Le Putte di Coro
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in musica barocca
Gli Ospedali veneziani
L'Ospedale della Pietà di Venezia venne fondato nel 1346; ai tempi di Vivaldi era sistemato in un edificio sulla Riva degli Schiavoni, di fronte all'isola di San Giorgio Maggiore. In quanto istituzioni di beneficenza, gli Ospedali erano mantenuti da fondi dello stato la cui amministrazione dipendeva direttamente da un consiglio nominato dal Senato della Repubblica Veneziana.
Gli ospedali, al tempo delle crociate, erano nati come ostelli per i pellegrini. Nei secoli successivi divenne loro compito prendersi cura delle trovatelle: l'insegnamento della musica aveva un posto di rilievo nei programmi educativi.
In epoca barocca la loro reputazione era tale che a volte le famiglie patrizie cercavano di ottenere un posto per le figlie come studentesse a pagamento e tale era la fama della musica che vi si eseguiva che ne parlavano nei loro scritti non solo musicisti come Quantz e musicologi come Charles Burney ma anche uomini di lettere quali Rousseau e Goethe. Gli ospedali mantenevano un rapporto complementare con i teatri, svolgendo un'intensa attività musicale nei periodi in cui questi erano chiusi. I compositori operistici diventavano, fuori stagione, compositori d'oratori.
Alla fine del ‘600, peraltro, c'era negli ospedali un interesse per il virtuosismo strumentale (specie alla Pietà) e per la varietà degli strumenti molto maggiore che nei teatri.
L'Ospedale della Pietà
Alla Pietà, ma anche negli altri tre ospedali della città, venivano ospitate ragazze inquadrate in due categorie: le “figlie di coro”, o le “orfanelle filarmoniche” come pittorescamente le definitiva Grevenbroech, illustratore ad acquarello degli usi e costumi veneziani, che ricevevano un'educazione specificatamente musicale e le “figlie di commun”, le quali erano impegnate in corsi artigianali di vario genere.
Secondo alcune testimonianze verso la metà del Seicento le ospiti erano circa cinquecento; registri del 1738 denunciano una presenza raddoppiata.
Tra i due gruppi di ospiti erano in minoranza le “figlie di coro”; le migliori dei corsi superiori dovevano garantire l'esercizio musicale della Cappella e un ricambio esecutivo. Secondo un regolamento di poco posteriore ai tempi di Vivaldi l'organico della Cappella risultava formato da diciotto cantanti, una decina di strumentiste per gli archi, due organiste e un paio di soliste.
Verosimilmente questa indicazione era quella delle occasioni comuni, poiché le testimonianze letterarie e pittoriche, relative a circostanze solenni, mostrano le orchestre di consistenza ben maggiore, soprattutto nelle sezioni a fiato e fra le cantanti.
Per Vivaldi, l'incarico all'ospedale come “Maestro de concerti”, rappresentò, non solo la sicurezza del pane quotidiano ma soprattutto un posto di grande prestigio professionale e, di più, un laboratorio di alto livello dove mettere a punto i suoi esperimenti di composizione.
Le scene iniziali del film Antonio Vivaldi, un principe a Venezia di Jean-Louis Guillermou (2007)
Illustri testimonianze
Sulla maestria esecutiva delle “ospealere” i commenti entusiastici si sprecano, a un punto tale da renderne persino stucchevole il catalogo.
Peter Andreevic Tolstoj, gentiluomo russo, 1698: “Ci sono a Venezia conventi di donne, dove queste suonano l'organo e altri strumenti, e cantano così meravigliosamente che in nessun'altra parte del mondo si potrebbero trovare canti così dolci e armoniosi”.
Edmund Wright, viaggiatore inglese, 1720: “ Tutte le domeniche e le altre feste si tengono nelle cappelle di questi ospedali dei concerti sia vocali che strumentali eseguiti dalle fanciulle. Esse stanno su di una cantoria e un spessa inferriata le cerla agli occhi del pubblico. Le loro esecuzioni sono di assoluta eccellenza: parecchie tra loro sono dotate di voci stupende, e l'essere così nascoste alla vista rende il tutto più attraente”.
Sappiamo da una testimonianza di Johann Christian Nemeitz del 1726 che la musica nelle chiese dei quattro ospedali veneziani, cioè la Pietà , ai Mendicanti, all'Ospedaletto e agli Incurabili, si faceva tutti i sabati e le domeniche e nei giorni di festa; incominciava dalle quattro circa del pomeriggio e durava fino a poco dopo le sei.
L'Ospedale della Pietà era ovviamente il più importante, le fanciulle tutte orfane, fatta eccezione per quelle che venivano mandate lì come pensionanti dalle famiglie povere, venivano educate al “timor di Dio”, a leggere, scrivere, filare e cucire e soprattutto nell'arte della musica.
Era straordinario vedere come molte di esse eccellessero non solo nella musica vocale, ma anche in quella strumentale, come suonassero da maestro il violino, il violoncello, l'organo, la tiorba e persino l'oboe ed il flauto.
Molto famose nel canto furono due ragazze, Polonia e Gertrude; nell'organo una certa Tonina; nella tiorba Prudenza, nell'oboe Susanna e nel violino Anna Maria, quest'ultima considerata una vera e propria virtuosa.
