Gli uomini del diciassettesimo secolo sentono la crisi, e si diffonde tra loro un pessimismo ispirato dalle calamità che per vari decenni afflissero l’Europa. La Spagna subisce quattro grandi pesti le cui perdite raggiungono un quarto della popolazione, e a questo si accompagnano la fame e la miseria. Anche il resto dei paesi europei conosce spettacoli dolorosi nelle campagne e nelle città. I gesuiti, in una lettera del 30 luglio 1638, scrivono che il bisogno e la fame sono talmente incomparabili che si uniscono a mangiare i più vicini.
La follia
Il Barocco parte da una coscienza del male e del dolore e la esprime: «non vide il mondo secolo più depravato», osserva Céspedes, ma non sono i vizi politici, le ragioni di stato, le colpe dei ministri, le accidentali rovine che possono spiegare i mali di cui si è afflitti, quanto piuttosto gli sconvolgimenti che subisce l’Europa e il disordine morale delle sue colpe . Alcuni decenni di duri stenti influiscono nel creare uno stato di disincanto, di delusione. Tutto ciò spiega come si diffondesse quel topos della pazzia del mondo che s’insinua così profondamente nelle manifestazioni artistiche e letterarie del Barocco. Si pensi che nel teatro chi mette in luce le cose come si mostrano nella loro scompostezza morale e sociale, è l’«attore comico», spesso presentato nella parte del pazzo.
Accanto al tema della pazzia c’è un altro topos molto importante: quello del mondo alla rovescia.
Si può supporre che l’immagine del «mondo alla rovescia» sia il prodotto di una cultura marginale dei diseredati ossia di una controcultura popolare, secondo l’ipotesi avanzata da M. Bakhtin per il Medioevo e il Rinascimento. Nel seicento è invece prodotto della cultura di una società in via di mutamento, in cui le alterazioni subite nella posizione e nella funzione dei vari gruppi creano un sentimento di instabilità che si traduce nella visione di un disordine trabordante. Non v’è dubbio che il tema rivela un sentimento di instabilità e variabilità.
La gran piazza
Nondimeno si incontra un altro topos analogo: quello della gran piazza in cui tutti si riuniscono tumultuosamente. Con maggior forza si esprime un’idea non dissimile dalla prima nella metafora del mondo come locanda: nel viavai della gente che si riunisce in un albergo, nel breve tempo della loro sosta, nella varietà e nella confusione di quanti lo frequentano, nelle menzogne e negli inganni di cui l’albergo è pieno, nel suo disordine, l’immagine viene ad essere quanto mai convenientemente adeguata a fornire la versione del mondo in cui è contenuta la nostra esistenza.
Il gran teatro del mondo
E infine il mondo come teatro. Il grandioso topos che Calderon portò a vertiginosa altezza, e che riecheggia grazie a lui nei secoli, vuol dire molte cose.
In primo luogo, il carattere transitorio della parte assegnata al singolo che prova piacere o soffre soltanto nel corso di una rappresentazione.
In secondo luogo, la rotazione delle parti, per cui ciò che uno è oggi lo sarà un altro domani.
Terzo, la condizione di stato apparente mai sostanziale, per cui quello che si appare non intacca l’intima essenza della persona, ma resta alla superficie di ciò che appare, spesso in flagrante contraddizione con l’essere e il valere del singolo.
Con tutte queste implicazioni, il topos del «gran teatro del mondo» si trasforma in ordigno quanto mai efficace di immobilismo: non c’è ragione di protestare per la sorte toccata al singolo, non c’è motivo di lottare violentemente per cambiare le posizioni assegnate agli individui, giacché, naturalmente, nell’ordine drammatico è assicurata la rapida successione dei mutamenti. Questo topos e quello esposto più sopra del «mondo come locanda» si integrano e insieme riscuotono il più grande interesse nel repertorio barocco: «All the world’s a stage» dice un verso di Shakespeare in As you like it. Quel duplice artificio contribuisce efficacemente, sul piano della mentalità simbolista che in buona misura sussiste nelle generazioni barocche, a svalutare il mondo, i suoi fatti, le sue ricchezze, il suo potere, ma non obbligava in nessun caso le persone che ne godevano a rinunciarvi.
