D’Ors, proseguendo il discorso sul Barocco rupestre, elenca anche altri pittori: tra cui Bassano, Le Nain e “anche, da un certo angolo d’interessi, perfino il Greco.” Ma subito dopo si corregge avvertendo che, per quanto riguarda il loro periodo d’appartenenza, “non si vede alcun inconveniente a parlare di un Barocchus ‘maniera’ ”, riferendosi alle tendenze della critica tedesca a lui attuale, che a suo dire è rispettabile purchè non confonda il genere barocco con la specie manierismo: e porta come esempio l’insegna di quella locanda portoghese che recava scritto “Albergo dell’Universo e del Portogallo”, facendo il manierismo parte del barocco. Ciononostante distingueremo qui tra i due movimenti, cioè tra manierismo e barocco propriamente detto, il Barocchus tridentinus o “barocco barocco” di cui parleremo nel prossimo capitolo.
Nelle arti figurative il termine manierismo è stato assunto dalla critica per designare il complesso e diramato movimento stilistico italiano ed europeo che si colloca tra il 1520 ca. e l’ultimo decennio del XVI sec., ossia tra il culmine del Rinascimento e il preannuncio del barocco propriamente detto. Caratterizzato tra l’altro da un estetismo antinaturalistico lontano dalla razionalità rinascimentale, si espresse in suggestive alterazioni dei rapporti spaziali e subordinò le proporzioni naturali della figura umana al ritmo fluido ed elegante della composizione.
La denominazione deriva dal termine “maniera”, usato dal Vasari sia come semplice sinonimo di stile, sia per indicare il modo di comporre dei massimi artisti rinascimentali (“la gran maniera di Michelangelo”). La critica secentesca e segnatamente Giovanni Bellori diede invece al termine “maniera”, con riferimento allo stile dei pittori vissuti dopo Leonardo, Raffaello e Michelangelo, un significato negativo, accusandoli di inerzia creativa, di artificiosità, di virtuosismo tecnico non sostenuto dall’ispirazione. La rivalutazione critica del barocco, sul finire del sec. XIX, diede l’avvio a un riesame dello stile manieristico da un nuovo angolo visuale.
La definizione terminologica e concettuale di manierismo è però merito della storiografia tedesca del primo Novecento (Voss, Dvoràk) che, mettendo in luce gli aspetti eterodossi e inquietanti dell’arte del tardo Cinquecento, ne esaltò la vitalità, in netta antitesi con la critica precedente che aveva percepito quegli stessi aspetti come risultato di uno svuotamento e di una degenerazione del classicismo.
Definito dal Friedlander (1925) come “stile anticlassico”, il manierismo va inteso più convenientemente come incrinatura dell’equilibrio armonico classicista, e più in generale come crisi della cultura umanistica e dei suoi ideali razionalistici, in connessione con il travaglio storico della Riforma e della Controriforma e con gli squilibri economico-politici che precedettero la formazione dei grandi Stati europei.
I due primi centri di elaborazione del manierismo si individuano in Firenze e Roma. Nel primo caso, il momento più inquieto e veramente “anticlassico”, rappresentato dalla pittura visionaria e bizzarra di Pontormo, del Rosso Fiorentino e di Beccafumi, si dispone tra il 1515 e il 1540 ca.: le figure allungate, prive di consistenza strutturale, i colori accesi e innaturali, le atmosfere tenebrose, gli effetti luministici esasperando la “maniera” dei grandi maestri ne mettono a nudo i limiti, a esprimere insieme un disagio profondo e una volontà iconoclasta.
Nel secondo, sono gli allievi di Raffaello (Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, Giovanni da Udine) a stravolgerne per altri versi la “maniera”, in chiave di bizzarria e di estro fantastico, elaborando un tipo di decorazione di enorme diffusione (grottesche), elegante e gustosa, in cui vengono impiegati, su scala ridotta e con fredda abilità, i modelli formali del maestro.
