I castrati, che già dal 1589 su dispisizione di Sisto V erano entrati in pianta stabile nel coro di San Pietro, grazie al categorico “diktat” di Innocenzo X soppiantano completamente le donne nei teatri e nei cori delle Chiese e accorrono a frotte nella città eterna, scatenando ora ammirazione ora indignazione da parte della Santa Sede.
L'atteggiamento del soglio di Pietro verso la castrazione è sempre stato ambivalente e contraddittorio: nonostante l'ascesa di questi “prodigi canori” fosse stata avallata proprio dal papato e diffusa in tutto lo Stato pontificio, a cui era esteso il divieto (si vedrà come a Napoli questo fenomenò assumerà proporzioni dilaganti), la pratica della castrazione, spesso eseguita con mezzi di fortuna da chirurghi improvvisati, più vicini a dei macellai o a cerusici esperti nella castrazione degli animali che a dei chirurghi, sarà sempre formalmente esecrata e giudicata contro la Natura e la morale.
Nonostante questo moltissimi divi castrati del belcanto saranno ospitati presso il Vaticano e apprezzati per le loro doti canore, compreso l'ultimo castrato che, ai primi del '900, eserciterà la sua arte proprio a Roma.
L'influenza dell'Arcadia
Oltre all'atteggiamento della Chiesa, nell'Urbe ha un certo peso anche l'opinione degli intellettuali dell'Arcadia, che verso gli anni 20-30 del '700 è diventata la lobby artistica e letteraria più influente e prestigiosa d'Italia: Gravina e Crescimbeni le avevano dato vita in origine per contrastare il diffondersi delle cadute di stile e degli eccessi di cattivo gusto del barocco, di cui certo i castrati erno stati un criticabile e lampante esempio.
Sembrava dovuta soprattutto a loro, ai loro capricci e alla loro natura volubile di esseri femminei, alla loro mancanza di morale e alla sete di glorie effimere, la decadenza qualitativa dell'opera e più in generale della produzione musicale italiana: ma già alla metà del XVIII questo giudizio era, in parte mutato. Il fenomeno era diventato così diffuso e radicato nella quotidianità artistica romana, che anche i puristi dell'Arcadia avevano trovato il modo di conviverci, di confrontarvisi e talvolta di trarne persino vantaggio: non è un caso che due tra i più illustri affiliati del “Bosco Parrasio”, Paolo Rolli e Pietro Metastasio, scriveranno libretti per opere eroiche musicate appositamente per cantanti castrati e avranno numerosi rapporti artistici con questi.
Nato a Roma nel 1687, Rolli , alias Eulibio Discepolo, era stato prima un allievo di Crescimbeni e protetto di papa Clemente XII, poi fortunato emigrante a Londra, dove scrisse numerosi libretti per Porpora, Bononcini e Veracini, proprio i princiapli esponenti di quel teatro tanto esecrato.
In Inghilterra, dove trionfava l'opera eroica italiana e i castrati erano ammirati e applauditi, ebbe occasione di collaborare con Handel, per il quale scrisse tra l'altro i testi per il Floridante, lo Scipione e la Deridamia: tuttavia i rapporti col compositore tedesco, che gli rimporverava un'eccessiva sobrietà letteraria e una mancanza di mordente drammatico, non furono mai buoni.
Rolli, conformemente al suo orientamento di arcade, si unì alle violente polemiche che anche in Inghilterra si erano levate contro il teatro alla moda, pubblicando sul periodico Craftsman un velenoso articolo antihaendeliano a sua firma, e infine rientrando in Italia, dove la situazione nei teatri non era però né diversa né migliore.
Metastasio e i castrati
Un altro illustre romano, Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi, alias Metastasio, non potè fare a meno di legare il suo destino al teatro dei castrati: giovane poeta arcade di grande talento, ecclesiastico ed erudito in latino e diritto, fu discepolo di Gravina, che lo rese famoso per le sue doti improvvisatorie e lo introdusse nei più raffinati ambienti letterari.
Tra Napoli e Roma ha occasione di osservare quale diffusione e quale potenza abbia il fenomeno dei “castrati” ed esordisce sulle scene teatrali scrivendo per Nicola Porpora gli Orti esperidi.
Comincia a frequentare impresari, musicisti e cantanti, tra cui Marianna Bulgarelli, detta la Romanina, che lo metterà in contatto con molti compositori per cui scriverà, in partcolare Pergolesi, Alessandro Scarlatti e Benedetto Marcello.
