Il pensiero di John Locke (1632 – 1704. filosofo inglese) è fondamentale per la cultura occidentale perchè caratterizza la nascita delle monarchie costituzionali e dello stato moderno democratico. Il suo merito fu di raccogliere quanto di meglio e con miglior prova il pensiero avesse formulato in ambito politico, di raccogliere queste nozioni in modo semplice ed usando un gran senso comune per descrivere la realtà.
Locke era sostenitore del carattere razionale o dimostrativo dell’etica, riteneva che non si puotesse proporre alcuna regola morale di cui non si debba dar ragione; che la ragione di tali regole dovrebbe essere la loro utilità per la conservazione della società e la felicità pubblica; pertanto nella disparità delle regole morali seguite nei differenti gruppi in cui l’umanità si divide occorrerebbe isolare e raccomandare quelle che si rivelano veramente efficienti a questo scopo.
Nel dominio del pensiero politico e religioso Locke ci ha lasciato contributi fondamentali: l’Epistola sulla tolleranza, Due trattati sul governo civile, la Ragionevolezza del cristianesimo. Queste opere fanno di Locke uno dei primi e più efficaci difensori delle libertà dei cittadini, dello stato democratico, della tolleranza religiosa e della libertà delle chiese.
Nel primo trattato sul governo civile viene confutata la tesi del Leviatano, "Due trattati" è destinato a confutare le tesi di Robert Filmer contenuta nel Patriarca o la potenza naturale dei Re secondo il quale il potere dei re deriva per diritto ereditario da Adamo al quale fu conferita da Dio l’autorità su tutti i suoi discendenti e il dominio del mondo. All’epoca non era importante confutare il Leviatano di Hobbes, per quanto sostenesse l’assolutismo, poiché le monarchie se ne tenevano ben alla larga. Per Locke la legge di natura è la ragione stessa che ha per oggetto i rapporti tra gli uomini e prescrive la reciprocità perfetta dei rapporti. La regola di reciprocità è connessa strettamente con l’uguaglianza originaria degli uomini; a differenza di Hobbes ritiene che questa regola limiti il diritto naturale di ciascuno col pari diritto degli altri. Così scrive: Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che collega tutti; e la ragione, la quale è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che, essendo tutti uguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare l’altro nella vita, nella salute, nella libertà e nella proprietà.
Nello stato di natura, cioè anteriormente alla costituzione di un potere politico, essa è la sola legge valida sicché la libertà degli uomini in questo stato consiste nel non sottostare ad alcuna volontà o autorità altrui ma nel rispettare soltanto la norma naturale, la libertà perciò non consiste per ciascuno nel vivere come gli piace. Il diritto naturale dell’uomo è limitato alla propria persona ed è diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà in quanto prodotta dal proprio lavoro. Questo diritto implica anche quello di punire l’offensore e di essere l’esecutore della legge di natura; questo secondo diritto implica l’uso di una forza assoluta o arbitraria, sempre però proporzionata alla trasgressione.
Lo stato di natura non è perciò, come diceva Hobbes, uno stato di guerra; ma può diventare uno stato di guerra quando una o più persone ricorrono alla forza, o a un’intenzione dichiarata di forza, per ottenere ciò che la norma naturale vieterebbe di ottenere, cioè un controllo sulla libertà, sulla vita e sui beni degli altri. Proprio per evitare questo stato di guerra, gli uomini si pongono in società e abbandonano lo stato di natura: perché un potere cui si possa fare appello per ottenere soccorso esclude la permanenza indefinita nello stato di guerra. La costituzione di un potere civile non toglie agli uomini i diritti di cui godevano nello stato di natura tranne quello di farsi giustizia da sé; giacché la giustificazione del potere civile consiste nella sua efficacia a garantire agli uomini questi diritti. Se la libertà naturale consiste per l’uomo nell’essere limitato soltanto dalla legge di natura, la libertà dell’uomo nella società consiste «nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso né al dominio di altra volontà o alla limitazione di altra legge da quella che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui». In altri termini il consenso dei cittadini da cui si origina il potere civile fa di questo potere un potere scelto dagli stessi cittadini e quindi nello stesso tempo un atto e una garanzia di libertà dei cittadini medesimi.
Pertanto la legge di natura esclude che il contratto che dà origine a una comunità civile formi un potere assoluto od illimitato. L’uomo, che non possiede alcun potere sulla propria vita non può, con un contratto, rendersi schiavo di un altro e porre se stesso sotto un potere assoluto che disponga della vita di lui come gli piace. Soltanto il consenso di coloro che partecipano ad una comunità stabilisce il diritto di questa comunità sui suoi membri; ma questo consenso, come è un atto di libertà, cioè di scelta, così è diretto a mantenere o garantire questa libertà stessa e non può convalidare l’assoggettamento dell’uomo all’incostante, incerta e arbitraria volontà di un altro uomo.
Il primo fine di una comunità politica è quello di determinare come la forza della comunità deve essere adoperata per conservare la comunità stessa e i suoi membri. Questo fine risponde alla funzione del potere legislativo, che è perciò limitato dalle esigenze intrinseche al fine stesso. Leggi promulgate non devono variare nei casi particolari, ma essere uguali per tutti; esse non possono essere dirette se non al bene del popolo e non possono essere imposte tasse senza il consenso del popolo stesso. Uno dei fini fondamentali del governo civile è la difesa della proprietà che è diritto naturale dell’uomo; e senza questa limitazione del potere del governo il godimento della proprietà diventa illusorio. Il potere legislativo non può trasferire ad altri la sua facoltà di far leggi.
Il potere esecutivo ha il compito di eseguire le leggi ma deve esser separato dal potere legislativo, che ha il compito di legiferare. Dal potere esecutivo Locke distingue un potere federativo che ha il compito di rappresentare la comunità di fronte alle altre comunità o ad individui estranei ad essa e al quale sono devolute le decisioni intorno alla guerra o alla pace, alle alleanze. Il potere esecutivo e quello federativo devono essere nelle stesse mani perché sono praticamente inseparabili.
Anche dopo la costituzione di una società politica il popolo conserva il supremo potere di rimuovere o alterare il legislativo. In nessun caso la costituzione di una società civile significa che gli uomini si affidano ciecamente alla volontà assoluta e all’arbitrario dominio di un altro uomo. Perciò ognuno conserva il diritto di difendersi contro gli stessi legislatori, quando essi sono così pazzi o malvagi da manomettere le libertà e le proprietà dei sudditi. Lo stesso diritto i cittadini conservano di fronte al potere esecutivo, il quale è già per sua natura subordinato al potere legislativo e deve rendere conto ad esso dei suoi provvedimenti. Un potere legittimo è quindi strettamente vincolato. E la differenza tra la monarchia e la tirannia consiste in questo: il re fa delle leggi i limiti del suo potere e del bene pubblico il fine del suo governo; il tiranno subordina tutto alla sua volontà e al suo appetito. Contro la tirannia il popolo ha il diritto di ricorrere alla resistenza attiva e alla forza. In questo caso la resistenza non è ribellione perché è piuttosto la resistenza contro la ribellione dei governanti alla legge e alla natura stessa della società civile.