La dinastia dei Gonzaga, signori di Mantova, cominciò nel 1328: il territorio su cui regnavano era formato oltre che da Mantova, dal territorio che circonda la città. Solo col tempo i Gonzaga riuscirono a strappare altro territorio a Verona (per la decadenza degli Scaligeri) e a Milano (sottraendolo ai Visconti).
Si trattava di territorio fertile che i Gonzaga seppero ammininistrare con oculatezza difendendolo con accorte alleanze dalle mire dei Visconti. Durante il '400 i Gonzaga si distinsero oltre che come comandanti di eserciti mercenari anche come raccoglitori di opere d'arte.
Nel Cinquecento, mentre Milano cadeva sotto il dominio dei Francesi prima e degli Spagnoli poi, i Gonzaga seppero conservare la loro autonomia: giovò loro l'alleanza con la Spagna e la politica di sostanziale neutralità condotta nei riguardi della Repubblica di Venezia.
Nel 1536 oltre che il titolo di duca i Gonzaga videro ampliato il loro territorio con l'acquisto del Monferrato (pressappoco le attuali province di Asti ed Alessandria), attraverso il matrimonio di un Gonzaga con l'erede femminile del territorio piemontese.
Il dominio gonzaghesco così si trovava in posizione di rafforzare o minacciare il territorio spagnolo del ducato di Milano.
Carlo Gonzaga Nevers
Durante il Cinquecento l'alleanza Gonzaga-Spagna non ebbe mai incertezze. Le cose si complicarono nel 1612 quando il duca Vincenzo I morì senza eredi diretti e il Monferrato fu preteso dai Savoia. A Mantova salì al potere Ferdinando Gonzaga, prima cardinale che, aiutato dagli spagnoli respinse le pretese dei Savoia e conservò il Monferrato. Una questione ben più grave si presentò nel 1627 alla morte del duca Vincenzo II che non avendo eredi diretti lasciò i suoi territori ad un nipote che viveva in Francia: Carlo duca di Nevers e Réthel. Costui discendeva da un Gonzaga, Ludovico (o Luigi), che si era trasferito in Francia e vi aveva sposato la signora di Cleve.
Carlo accettò l'eredità sospinto dalla Francia di Richelieu che insperatamente collocava un francese al centro della pianura padana; così, con i suoi domini piemontesi e lombardi, il Gonzaga Nevers, con l'appoggio delle armi francesi, poteva mettere in serio pericolo il dominio spagnolo del ducato di Milano. Di qui l'opposizione della Spagna che voleva come duca un altro Gonzaga. Carlo Emanuele I di Savoia, che desiderava impadronirsi nel Monferrato, appoggiò l'opposizione della Spagna e si alleò con lei. Con questa alleanza Mantova sarebbe andata al Gonzaga favorito dagli spagnoli, ed una parte del Monferrato sarebbe passata al Savoia. Fu da questa alleanza che si scatenò la Guerra per la Successione al Ducato di Mantova, un episodio della più ampia e grave guerra europea che, per essersi combattuta dall'anno 1618 all'anno 1648, prese il nome di guerra dei trent'anni. Lo schieramento degli stati contrapposti in Europa si ripetè anche nella valle padana: contro la Francia alleata dei Gonzaga si trovarono la Spagna e l'impero germanico: loro alleato minore era il Savoia. Non essendo in grado gli spagnoli di condurre la guerra contro il Monferrato e contro le formidabili fortezze di Mantova, lasciarono il compito dell'assalto a Mantova alle truppe imperiali; per sé scelsero il fronte del Monferrato e assalirono e assediarono la città di Casale.
Il Savoia si impadronì senza difficoltà del Monferrato che gli spettava secondo il trattato di alleanza stipulato con la Spagna. Il governatore di Milano ebbe l'incarico di condurre la guerra contro Casale: non approdò a nulla ed in seguito venne sostituito con lo Spinola, che andò incontro allo stesso insuccesso. Nel marzo del 1629 Luigi XIII decise di recare aiuto all'alleato Gonzaga e scese in Italia: sconfitto il Savoia lo costrinse ad abbandonare gli Spagnoli oltre che a dare aiuto agli assediati di Casale. Si trattò di un'azione dimostrativa perché in realtà l'attenzione francese era tutta rivolta alla situazione sul Reno e alla guerra contro l'Impero germanico.