Con la diaspora di questi artisti dopo il sacco di Roma (1527), i germi del manierismo si diffusero non solo in Italia, ma anche in Europa, dando vita a differenziate esperienze locali: da Genova al Veneto e soprattutto a Mantova, dove il soggiorno di Giulio Romano lasciò un esempio emblematico del manierismo in architettura e nella decorazione: il complesso del palazzo del Te, col suo inedito rapporto tra architettura e natura, le sue inquiete esplorazioni dei limiti tra “regola” e “licenza”, le spregiudicate bizzarrie decorative, è una vera summa di stilemi che preludono al repertorio curioso dei giardini segreti, delle grotte – che pure D’Ors afferisce al rupestre -, delle ville in cui spesso l’architettura si riduce a pura struttura scenografica, immerse in giardini animati da giochi continui di statue e fontane.
Alla corte di Francesco I di Francia la presenza degli artisti italiani diede vita alla famosa scuola di Fontainebleau, dai duraturi influssi sull’arte francese. Il manierismo divenne lo stile delle corti, in Italia come nel resto dell’Europa: un’arte colta, aristocratica, basata sulle iconografie preziose, sui riferimenti dotti, sulle allegorie complicate. Ne è un esempio l’attività (1540-70) di Vasari e dei manieristi michelangioleschi (Buontalenti, Ammannati, Giambologna, Cellini) alla corte medicea. Del manierismo come cultura celebrativa e aulica, nell’ambito della quale l’architettura si fa scenografia, la scultura oscilla tra gli opposti termini del gigantismo magniloquente e del preziosismo dell’oggetto di oreficeria, la pittura assume le diverse valenze del grande affresco celebrativo e del ritratto enigmatico e formale.
Il processo fu simile a Roma, dove da un lato la parabola architettonica del Vignola, dall’altro l’attività di pittori sempre come Vasari, Salviati, Daniele da Volterra, aprirono la via all’accademismo eclettico degli Zuccari e del Cavalier d’Arpino a fine secolo. Vi è poi l’episodio veneto, dove maturarono esperienze diverse, sia nella pittura (Veronese, Tintoretto) sia nell’architettura (Sansovini, Sanmicheli, Palladio – da D’Ors però, come visto, ascritto alla corrente che da lui prende il nome), il cui rapporto col manierismo si configura di notevole complessità.
Lo “stile dello stile”, lo stile delle corti, ebbe vita più lunga in Europa, nella sua accezione più “cortigiana”: nella Praga di Rodolfo II, nei Paesi Bassi, in Baviera e, in un ultimo guizzo di autentica forza di stile, in Spagna, con l’esperienza del Greco.
Come alcune correnti pittoriche continuano Raffaello e Michelangelo, così nella storia letteraria e nella trattatistica d’arte, nella poesia e nelle lettere continua una tradizione formale che pone il massimo frutto della creazione nell’eleganza e nella raffinatezza. Il concetto di manierismo permette di giudicare nel valore di continuità formale il petrarchismo in tutte le sue manifestazioni europee (a cominciare dal culteranismo spagnolo) e di seguire dal Medioevo al tardo Rinascimento il gusto della forma che prelude al barocco, ma non ne presuppone ancora la poetica nel suo valore pieno.
In tal modo si può valutare, come è stato fatto, il manierismo nella letteratura del nostro Cinquecento negli ideali figurativi del Vasari e di altri trattatisti con grandi influssi nelle opere letterarie, ma anche nella lirica e nel poema, dal Della Casa a Celio Magno, al Tasso, dal Cellini al Doni.
C’è comunque, nel senso della parola intesa come elemento fondamentale dello stile, un gusto che fu definito edonistico e che continua certi atteggiamenti formalistici dell’antica latinità e del Medioevo in più letterature; senza trascurare l’influsso diretto di Ovidio e di Seneca nel settore del meraviglioso e in quello dell’orrore, intesi come motivi di una ricerca formale che anticipa il barocco ma non va confusa con esso.
