La puttana e il pittore, gli amori del Caravaggio
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in pittura barocca
a te, che hai gettato gli angeli
sulla Terra, a te che hai rischiarato
i bassifondi più cupi dell'essere uomini,
rendendo il peccato sui nostri volti
il più bello degli ornamenti
Strade strette e sporche, botteghe squallide di carbonari e straccivendoli, bordelli e osterie maleodoranti che brulicano di giovinastri lesti a colpir di spada e disperati senza nulla da perdere che si guadagnano da vivere barando al gioco e borseggiando, prostitute che oggi considereremmo poco più che bambine, pronte a tutto per un bicchiere di vino o qualche biscotto.
C'è davvero di tutto nel rione Campo Marzio di Roma quando vi arriva Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Siamo nel 1592 e il pittore resterà in questo quartiere, in una minuscola, umida stanza al secondo piano di una costruzione che oggi non esiste più fino a quella drammatica domenica del 1606, quando sarà costretto a lasciare la città accusato di aver ucciso Ranuccio Tommasoni.
In quelle strade, dove la vita pulsa nella sua accezione più cruda e più vera, c'è tutto il mondo di Caravaggio, artistico, emotivo e sociale: i garzoni che corrono verso le residenze dei loro ricchi signori portando sontuosi cesti colmi di sedani e frutta appena acquistati nel vicino mercato, sonatori ambulanti con liuti e flauti, aitanti ragazzotti che giocano d'azzardo, giovanissime cortigiane che riempiono le fantasie di Michelangelo come più tardi riempiranno alcune tra le sue tele più belle. Per lui, che ha solo vent'anni ma ha già alle spalle numerose denunce per reati di aggressione e probabilmente anche un omicidio compiuto a Milano, quello è l'unico dei mondi possibili. Nessuno sgomento, nessuno stupore, se non quello, meravigliato e tutto barocco, per lo scorrere stesso della vita e per i volti dei suoi “attori”.
Frequenta i giovani del quartiere, e si riunisce “in banda” con loro, passando di osteria in osteria, di bisca in bisca. In particolare stringe amicizia con l'architetto e poeta lombardo Onorio Longhi, un personaggio di spicco della vita culturale romana che, come molti altri, preferisce i bordelli dei bassifondi ai salotti cardinalizi: con lui si trova spesso coinvolto in risse e zuffe, spesso sedate con violenza e severità dalla polizia di quartiere, molto attiva nel tentativo di far osservare le miriadi di divieti e norme che piombano sulla Roma controriformista. Tra le denunce che pendono su Michelangelo, Onorio e la loro brigata c'è quella di un pasticcere, derubato ogni domenica dei suoi “bianchi magnari”, e quella di una “giovine e bella donna che vive ai Santi Apostoli”, oggetto di canzonacce volgari e schitarrate notturne sotto il suo balcone. Nel verbale si parla espressamente di un “ragazzetto sbarbato di nome Michelangiolo, che si dice pittore”.
E' spesso nei bordelli del Campo Marzio, vero cuore pulsante dell'economia e della socialità del quartiere: vi si trovano anziani, bambini lasciati in custodia alle ragazze dalle madri lavoratrici o figli stessi delle prostitute, signori ben vestiti, talvolta persino ecclesiastici. Anche il padrone di casa di Michelangelo, certo Tarquinio dilettante pittore, gestisce due bordelli e un'osteria. Impossibile non vivere immerso in questa realtà, dalla quale il pittore mutuerà le conoscenze, gli amori, l'ispirazione.
Fillide Melandroni ha 17 anni quando Caravaggio la vede nelle strade del quartiere, adescando i passanti sotto lo sguardo vigile del suo protettore- amante, Ranuccio Tomassoni. Il pittore inizia a frequentarla sovente come cliente, e anche quando in lui comincia a crescere un sentimento peraltro corrisposto dalla giovane, continua a spendere le sue spesso esigue finanze per poter avere i suoi favori “come uno qualunque”. Con uno struggente, rassegnato e al tempo stesso perverso piacere la vede ogni giorno accompagnarsi con molti uomini.
Ma nel ritratto che ne fa' nel 1597, distrutto a Berlino durante i bombardamenti del 1945, non c'è traccia di questa vita mesta e squallida: lei è solo Fillide, una ragazza dalle chiome scure e dallo sguardo profondo, che stringe in mano un ramoscello fiorito. Una ragazza come lui non ne ebbe mai, e forse come mai ne avrebbe volute. Sono tutte prostitute, da quelle di strada a quelle di alto bordo, le donne con cui Caravaggio ha una relazione documentata, le uniche figure femminile che ritenga degne di essere ritratte sulle sue tele, a parte le anziane e le prime Madonne, scolastiche e impersonali.
Fillide comparirà in ben quattro dipinti di Caravaggio: negli anni il pittore dipinge la sua bellezza che sboccia, la ragazza che diventa donna, una donna che ormai non è più una semplice puttana di strada, ma una prostituta richiesta da nobili e signori, educatrice di altre cortigiane. Ma Michelangelo non ha mai smesso di frequentarla e di girarle attorno, anche quando lei è diventata decisamente “troppo” per un pittore da bassifondi. E questo costante, morboso interesse, che persiste anche accanto alla frequentazione di altre prostitute, infastidisce non poco Ranuccio Tomassoni e suo fratello Giovan Francesco.
La “banda” dei Tomassoni gestisce numerosi loschi traffici nel quartiere Campo Marzio ed è considerata da tutti un nemico temibile da cui guardarsi. Da tutti, tranne che dallo spregiudicato Michelangelo. Spesso il pittore e Ranuccio si azzuffano e si feriscono, chiamando in causa le rispettive bande e creando tutti i presupposti per i drammatici accadimenti del 28 maggio 1606.