Malessere e splendore
Ma per soddisfare i pochi che si liberavano dai mali, e stordire coloro che potevano protestare duramente contro le disgrazie, il Barocco è anche l’opera della festa e dello splendore. Ed è questa l’altra faccia che si manifesta nelle occasioni in cui v’è un avvicinamento alla Chiesa, alla Monarchia, e ai più alti personaggi: e il contrasto concerne il carattere ambivalente che si osserva nella struttura profonda dell’opera barocca. Il Barocco vive questa contraddizione, rapportandola alla propria non minore contraddittoria esperienza del mondo la forma di un’estrema polarizzazione di riso e pianto.
Agli scrittori barocchi possiamo attribuire la creazione di un universo, grandioso sotto molti aspetti, ma quasi sempre ostile e dominato dalla fatalità e dalle forze occulte. All’interno di questo universo troviamo allocata una creatura fragile e drammatica: quella creatura incerta e fluttuante come la definì Pascal, l’uomo, a cui d’un tratto accade di sentirsi posto nel mondo, costretto ad attuarsi e nello stesso tempo a riuscire a fare del mondo un sostegno sicuro su cui appoggiarsi.
Se il mondo è cattivo e avverso, possono aversi manifestazioni buone e gradite, non perché da una parte stia una cosa e dall’altra quella opposta, ma perché da una stessa qualità possono ricavarsi risultati molto diversi. Non vi sono lati pessimisti e altri ottimisti. Ma piuttosto è da dire che, tramite un’adeguata regolazione degli aspetti pessimisti, si possono ottenere risultati propizi.
L’uomo, secondo la concezione del diciassettesimo secolo, è un individuo in lotta con tutto il corteo dei mali che vi si accompagnano, con i possibili vantaggi, più o meno occulti, che anche il dolore si porta dietro. In primo luogo si ha l’individuo in conflitto con se stesso, da cui nascono tante inquietudini, timori e persino violenze che dal suo foro interiore irrompono all’esterno e si proiettano nei suoi rapporti col mondo e con gli altri uomini. L’uomo è un essere agonista, in lotta contro di sé, come si legge in tanti monologhi di tragedie di Shakespeare, di Racine, di Calderon.
Feste e divertimenti
Le feste e i divertimenti erano l’occasione per applicare un analogo sistema di azione formatrice della mentalità, onde indirizzarla in uno stesso senso. Ad esempio la corrida, come festa, dà occasione di manifestare pubblicamente sentimenti di violenza sanguinaria.
I gesuiti riportano nelle «lettere» un curioso aneddoto: parlano dell’arrivo di un’ambasceria del re di Danimarca, delle attenzioni con cui i suoi membri furono accolti, del fatto che furono festeggiati e così ci dicono che diversi diplomatici del gruppo espressero il desiderio di presenziare a una festa di tori, e durante lo spettacolo stando ad una notizia fornita da un gesuita in una lettera del 4 novembre 1640 un danese svenne nel vedere scorrere tanto sangue.
E’ terrificante leggere di alcuni metodi consigliati nel Barocco per soffocare l’occulta dissidenza politico-religiosa formata dalla minoranza dei convertiti in seno alla monarchia cattolica, oppure i programmi di misure volte all’ annientamento degli zingari. E largamente nota altresì la dimensione della durezza repressiva in Francia come in Germania o in tutte quelle parti dove le atrocità del periodo di guerra, che terminò provvisoriamente con la pace di Westfalia, resero familiare la violenza non solo nei confronti dei nemici esterni ma anche contro i dissidenti, i ribelli e gli eretici interni.
Lo spettacolo quotidiano della repressione e della guerra contribuì in tutta Europa a favorire la tendenza alla crudeltà. Ma ciò che qui importa è osservare che con la testimonianza spettacolare e truculenta della crudeltà, si raggiungeva l’obiettivo verso cui si orientava il disegno terrificante e pessimistico del Barocco: la necessità di porre in luce la condizione umana per poterla dominare, contenere, dirigere.
Il Barocco giunge a render più acerbo l’interesse per la morte. Non v’è dubbio che questo interesse aveva origini lontane e che, da quando si risvegliano le energie dell’individualismo moderno, il tema della morte preoccupa le società che contemplano l’autunno del Medioevo, e si produce in esse una profonda trasformazione di questo tema.
L’uomo del Barocco avanza sul sentiero del viver suo, assillato dalla necessità problematica e perciò drammatica di attendere a se stesso, agli altri, alla società e alle cose.