Si erudisce in musica e nel canto, compone opere sue proprie e, vivendo a Roma ospitato dalla Romanina e da suo marito, frequenta spesso i castrati: con uno solo però, il leggendario Carlo Broschi detto Farinelli, il rapporto prevalicherà il sodalizio professionale e si trasformerà in una tenera amicizia, testimoniata da un ricco epistolario.
Le lettere a Carlo, che è l'esecutore privilegiato delle sue composizioni e di quelle su suoi testi, è talmente affettuoso e accorato da aver addirittura ingenerato dei sospetti sulla reale natura di quel rapporto. Persino lo stesso Metastasio si preoccupa del tono quasi amoroso delle missive e temendo il diffondersi di pettegolezzi nocivi alla sua reputazione di ecclesiastico e illustre poeta scrive nel 1747:
"Non so esprimermi meglio che dicendovi che v'amo quanto merita d'esser amato Farinello".Ma sospendiamo queste tenerezze, affinché qualche maligno ci appiccichi un'impostura di quelle che servono a consolar l'invidia intollerante dell'onesta, tenera, vera, disinteressata amicizia"
Metastasio quindi si pone in una posizione ambivalente all'interno della polemica arcadica: collabora con attivisti come Benedetto Marcello, autore del pamphlet satirico “Il teatro alla moda” e grande detrattore della “degenerata” opera eroica, ma frequenta e stima profondamente il mondo dei castrati, a cui è legato da rapprti professionali e dalla profonda amicizia con Farinelli.
Compone il dissidio nel 1730, trasferendosi in qualità di compositore e poeta alla corte di Vienna, dove regna uno stile più sobrio e misurato e ove avrà occasione, tra l'altro, di insegnare l'italiano alla giovane arciduchessa Maria Antonietta, futura regina di Francia.
L'opinione di Casanova
A Roma, intanto, la figura del castrato è in declino e il pubblico comincia a stancarsi dei loro capricci e di vuoti esercizi di bravura: Giacomo Casanova, nella parte delle sue memorie relativa all'Urbe, descrive bene lo stato di insofferenza crescente verso questi personaggi, diventati alla fine quasi odiosi e intollerabili, anche e soprattutto per i loro eccessi e la totale mancanza di morale con cui insozzavano la città.
Il giovanissimo libertino, che visita Roma verso la fine del 1743, è quasi disturbato dai toni espliciti con cui “un abate attraente che all'inizio mi sembrò una donna” si propone di interpretare per lui entrambi i “ruoli” a letto: si trattava di Beppino della Mammana, il celebre Giuseppe Ricciarelli, uno dei castrati più ricercati dai teatri italiani del tempo.
Sempre dalle sue Memorie apprendiamo che i castrati romani furono tra gli interpreti dell'orgia organizzata da lord Lismore, attori di quella "fiera degli eccessi" che solo un grande libertino, scrive Casanova, riesce ad immaginare ma che le parole non possono descrivere.
I toni di critca e di aperto disprezzo verso i castrati si ripetono e si susseguono frequentemente nelle nelle Memorie, rispecchiando quella che era un'opinione pubblica e condivisa sempre più diffusa.
I castrati escono di scena
Ai toni critici di Casanova si aggiungono quelli satirici di Giuseppe Parini che, dopo aver assistito ad uno spettacolo romano, così descrive la decadenza artistica e fisica di quelle “infelici creature”:
Aborro in su la scena
Un canoro elefante,
Che si strascina a pena
Su le adipose piante,
E manda per gran foce
Di bocca un fil di voce.
Si dice che sempre a Parini e ad un suo articolo apparso sulla Gazzetta di Milano sia dovuta la revoca del divieto alle donne di cantare da parte di papa Clemente XIV, grande estimatore e sostenitore dei castrati tanto da essere soprannominato “il fabbricatore di enuchi”.
Nell' articolo, Parini promulgò un falso annuncio che fu salutato dal pubblico di tutta Europa con felicitazioni e giubilo generale:
"Il Santo Padre, per bandire per sempre dall'Italia il delitto di castrazione, ordina che non si ammetta tanto più nelle chiese e nei teatri dello Stato romano quei cantanti che avessero subito tale operazione infamante. Raccomanda inoltre ai Principi Cristiani di promulgare lo stesso ordine nei loro Stati."
La notizia si diffuse rapidamente e a quel punto il papa non potè fare altro che fare buon viso a cattiva sorte ed emettere un decreto col quale, oltre a proibire la castrazione per gli uomini, riabilitava le donne a cantare nelle chiese e nei teatri.