Dal 2 al 5 settembre 1666 un vortice di fuoco inghiottì la città di Londra, distruggendola in gran parte.
Questa calamità cambiò per sempre il volto della città, che si presentava ancora in gran parte medioevale: andarono infatti distrutte 13.200 abitazioni private, 87 chiese parrocchiali, 6 cappelle, 44 “Company Hall”, oltre agli uffici di cambio (“Royal Exchange”) e la dogana, il Bridewell Palace e altre quattro prigioni. Anche edifici simbolo londinesi come la cattedrale di Saint Paul e la Guildhall non fuorono risparmiate dalle fiamme, mentre le comunicazioni risentirono pesantemente del crollo di 4 ponti sul Tamigi e sul Fleet. In 100.000 rimasero senzatetto.
Ma quali fuorno le cause scatenanti di un evento che mise in ginocchio una delle più popolose e moderne metropoli del XVII secolo? E come poterono le fiamme propagarsi così velocemente e con una furia mai riscontrata prima in altri “storici” incendi?
L'anticamera dell'Inferno
E' l'alba di domenica e in Pudding Lane, nella casa di Thomas Farrinor, fornaio reale di Carlo II, tutti dormono, ignari che di lì a poco una dimenticanza di Thomas, che la sera prima non si è premurato di controllare se tutti i tizzoni nel forno fossero spenti, avrebbe scatenato una reazione a catena fatale e inarrestabile. Non è ben chiaro se siano state le pareti del forno, eccessivamente surriscaldate, o alcuni carboni ardenti a dare fuoco a un cumulo di legna posto nelle vicinanze: l'unica cosa sicura è che quando Thomas e la sua famiglia, che dormiva al piano superiore, si svegliano, l'aria è ormai diventata irrespirabile e la piccola casa elisabettiana dalle travature e la struttura in legno, è letteralmente un rogo. Gli abitanti riescono a salvarsi gettandosi da una finestra del primo piano, non molto elevato, ma la domestica del fornaio,che dormiva nella stanza del forno, non uscirà mai dalla casa maledetta: è la prima vittima di quello che in seguito sarà chiamato il “grande fuoco” di Londra.
Gli incendi erano cosa molto comune nel XVII, soprattutto nei quartieri popolari ove le case erano completamente costituite di materiali combustibili (legno, stracci, paglia, etc) e dove lo stato di estrema promiscuità e sovraffollamento abitativo favoriva questo tipo di incidenti. Questo è uno dei motivi per i quali il Lord Major (una sorta di sindaco) Sir Thomas Bloodworth, svegliato circa un' ora dopo il propagarsi delle fiamme da alcuni allarmati funzionari, liquidò l'incendio come un evento di routine, affermando che “una donna avrebbe potuto estinguerlo con una pisciata”.
Il Lord Major aveva trascurato un particolare: il forte ventodell'est, noto in Inghilterra come Gale, che già dalle prime luci dell'alba aveva cominciato a soffiare sulla città, spingendo le scintille di casa in casa, di tetto in tetto, senza soluzione di continuità. Le abitazioni di quei quartieri, infatti erano costruite le une addossate alle altre, separate solo di tanto in tanto da stretti vicoli, ancora secondo l'impianto cittadino tardomedioevale.
London “on fire”
Quando Sir Bloodworth si decise ad intervenire, solo alcune ore dopo, le strade erano già impraticabili ed avvicinarsi alle zone dell'incendio con macchine e pompe idrauliche era impossibile: folle terrorizzate in fuga e macerie degli edifici in continuo crollo ingombravano gli stretti vicoli. Si sarebbero pututi abbattere degli edifici e aprire un varco più rapido e diretto ai soccorritori verso la zona interessata dal fuoco, ma Sir Bloodworth, ligio burocrate inglese, si rifiutò di dare l'autorizzazione senza il consenso dei proprietari. A nulla valsero gli sforzi delle Train- Band locali, gruppi di soccorso composti da ordinari cittadini costituite per prestare servizio in caso di incendio: attraverso Fish Street le fiamme avanzavano crescenti e poderose verso London Bridge, travolgendo tutto ciò che incontravano. Nessun edificio che fu toccato dal fuoco rimase in piedi, neppure quelli in pietra, comunque sorretti da travature e strutture portanti in legno, come nel caso della cattedrale di St Paul.
Il fuoco, che bruciò ininterrottamente per quattro giorni rendendo l'aria irrespirabile e la visibilità praticamente nulla, consumò i 4/5 della città e si propagò anche fuori dalle musra del centro abitato, devastando un'ampia area agricola.
Come la fenice...
Solo 16 persone fuorno riconosciute come vittime, ma l'elenco dei dispersi è ben più lungo, senza pensare alle masse di diseredati che viveano ammassati nei bassifondi, tra pagilericci e capanne: di certo il numero delle vittime non accertate tra loro, che meno di tutti ebbero possibilità di essere avvertiti dell'imminente pericolo e possibili vie di fuga dai loro tuguri sovraffollati, fu di certo enorme.
Un recente volume, The Dreadful Judgment di Neil Hanson ipotizza, alla luce di alcuni studi urbanistici e demografici sulla Londra del XVII secolo, che le vittime superino il migliaio.
