Ancora all'inizio dell'epoca barocca i riferimenti culturali dei nobili si rifacevano alla tradizione culturale delle armi, della caccia e disprezzavano gli studi e la cultura e l'istruzione. Chi senza montare a cavallo, è restato a scuola sino a dodici anni, non è buono più ad altro che a fare il preteaveva detto un poeta tedesco, rifacendosi ad un proverbio carolingio. Un poeta inglese del primo Cinquecento scriveva: «gli uomini nati nobili / hanno in odio l’imparare, / amano soltanto andare a caccia e suonare il corno,/saltare a cavallo laghi e fossati, / non occuparsi di politica». Anche in Francia il ceto degli ufficiali rinfacciava ai nobili la loro rozzezza, che li escludeva, giustamente, dalle cariche pubbliche.
Fu proprio il problema della partecipazione agli uffici di governo a far scattare in molti signori il desiderio e l’esigenza di una migliore educazione. Agli Stati Generali del 1614 la nobiltà francese dimostrò piena coscienza del fatto che l’ascesa di funzionari plebei era direttamente correlata all’ignoranza degli aristocratici. Vari cahiers chiedevano infatti l’istituzione di collegi e accademie per giovani nobili, dove i ragazzi potessero essere educati sia alle arti della guerra che a quelle del governo.
I signori colti non erano tuttavia rari e grande influenza ebbe il Cortegiano di Baldassar Castiglione, che venne tradotto in tutte le lingue e entrò in tutte le biblioteche signorili. Nel 1540, inoltre, fu fondato il primo collegio dei gesuiti e da allora queste istituzioni si diffusero rapidamente in tutti i paesi cattolici, riscuotendo un successo tale che alla fine del Seicento non c’era giovane gentiluomo cattolico che non vi trascorresse almeno qualche anno.
Lentamente il concetto di nobiltà muta e viene recepito e coltivato nella vita quotidiana degli interessati, e non solo nelle pagine dei trattati di morale o di pedagogia. Con l’educazione letteraria si diffonde anche tra uomini che sono stati formati soprattutto al coraggio fisico e alle arti cavalleresche della caccia e del torneo, l’etica ciceroniana dell’autocontrollo, della disciplina, del dominio sulle passioni. La virtù superiore che distingue gli uomini dai bruti, i discendenti di nobili stirpi dai volgari plebei, non è tanto la magnanimità degli eroi omerici, il generoso sprezzo del pericolo che spinge ad affrontare la battaglia senza lasciarsi frenare dalla paura della morte il severo autocontrollo che rende degni di governare, e che si addice ai sovrani ma anche ai signori di più modesti territori e signorie.
L'etichetta
La gerarchia costruita sulla forza e sul valore delle armi cede il passo ad altri parametri di classificazione, si rende necessario elaborare un codice di comunicazione in grado di esprimere questi ultimi e di renderli immediatamente riconoscibili. Presso le corti d’Europa si viene adottando un complesso codice cerimoniale attraverso il quale si definisce lo status sociale di ognuno. Il codice non è tuttavia così articolato da prevedere una soluzione univoca per tutte le situazioni concrete, né così granitico da non poter essere manipolato. Negli spazi di incertezza che esso lascia aperti si inserisce quindi la competizione per le precedenze, i ranghi privilegiati nel corso di cortei e cerimonie, le posizioni d’onore durante le visite, e così via.
La competizione cerimoniale non è del tutto libera è forte l’interferenza del re, che con la sua eccezionale capacità di conferire onore e prestigio può continuamente intervenire ad alterare i rapporti di forza tra i diversi contendenti. Alcuni sovrani, come i papi più austeri, sembrano piuttosto restii a sfruttare questa loro prerogativa. Altri si dimostrano maestri nell’arte di regolare ai propri fini l’allocazione del prestigio e nell’intervenire ad alterare i meccanismi della libera concorrenza. La strategia di Luigi XIV è un esempio di come usare il potere della cerimonia, il Re Sole chiama a corte i suoi nobili e li costringe a muoversi in uno spazio ristretto e sotto il suo costante controllo, riesce a dosare alla perfezione favore e disgrazia da accordare ad ognuno di loro.
La società moderna è capace di inglobare la cultura cavalleresca e di farla propria così come modifica il duello altro residuo del diritto feudale di guerra privata che dovrebbe essere estraneo all’ingentilimento delle maniere perseguito dalla cultura di corte tanto da esser vietato e punito. Ma sopravvive e in questa sopravvivenza da vedere il riflesso di sua crescente stilizzazione e regolamentazione, che rende il duello più assimilabile alla competizione cerimoniale per la preminenza. Codificandosi in esercizio di destrezza, verso l’esterno il duello diventa ulteriore occasione per sottolineare la differenza tra i gentiluomini, educati all’arte della scherma, e i plebei che ne sono esclusi, elemento di distinzione e delimitazione dei confini del ceto.
fonte scientifica e per approfondimenti:La Feudalità in età moderna di Renata Ago, Laterza 1994