Nicolas Poussin
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in pittura barocca
Nicolas Poussin nasce a Les Andelys nel 1594. Il padre vuole avviarlo alla magistratura, ma il giovanissimo Nicolas ha idee ben diverse per il suo futuro: entra giovanissimo nella bottega di Quentin Varin, pittore manierista che soggiorna a Les Andelys tra il 1611 e il 1612. Quando Varin riparte, Poussin scappa a Parigi. Qui vive un difficile periodo di formazione, finché nel 1622 incontra il poeta italiano Giovan Battista Marino, che apprezza la sua pittura e gli offre protezione e amicizia. Grazie al Marino comincia a farsi conoscere nella capitale francese, e ottiene importanti commissioni.
Tuttavia nel 1624 lascia Parigi alla volta di Roma: sempre grazie al cavalier Marino ottiene i favori del cardinale Barberini, e continua la sua formazione. Studia Raffaello, la cultura romana, ma anche i caravaggeschi e il classicismo bolognese impersonato da Reni e Domenichino. Nel 1628 il cardinale Barberini gli commissiona una pala con il Martirio di San’Erasmo, destinata a un altare della Basilica di San Pietro. Nel 1630 perde un’importante commissione per la chiesa di San Luigi dei Francesi; decide di abbandonare i grandi incarichi ufficiali e si dedica a quadri di formato più piccolo, per i ricchi amatori d’arte. Riconquista così il pubblico francese, che diventa il suo principale committente. Gli amici lo sollecitano a tornare in Francia: nel 1640 finalmente si decide, anche perché le promesse di lavoro si fanno sempre più allettanti.
A Parigi, il cardinale Richelieu lo accoglie calorosamente. Luigi XIII lo nomina “primo pittore ordinario del re” e gli affida la direzione di tutti i lavori di pittura e di decorazione per le dimore reali. Nonostante gli alti riconoscimenti, i pressanti obblighi della vita di corte finiscono per infastidirlo: così Poussin rinuncia agli straordinari vantaggi della sua carica e nel 1642 torna a Roma. Qui conduce una vita consacrata al lavoro, movimentata solo dalle visite di amici e mecenati francesi. Nell’ultimo periodo della sua vita si accentua il suo interesse per il paesaggio naturale. Le quattro Stagioni del Louvre (1660-64), eseguite per il duca de Richelieu, costituiscono il suo testamento artistico e spirituale. Poussin muore a Roma nel 1665.
I pastori d'Arcadia
Le opere di Nicolas Poussin sono la più convinta e rigorosa attuazione dell’ideale classico: dallo studio della pittura di Tiziano, e particolarmente dai Baccanali dipinti per Alfonso d’Este che erano passati da Ferrara a Roma nel 1598, deriva l’ispirazione per una serie di dipinti di tema mitologico, caratterizzati da un timbro cromatico chiaro e luminoso, ricco di riflessi dorati. Ma l’artista non si abbandona alla pura emozione pittorica: impone alle sue opere un ordine ben meditato, articola la composizione in ampie ellissi o in simmetrie bilanciate, abilmente dissimulate dalla varietà dei gesti e delle attitudini dei personaggi. Un esempio è L’impero di Flora (1631), con tema derivato dalle Metamorfosi di Ovidio: la dea danza spargendo fiori in un giardino inondato da una luce radiosa; intorno a lei si riconoscono Narciso, Adone, Giacinto, Aiace, Clizia, ossia gli amanti infelici e gli eroi di cui Ovidio aveva narrato la trasformazione in fiori. E’ un’immagine evocativa e armoniosa, proiettata nell’atmosfera distaccata del mito. In altre opere traspare invece una forte tensione morale: la famosa tela raffigurante la Morte di Germanico (1628) combina ricerca archeologica, insegnamento morale ed espressione degli “affetti”, il tutto orchestrato con rigoroso autocontrollo da parte dell’artista. All’origine di ogni suo dipinto c’è una lunga riflessione sul soggetto e sulla storia, nello sforzo di trasporla in un linguaggio antico, modellato grazie allo studio dei marmi romani e alle immagini dei poeti classici.
Il ratto delle Sabine
Nelle opere della maturità la rappresentazione del paesaggio acquista importanza crescente, fino asubordinare a sè le figure. Il paesaggio di Poussin non è mai un “vero” paesaggio, non nasce dall’osservazione diretta della natura ma sempre da impressioni letterarie, si modella su una visione della natura mutuata dall’epica virgiliana e dalla poesia bucolica. La serie delle Stagioni (1660-64) è ispirata alle Georgiche di Virgilio, suo autore prediletto insieme a Ovidio. Qui come altrove, il paesaggio è una costruzione del pensiero e gli elementi naturali hanno valenza simbolica.
Anche quando dipinge se stesso Poussin non rinuncia a comunicare altro rispetto al mero dato di natura: l’Autoritratto del 1650 ci presenta un’immagine austera, grave, dove la posa monumentale e lo sguardo comunicano il rigore intellettualistico della sua arte.