A questo proposito è d’uopo focalizzare l’attenzione sulle differenze tra manierismo e barocco.
Il manierismo è:
1) letteratura sulla letteratura, tecnica formale che richiama l’attenzione su se stessa, forte distacco dal mondo delle cose e dei sensi (quindi desemantizzazione dei testi);
2) letteratura che resta dentro la tradizione classicistica, ne segue i modelli senza mai né scartarli né sostituirli, ma esasperandone alcuni caratteri, sino a deformarli, mutandone la misura in dismisura, l’armonia in disarmonia, l’equilibrio in eccesso;
3) frammentazione e disarticolazione dell’unità tra i singoli elementi costitutivi del testo, accentuazione di alcuni elementi a danno di altri, gusto del particolare, del non-finito, del capriccioso, del bizzarro;
4) accumulo, eccedenza di elementi; privilegio dato alla figura retorica dell’elenco e dell’enumerazione; elocuzione basata sull’ornatus in verbis conjunctis (discorso figurato che si basa sulla disposizione delle parole); mancanza di una gerarchia tra gli elementi costitutivi del discorso; tendenza all’uso di strutture aperte;
5) tensione verso l’eroico e il magniloquente, accentuazione ossessiva (maniera=mania) di alcuni elementi decorativi.
Questa pratica stilistica può essere collegata con l’attività di intellettuali e artisti dalla collocazione sociale incerta e fortemente ridotta nella sua autonomia e dalla psicologia introversa, contorta e delusa; intellettuali e artisti seguaci della filosofia neoplatonica delle idee, sempre in bilico tra fede e cinismo. La letteratura manieristica tende a circolare solo all’interno di ambienti ristretti, tra gli stessi letterati; tende a essere scritta in un linguaggio difficile, ambiguo e a scegliere forme di comunicazione per iniziati.
Il barocco è:
1) basato su una nuova percezione della realtà, una riscoperta del mondo degli oggetti e in particolare di quello dei sensi (quindi risemantizzazione dei testi);
2) letteratura che si colloca fuori dalla tradizione classicistica, e anzi la rovescia, rifiutando il concetto di imitazione;
3) letteratura che porta all’estremo l’eccesso e l’ipertrofia dei significanti, finendo così con il generare e scoprire nuovi significati;
4) letteratura che si fissa sui singoli elementi e particolari del testo, li retoricizza e materializza, usa ossessivamente e arditamente la figura della metafora, il collegamento curioso e arguto tra significati diversi, è quindi elocuzione basata sull’ornatus in verbis singulis (discorso figurato che si basa sulle modificazioni di singole parole);
5) trapasso dal capriccio al grande gioco verbale, alla declamazione teatrale; letteratura quindi che usa lo stile come maschera, ottenendo così di recuperare i livelli profondi e nascosti della coscienza o di comunicare i risultati di un’ardita ricerca di conoscenza;
6) letteratura che percepisce e riordina la realtà secondo prospettive plurime (non più unicentriche), stupefacenti e imprevedibili.
Questa pratica stilistica può essere collegata con l’attività di intellettuali e artisti che vivono consapevolmente la crisi, e hanno una collocazione sociale ormai ben precisa dentro un sistema di potere rigido e chiuso; che hanno una psicologia estroversa, curiosa e irrequieta; intellettuali e artisti non più seguaci di sistemi ideologici chiusi, consapevoli del nuovo sviluppo delle filosofie dell’esperienza e delle dimensioni conoscitive dell’universo prodotte dalla nuova scienza.
La letteratura e l’arte barocca non si rivolgono più a un pubblico ristretto e uniforme ma hanno una produzione più varia e differenziata: c’è la produzione raffinata e cerebrale che circola soltanto nelle corti e nelle accademie, ma ci sono anche tipi di produzione che si rivolgono a un pubblico molto ampio: l’architettura, l’urbanistica, il teatro, le opere figurative di devozione, certa musica, le prediche della Chiesa post-tridentina, i romanzi ecc.