Anche se nell'immediato questo evento ebbe conseguenze devastanti e causò perdite oggi stimabili in dieci milioni di sterline, sul lungo periodo ebbe effetti positivi per la città e per le generazioni successive: la peste, che nel 1665 aveva causato nella capitale circa 70.000 decessi, fu definitivamente debellata e la ricostruzione di strade, abitazioni e monumenti fu rapida e razionale.
La cattedrale di St.Paul fu l'edificio che ebbe una ricostruzione più lunga e richiedette ben 11 anni.
La larghezza, pulizia e ordine dei quartieri londinesi, famosa in tutta europa nel XVIII secolo, si deve in gran parte agli insegnamenti tratti da questa immane tragedia, forse la più drammatica che la Gran Bretagna abbia mai affrontato.
Per organizzare la ricostruzione furono costituite due commissioni da tre membri ciascuna, una nominata dal re e l'altra dalle autorità cittadine, alla cui guida furono posti rispettivamente gli architetti Christopher Wren e Robert Hooke.
Il progetto era di riedificare gli edifici in pietra e mattoni su una pianta a griglia di tipo “continentale”, ma poiché le fondamenta di molti palazzi erano sopravvissute si decise di mantenere l'assetto medioevale, allargando alcune vie e migliorando il sistema fognario e idrico.
L'acquisto dei materiali edilizi fu affettuato tramite una raccolta fondi indetta dal 1667 dal Parlamento, che tassò il carbone e organizzò con i proventi anche moderni “corsi” per la prevenzione degli incendi aperti ai privati cittadini.
Le strade, un tempo buie e dissestate, furono ripavimentate e dotate nel 1708 di lampade globulari poste a intervalli regolari mentre i tetti di paglia, severamente aboliti, ricomparvero a Londra solo nel 1997, con l'inagurazione del nuovo Globe Theater, imitazione di quello shakespeariano distrutto dalle fiamme.
Satana o il Papa?
C'erano state molte profezie rigrado ad un grande incendio che avrebbe inghittito la città di Londra e su catastrofi che si sarebbero dovute verificare nell'anno 1666, che in numeri arabi comprendeva il numero satanico della bestia e in numeri romani era una scala di valori digradanti (MDCLXVI). Walter Gostelo nel 1586 aveva scritto: “Se il fuoco non fa ceneri della città, e delle tue ossa anche, ritienimi un bugiardo per sempre! ... il decreto è emesso, pentiti, o brucia, come Sodoma e Gomorra!”.
Agli abitanti della città, già provati dalla guerra civile e da un aterribile pestilenza, era facile suggestionarsi e credere ad una profezia apocalittica che assecondava il clima generale di pessimismo e negatività.
Dopo l'incendio circolarono molte versioni sull'origine della catstrofe: si disse che ad appiccare il fuoco era stato il Governo per debellare definitivamente la peste o i cattolici, tramite l' orologiaio francese Robert Hubert, che dichiarò di essere un emissario del papa e di aver incendiato Westminster. In seguito ritrattò e disse di averlo appiccato nel forno di Pudding Lane: nonostante le numerose prove che lo scagionavano, fu impiccato il 28 settembre.
Intellettuali sotto shock
Wren e Hook progettarono anche un monumento commemorativo dell'evento e delle sue vittime, oggi noto ai londinesi semplicemente come The Monument, collocandolo nel luogo dove inizò l'incendio, vicino al London Bridge.
Il commediografo Jhon Dryden fu il primo che cercò di reagire allo stato di empasse in cui si era venuto a trovare il mondo intellettuale: i centri pulsanti della cultura londinese, i teatri e le “company hall”erano andate in gran parte distrutte, le compagnie e gli scrittori erano senza lavoro e il pubblico aveva ben altro a cui pensare che a farse da palcoscenico. Tuttavia, con il suo poema Annus Mirabilis del 1667 tentò di dare una chive di lettura diversa e ottimistica, dove l'avvento del fuoco veniva presentato più che come una catastrofe come un prodigio che dava modo al sovrano, già intenzionato a rinnovare la città, di costruire sulle ceneri una nuova e più gloriosa capitale. Anche le poche vittime accertate venivano considerate un volere divino che, nel momento della prova, privilegiava l'Inghilterra.
Lo scrittore Samuel Pepys annotò in un suo diario, uno dei resoconti più importanti degli eventi del XVII in Inghilterra, il drammatico evento: « Più tardi Jane arriva e mi dice di aver udito che oltre 300 case sono andate in fiamme questa notte per l'incedio che abbiamo visto, e che sta divampando lungo tutta Fish Street, vicino al London Bridge. Così mi sono preparato alla svelta e ho camminato fino alla torre; e li sono salito fino ad uno dei piani alti, e li ho visto le case alla fine del ponte tutte in fiamme, e un incendio infinito su questo e l'altro lato del ponte! »
Pepys, nominato da Carlo II nel 1660 Ministro della Mairna, si trovò spesso negli anni successivi al grande fuoco a dover difendere il suo ministero dai tagli economici che vennero applicati avunque per favorire la ricostruzione: a lui e alla sua tenacia si deve il fatto che la flotta non fu ridotta né privata di finanziamenti, mantenendo invariata la potenza inglese sui mari nei secoli XVII e XVIII.