Nato a San Giovanni, Bergamo, nel 1609, Carlo Cerèsa fu allievo di Daniele Crespi e suo aiuto negli affreschi della certosa di Garegnano nel 1629.
Visse soprattutto a Bergamo, dove lasciò, in chiese della città, numerosi quadri sacri e pale d'altare che rivelano evidenti influssi dell'arte del maestro, non disgiunti da ricordi della scuola bolognese e in particolare del Guercino. La sua fama è principalmente legata all'intensa attività ritrattistica.
La pittura di Ceresa
La formazione artistica è autodidatta partendo dalla tradizione pittorica bresciana e lombarda utilizzando modelli del tardo rinascimento come Barrocci e Goltzius. In quel periodo a causa delle peste molte confraternite possono disporre di numerosi lasciti da parte delle vittime usati anche per dipinti e quadri fornendo lavoro al pittore.
Verso il 1630 lo stile muta migliorando notevolmente e questo è dovuto probabilmente al soggiorno veneziano e al contatto con Daniele Crespi mentre la maturità stilistica si afferma nel 1640. Dalla meta del seicento non seguirà più modelli e data la mole di lavoro spesso ripetitiva affida i lavori ai figli.
Ceresa ritrattista del seicento
I ritratti sono un elemento importante della pittura di questo autore che si evidenzia per l’impronta realista, con fini dettagli negli elementi e nei costumi.
Le posizione in cui ritrae sono ravvicinate ed essenziali spesso con posizione frontale per dar maggio risalto all’espressione del volto congliendo l’essenza della persona con grande naturalezza.
La pittura sacra di Carlo Ceresa
Lo stile di Carlo Ceresa per la pittura sacra è particolare e in linea con i modelli del cardinale Borromeo seguendo le linee guida dell’arte sacra della controriforma: naturalismo e devozione.
Realizza pale nelle chiese delle confraternite delle valli come: Madonna del Rosario, Santi Sebastiano, Rocco, Bernardino da Siena e Carlo Borromeo, Antonio di Padova, Nicola da Tolentino
Anche in queste pitture Ceresa si dimostra ritrattista perché dipinge spesso parenti e conscenti come volti di santi.
I suoi molti ritratti (Milano, Brera; Bergamo, Galleria dell'Accademia di Carrara), lontani da ricerche retoriche, dipinti con stile ampio e robusto, aderiscono alla realtà quotidiana e sono ricchi di schietta efficacia poetica, riallacciandosi alla grande tradizione lombarda di Giambattista Moroni.
Morì a Bergamo nel 1679.