tra famiglie e famiglie, tra paesi e paesi, bando al gioco e alle canzoni oscene.
Il predicatore doveva padroneggiare il latino, il greco, l’ebraico e l’italiano. Ma soprattutto era necessario conoscere la dottrina. L’ascendente sociale del predicatore derivava in gran parte dalla sua effettiva capacità di rimproverare gli ascoltatori e di richiamarli all’adempimento dei loro doveri: compito particolarmente delicato quando si trattava di principi e di notabili.
Spesso un professionista scriveva le sue prediche in anticipo. Pur senza aggiungere niente di nuovo alla teoria del gesto e della dizione, il predicatore barocco valorizzava molto queste risorse per arrivare alla persuasione. Montava sul pulpito mentre la folla era in attesa , esponeva alcuni concetti dottrinali, riscaldava psicologicamente l’ambiente aiutandosi con il crescendo della voce, con descrizioni, paragoni e allegorie e pefino con qualche espediente teatrale per ottenere il risultato voluto. Era abbastanza usuale leggere all’uditorio una lettera giunta dal cielo o dall’inferno; ma ancora più diffusa era l’abitudine di dialogare con un teschio o con un crocifisso.
In caso di necessità, la religiosità barocca considerava adatto all’oratoria sacra qualsiasi luogo (per strada, ai piedi del patibolo) essa era presente in quasi tutte le situazioni della vita collettiva.