Negli ultimi anni romani, tuttavia, Caravaggio non ha in testa e nel pennello solo Fillide: “Lena” Maddalena Antonietti, prostituta nota in tutta l'Urbe in quegli anni, sarà spesso vista in compagnia del pittore, tanto da essere più volte identificata dagli abitanti del quartiere come “donna di Michelangelo”. Lena esce da una famiglia di cortigiane: sua sorella Amabilia era una prostituta bellissima e un documento ce la mostra di notte su un cavallo, con le chiome sciolte, che tornava a casa ammantata da uomo dopo una notte passata con il bargello del Campidoglio. Anche Lena ha amicizie altolocate: per esempio con il cardinal Peretti, nipote di Sisto V e probabilmente suo amante e protettore. Caravaggio sembra sceglierla appositamente per la sua grande fama, sopratutto in ambito ecclesiastico, per dare il volto alla “Madonna dei Pellegrini”(1604-6) in S. Agostino e alla “Madonna dei Palafrenieri”(1606), con l'intenzione di creare scandalo e scalpore.
Questa scelta risulta ancora più estrema e di rottura se si pensa che a Roma un divieto controriformista proibiva espressamente di fare ritratti alle cortigiane, incarnazione stessa del peccato. Caravaggio non solo contravviene al divieto, ma porta sugli altari una bellezza procace e sensuale, in cui l'espressione estatica e abbandonata è una equivoca commistione di rapimento mistico e orgasmo carnale, un po' come sarà in seguito per le due controverse e discusse “Estasi di Santa Teresa” del Bernini.
Alle figure di Lena e Fillide si accostano Annuccia e Menicuccia. Anna Bianchini, senese, è una puttana di strada dai capelli rossi e dagli occhi tristi, che vive una vita ai limiti della sopravvivenza, continuamente vittima di violenze ed angherie documentate dai verbali della polizia di quartiere, nei quali è nominata spessissimo. Domenica Calvi è invece una prostituita d'alto rango, frequentata dalla “Roma bene” e, qualcuno dice, persino dal cardinale d'Este. Vive in una sontuosa abitazione e un verbale di polizia ci descrive un Caravaggio intento a lanciare pietre contro le finestre della suddetta residenza, tentando di destare l'interesse di questa irragiungibile cortigiana. Ma non è un caso che la “semidea” Domenica non sia mai stata identificata in una tela caravaggesca, mentre l'umile e sventurata Annuccia sia stata ritratta in ben 4 opere, tra il 1597 e il 1604, dando il volto, tra le altre, alla Madonna del “Riposo nella Fuga in Egitto” e alla dolcissima, struggente disperazione della Maddalena. Tuttavia in questa scelta non c'è da ravvisare una volontà da parte di Caravaggio di offrire ad Anna un riscatto sociale o di elevarla ad una dignità ideale, ma solo una passione sconfinata per l'umano nella sua accezione più esplicita e vera, così come poteva vederla quotidianamente Michelangelo per le strade del rione Campo Marzio, nei volti, provati dagli stenti e dalle angherie, che mille volte al giorno passavano davanti ai suoi occhi.
Nonostante Annuccia sia un soggetto ricorrente, è Fillide che diventa paradigma del percorso pittorico verso il realismo e di quello umano verso un sentimento che, senza mai perdere di carnalità e passione, acquista consapevolezza di sé stesso: entrambi questi cammini vengono bruscamente deviati quella terribile domenica, dopo la quale nulla nella vita di Michelangelo sarà più lo stesso, neppure l'ombra e la luce.
La giornata dell'incidente viene descritta dai documenti come una giornata di feste pubbliche e di contrasti politici e sociali: Paolo V era stato eletto esattamente un anno prima, e si festeggiava l' anniversario. A Roma aveva ripreso forza la fazione spagnola, in seguito all' interdetto di Venezia e le bande filospagnole spadroneggiavano per le vie della città. Tra queste, quella dei fratelli Tomassoni. Le cronache narrano che Roma bruciava, tra zuffe e sassaiole, fuochi d' artificio e petardi ovunque, poliziotti in armi, fazioni inferocite, nervi a fior di pelle. Caravaggio, a seguito di Onorio Longhi e degli amici di sempre, parteggia per i filofrancesi. Una partita di pallacorda offre agli opposti schieramenti un pretesto legale per regolare questioni politiche e antichi dissapori. Michelangelo e Onorio hanno diversi conti insospesi presso i bordelli dei due fratelli ed in più il pittore mostra da anni un malsano e scomodo interesse per la bella Fillide, una vera miniera d'oro che non si può rischiare di veder circuita e in alcun modo distolta dall'attività. Nella mischia violenta della partita, Ranuccio finisce a terra e Caravaggio, approfittando di vedere ai suoi piedi quel “bravo” tronfio e ribaldo, con “intento di scherno e vilipendio”, come tenterà di argomentare in seguito, sguaina la spada e lo colpisce nella sua virilità. Il colpo recide un'arteria e il Tomassoni muore rapidamente dissanguato.
Tutt'intorno più di venti testimoni e il fratello del defunto pronti a pronunciarsi contro di lui e ad additarlo come assassino.
Unica speranza: la fuga
Pare, da racconti di vicini e abitanti del quartiere, che quella notte stessa Michelangelo abbia visto Fillide per l'ultima volta, tentando di portarla via con sé: ma fu da solo che il pittore lasciò Roma per riparare prima nelle campagne e poi a Napoli.
E sarà da solo che vivrà questi ultimi anni, nell'eco degli eccessi romani, nell'ombra di un'arte che ha perso la spavalderia di un tempo e la fiducia in sé stessa, squarciata solo dalla luce del vero e dell'umano, condanna e al tempo stesso unico riscatto possibile.
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