Charles de Brosses, francese, spirito enciclopedico (erudito, uomo politico, intenditore di belle arti), scrivendo ad un amico nel 1739 non nascose il suo compiacimento di melomane tinto di sfumature molto libertine:
“Qui la musica senza confronti è quella degli Ospedali. Ve ne sono quattro, tutti popolati di fanciulle bastarde, oppure orfane, oltre a quelle che i genitori non sono in grado di mantenere. Esse sono allevate a spese dello stato ed esercitate unicamente ad eccellere nella musica. Perciò cantano come angeli e suonano il violino, il flauto, l'organo, l'oboe, il violoncello e il fagotto; insomma non c'è strumento, per quanto grosso, che riesca ad intimidirle. Vivono in clausura come le monache. Soltanto loro partecipano alle esecuzioni ed ogni concerto può contare su di una quarantina di ragazze.
Vi giuro che niente eguaglia il diletto di vedere una monachella giovane e carina, vestita di bianco, con un mazzolino di fiori di melograno all'orecchio, dirigere l'orchestra e battere il tempo con tutta la grazia e la precisione immaginabili.”
C'è da notare che solo quattro anni dopo il giovane Rousseau in visita all'Ospedale dei Mendicanti trovò, a suo dire, solo ragazze orribili, guerce e sfigurate dal vaiolo, per quanto eccellenti musiciste:
“Quello che mi dava fastidio erano le grate che lasciavano passare i suoni ma impedivano la vista di quegli angeli di bellezza… Il Signor Le Blond, che sapeva il mio desiderio mi presentò una dopo l'altra quelle cantanti celebri di cui non conoscevo che la voce e il nome. “Venite, Sofia…” era orribile. “Venite, Caterina”, era guercia. “Venite, Bettina”, il vaiolo l'aveva sfigurata. Quasi nessuna era priva di qualche grave difetto. Le Blond rideva crudelmente della mia sorpresa. Ero desolato. Durante il pranzo le ragazze si animarono e diventarono allegre.
La Bruttezza non esclude la grazia, e loro ne avevano. Pensavo: non si può cantare così senz'anima: e loro ne hanno. Infine mi abituai talmente alla loro vista, che uscii di lì che ero innamorato di quasi tutte quelle bruttezze”.
Forse Rousseau esagerava un poco, cedendo al proprio temperamento amante dei contrasti drammatici.
Il rovescio della medaglia
Dei quattro ospedali, il primo, per accuratezza della concentrazione orchestrale, “la perfection des symphonies”, era quello della Pietà. Era l'unico luogo dove si poteva ascoltare quell'attacco dell'arco per il quale l'Opera di Parigi portava falsamente il vanto.
C'è un aspetto, tuttavia, ancora più sorprendente, di carattere sociologico, sul quale qualsiasi testimone dell'epoca, inconsapevolmente, sorvolava: tutto questo fiorire di estri armonici, ottenuto con grande dispendio di tempo e di investimenti ero purtroppo effimero.
A differenza, infatti, dei Conservatori napoletani, che ospitavano solo fanciulli di sesso maschile (compresi quelli che avevano dovuto subire la “fatale incisione”), gli ospedali veneziani davano asilo unicamente a ragazze, cui però era negata la possibilità di abbracciare in seguito la carriera professionale come suonatrici o come cantanti.
Per motivi di decenza e di ordine pubblico le orchestre al servizio delle corti principesche o delle istituzioni ecclesiastiche accettavano nelle loro fila solo uomini; non parliamo poi dei teatri, dove le donne che cavalcavano le scene erano per lo più considerate nella mentalità corrente alla stregua di femmine perdute.
I regolamenti dell'istituto cercavano di scongiurare una simile evenienza, che in effetti si verificò pochissime volte, e sempre fra scandali e stracciamenti di vesti da parte dei moralisti.
Quindi, una volta raggiunta la maggiore età, a queste grandi virtuose veneziane non rimanevano che due strade: farsi scegliere da un marito, per cui rinunciare al proprio talento musicale, oppure rimanere, almeno su carta, illibate, e continuare ad esercitare la loro arte all'interno dell'ospedale; diventare maestre e, in cambio di un dignitoso mantenimento a vita, trasmettere alle più giovani le competenze acquisite.
In questo modo si perpetuava, facendo economia sui costi d'esercizio, questa istituzione.
Alcune “putte”, se cantanti, tentavano la strada del teatro, dove dalla fine del Seicento I Castrati erano talvolta sostituiti con donne vestite da uomo.
Gli impresari avevano finalmente trovato il modo di cavarsela di fronte alle esorbitanti pretese economiche dei castrati, signori assoluti del mercato delle voci.
Diversa sorte toccava alle donne dell'aristocrazia che potevano svolgere nell'intimo dei palazzi l'attività musicale.
La più celebre manifestazione musicale femminile si ebbe nel ‘500: il Concerto delle dame attivo a Ferrara e famoso in tutta Europa per la bravura delle componenti.
Ma per le putte, per quanto eccelse fossero, non poteva che essere un disonore esibirsi in orchestre pubbliche.