Mantova assediata dai Lanzichenecchi
Alla fine di maggio del 1629 l'Imperatore mandò un corpo di mercenari lanzichenecchi contro Mantova. Si trattava di truppe note per il loro valore, per i loro valorosi comandanti e soprattutto per la loro ferocia e per i saccheggi cui si abbandonavano con tecniche che si possono definire "scientifiche". Al saccheggio non erano sottoposti solo i territori degli stati nemici ma anche di quelli amici. Questo primo corpo di lanzi non conseguì alcun risultato significativo. Con l'autunno essi iniziarono il saccheggio di Mantova. La città retta dall'abile e generoso Gonzaga Nevers, si difese bene ma, schiacciata dalla peste, superata dall'impressionante superiorità dei Lanzichenecchi cedette e fu presa. Il peggio era stato compiuto dalla peste: "morivano di peste 250 e fin 300 persone al giorno, in cui la guarnigione era decimata a segno da obbligare il Duca e il maresciallo d'Estrées a mandare i propri domestici a montare la guardia. In quattro mesi erano morte più di 25.000 persone tra borghesi e militari.... Alla fine di luglio non vi erano in Mantova che settecento fanti a combattere e 50 cavalli, mentre la città con i borghi misurava circa otto miglia di circuito".
Il 18 luglio 1629 i Lanzichenecchi penetrarono in città: il duca e i pochi che poterono salvarsi resistendo si chiusero dentro il palazzo fortificato. Ma presto dovettero arrendersi. E per tre giorni i Lanzichenecchi si abbandonarono al saccheggio, uno dei più terribili subiti da una città. "Nulla sfuggì all'avidità del conquistatore... La sontuosa reggia dei Gonzaga, nella quale da secoli avevano accumulato tesori incalcolabili principi amanti del fasto, della bellezza e dell'arte venne ridotta in tali condizioni da conservare in modo incancellabile le tracce del vandalico passaggio...Se nel palazzo ducale immensi erano stati la devastazione e il saccheggio, molto più impressionanti erano le scene, ma contro le persone; qui si scatenarono i più bestiali appetiti... Tre volte i saccheggiatori ritornarono alla preda e sempre con inesausta avidità, sempre con rinnovato furore. Quelli che venivano ultimi, trovando minore bottino, si sfogavano con sempre crescente accanimento sulle persone. Le uccisioni si moltiplicavano; da per tutto veniva appiccato il fuoco; e l'asilo cercato nelle chiese e nei monasteri non bastava a proteggere le donne dalla libidine soldatesca. Pungente e dilaniante nella generale distruzione dei commerci e delle mercanzie si faceva sentire lo stimolo della fame... Dalle case private il saccheggio si estese a tutti gli edifici pubblici. La dogana fu interamente depredata: così i depositi di sale; si fece man bassa sugli oggetti raccolti nei Monti di Pietà; furono vuotati i magazzini dei mercanti privati... Contro gli Ebrei, in Mantova molto numerosi, gli Imperiali procedettero con immane crudeltà. Il ghetto venne interamente spogliato e completamente saccheggiati i cinque banchi di pegni, che ivi erano. Ai 1800 ebrei, circa, della città fu imposto di uscirne immediatamente e fu proibito di portar seco più di tre ducatoni a testa. Raccolti in due convogli, gli infelici furono avviati parte a S. Martino, terra del principe di Bozzolo, parte di là dal Po; e gli uni e gli altri in così barbaro modo che molte furono le vittime nel viaggio".
La Mantova di una volta "era irrimediabilmente scomparsa"
Intanto sul piano internazionale francesi, spagnoli e tedeschi raggiunsero una pace che in realtà fu una tregua. Nelle trattative c'entrò anche il ducato di Mantova, Col trattato di Cherasco del giugno 1631 Mantova fu restituita ai Gonzaga Nevers, lo stesso che la guerra avrebbe voluto cacciar via.
Ma la Mantova di una volta "era irrimediabilmente scomparsa. Estinto il miglior fiore della gente, devastato in modo irreparabile tutto quello che rappresentava arte e bellezza, disseccate per lunghi anni le fonti della ricchezza agricola e commerciale; spenta, nella tragica depressione degli animi, ogni velleità, ogni ambizione nei principi, Mantova, città da secoli fiorente, da secoli invidiato centro di potenza e di ricchezza, passava nel novero delle città secondarie, capitale di un misero stato, asilo di gente dolorante e in gramaglie, ricetto di fuorusciti e di condannati, recante l'orma incancellabile di un rircordo d'orrore, che sembrò per molti anni comprimerne e limitarne l'attività ricostruttiva".