Il trattato nel XVII secolo, Galileo Galilei
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in letteratura barocca
Dell’opera del grande scienziato abbiamo già trattato, certo sinteticamente, nella parte dedicata alla scienza e nella parte dedicata alla religione per quel che concerne l’abiura a cui fu costretto per non finire morto. In questo spazio vogliamo approfondire l’aspetto letterario da lui usato per propagandare il suo pensiero che dopo la sentenza dell’inquisizione dovette esser propagato in Olanda, terra liberale.
La missione di Galileo Galilei era di cambiare il modo di fare scienza e mettere definitivamente in disuso i testi antichi che si rifacevano alla bibbia e ad Aristotele. Lo scienziato lavorò alacremente a questo risultato con efficacia attraverso una fittissima rete di corrispondenza verso intellettuali, politici, scienziati, ma anche attraverso l’insegnamento. L’intelligenza di Galilei riusciva a trovare un linguaggio comprensibile a tutti tanto da interessarli attrarli e convertirli nel nuovo modo di fare scienza. Le difficoltà per la divulgazione del pensiero galileiano erano enormi. Il dominio culturale era in mano ai gesuiti e le università erano formate da docenti piegati sull’ortodossia cattolica mentre re e principi erano invece interessati alla scienza ed ai suoi sviluppi ancor più che alle belle lettere. Entrare nella grazia della corte era dunque un obbiettivo per Galileo consapevole che comunque era difficile anche lì propagandare le nuove idee per interessi politici evidenti.
Il genere letterario usato al tempo dagli scienziati era il trattato in latino che aveva alcune indubbie qualità: non doveva esser tradotto perché usato in tutta Europa, era una lingua conosciuta da pochi, per cui era facile controllare la circolazione delle idee e per questo ci si poteva permettere teorie ardite, con pericolo minore di finire inquisiti.
I primi trattati
Galileo scrive nel 1610 il Sidereus nuncius, in cui descrive le scoperte astronomiche realizzate tramite telescopio, in latino semplice e snello che ebbe gran diffusione e gli permise di ottenere la carica di matematico e filosofo nel gran ducato di Toscana.
Tuttavia il trattato viene abbandonato nell’intento di riformare i cervelli, sia perché le università gli erano avverse sia per diffondere tramite altri vie il sapere scientifico e le rivoluzioni che andava a compiere. Il trattato era estremamente formale e rappresentava un atto ufficiale in cui in modo asettico ed impersonale veniva esposta la teoria ma non usava che vi fosse il contraddittorio contro altre teorie. Galileo, inoltre, su molte questioni non aveva avuto modo di approfondire gli studi per esporre la teoria copernicana, di conseguenza il trattato risultava impraticabile.
Dal trattato all'epistola
Quando giunse a Roma nel 1613 venne accolto nella accademia dei Lincei che usava già il metodo dell’epistola per scambiare tra scienziati le idee, il toscano ne fece quindi uso.
La questione copernicana era innalzata dai frati domenicani che volevano, dopo il concilio di Trento, salvaguardare la teoria tomista imposta dopo tanti anni all’università ufficiale; questa era la vera causa della loro richiesta di eresia. I gesuiti da parte loro erano favorevoli ai nuovi sviluppi della ricerca scientifica ma Galileo sopravvalutò le sue tesi credendo di trovar in loro una sponda. Tra il 1613 e il 1615 scrisse le 4 lettere copernicane rivolte ad alti ecclesiastici e a Cristina di Lorena per chiarire la sua posizione e render evidente la posizione copernicana. Il risultato fu un ammonizione a non scriver cose eretiche. L’accademia dei Lincei tuttavia chiedeva prudenza per non arrivare ad uno scontro con i geuiti ed inimicarseli totalmente, di fatto ormai si erano creati due partiti che si sfidavano pubblicamente.
Nel 1618 apparsero due comete e i gesuiti se ne occuparono, per contro Galileo scrisse una lettera ma pubblicata da un suo studente, per risposta i gesuiti intervennero ferocemente tirando in causa Galileo. Tutto il mondo accademico, ma anche politico, assistette a quella disputa con enorme attenzione, come di consueto in epoca barocca. Tutti invitavano Galileo ad intervenire e così nel 1623 venne pubblicato a spese dei Lincei ilSaggiatore una lettera articolata che si strafsorma in realtà in dialogo. Galileo usa sia il latino che l’italiano ed amministra la retorica magistralmente facendo far brutta figura ai gesuiti. Il saggiatore ebbe un eco notevole tanto che papa Urbano VIII se la faceva leggere a pranzo. Come risultato si ebbe l’alleanza tra gesuiti e domenicani contro Galileo.
Il dialogo sopra i massimi sistemi
In un contesto privo di certezze, le distanze tra scienza e retorica si riducono drasticamente. Anche l’uomo di scienza, non diversamente dal retore, ricorre al proprio prestigio e alla propria affidabili tà, ambisce a farsi dei proseliti, i suoi enunciati non disdegnano il pathos, il linguaggio coltiva l’eleganza, mentre esercita l’ingegno e la fantasia in un processo straniante simile a quello vigente in letteratura e consistente nel seminare dubbi anche su verità fino allora consolidate, al fine di indurre a guardare ai fenomeni più familiari con occhio diverso, una volta che li si osserva da un’angolatura insolita e senza compromessi o accomodamenti con gli indolenti modi abituali (A. Battistini).
Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo è un opera fondamentale per la storia della scienza e di grande valore letterario perché si esprime tramite un genere che ha una forte componente ponendosi sotto la finzione di un dialogo; la struttura presenta una sequenzialità temporale, un’ambientazione e dei personaggi.
Campanella, dopo aver letto i Massimi sistemi, li definì «comedia filosofica», lo strumento utilizzatoè un’arma, nelle mani di Galileo: serve alla propaganda delle sue idee e serve alla lotta contro l’aristotelismo.
La gestazione del dialogo fu lunga, già ai tempi del Sidereus nucius lo scienziato toscano aveva gli elementi per comporla ma fu iniziata nel 1624, sull’onda dell’entusiasmo suscitato dal successo del Saggiatore. Fu pronto nel 1630 e la stampa iniziò nel 1632 a Firenze.
La fama dell’opera era già alta ancor prima della pubblicazione, da una parte i gesuiti avversari e dall’altra gli amici di Galilei, fautori della nuova scienza, aspettavano l’uscita. Come sappiamo Galileo andò a Roma per ricevere l’imprimatur, ma di questo ne parliamo nella sezione dedicata alla religione.
Ambientazione personaggi e modelli
Il dialogo è ambientato a Venezia in un periodo antecedente la condanna del copernicanesimo del 1616. Il discorso si svolge fra tre personaggi: il nobile veneziano Giovan Francesco Sagredo amico di Galileo e rappresentante di quel ceto di «intendenti» di scienza che costituiva il pubblico privilegiato dello scienziato; il nobile fiorentino Filippo Salviati, anch’egli appartenente alla cerchia dei seguaci più stretti, accademico Linceo e della Crusca, al quale era stata dedicata l’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari; e infine n filosofo aristotelico, tanto invasato nella difesa del sistema di conoscenze fondato sugli scritti di Aristotele da meritare di essere chiamato con il nome di uno dei più grandi commentatori di Aristotele, Simplicio.
Ma è anche vero che Salviati, Sagredo e Simplicio, almeno in partenza e in generale, si presentano sullo stesso piano: tutti e tre sono filosofi, anche se con sfumature diverse, e se Salviati nel corso del dialogo assume una funzione predominante, tuttavia non veste i panni istituzionali del maestro; in questo i Massimi sistemi paiono ripetere la situazione di un altro famoso dialogo dell’antichità classica, il De oratore di Cicerone, nel quale tre esponenti di primo piano dell’oratoria, appartenenti ad indirizzi diversi, discutono dei fondamenti della loro arte.
Galileo adotta anche al modello di Macchiavelli con il famoso «aut aut, tertium non datur», sancito da Aristotele e che era stato il principio informatore di tante pagine dell’autore del Principe, quando giunge al confronto tra due conclusive tesi scientifiche: è questa per lui l’essenza e la peculiarità della scienza, quella di non ammettere né una doppia verità, né mezze verità, né verità ipotetiche o probabili, tutte cose che rientrano nel campo della letteratura e della retorica, non del metodo rigoroso della scienza.
Il dialogo si articola in quattro giornate
Prima giornata. Il discorso parte dall’analisi, compiuta dal Salviati, dei princìpi della fisica aristotelica; vengono in particolare messe in discussione e confutate le idee sul moto (rettilineo, al di sotto della Luna, e circolare, al di sopra) e il Salviati ha così modo di esporre le tesi galileiane sul moto dei gravi, e più in generale sulla definizione di moto. Da qui si passa a discutere la tesi aristotelica che la Terra è corruttibile mentre i cieli sono incorruttibili; e si ha quindi una prima apertura sui problemi astronomici. Simplicio, per controbattere i discorsi del Salviati, al quale finisce per dare man forte anche Sagredo, cita l’opera di Scipione Chiaromonti,l’Antiticone, un aristotelico che era entrato in polemica con Galileo. La giornata si conclude con argomenti di ottica e con la famosa comparazione tra l’intelligenza divina e l’intelligenza umana fatta dal Salviati.
Seconda giornata. La giornata si apre con Sagredo che, per criticare l’atteggiamento antiscientifico degli aristotelici, riporta l’aneddoto del «notomista» il quale, sezionando un cadavere, mostra come il fascio dei nervi parta dal cervello e si dirami nel corpo, contro quanto sostenevano i medici peripatetici; un aristotelico presente gli confessa che ha visto tanto bene la cosa che, se nel testo d’Aristotele non fosse scritto il contrario, vi potrebbe anche credere. L’argomento che viene affrontato è quello della «relatività del moto», che cambia natura rispetto al punto di osservazione, illustrato dal celebre esempio degli esperimenti compiuti su una nave in movimento. Quindi Salviati spiega perché, ammettendo il movimento di rotazione terrestre, i gravi cadono comunque lungo la perpendicolare e non vengono scagliati invece lungo la tangente alla superficié terrestre. È questa l’occasione per una completa definizione della forza di gravità e delle leggi che la governano.
Terza giornata. Con un’invenzione ironica viene presentato all’inizio Simplicio che arriva tardi all’appuntamento perché la sua gondola si è arenata per la bassa marea: bloccato cioè da quell’evento fisico che Galileo riteneva fosse la prova più inconfutabile del moto terrestre. Il dialogo a questo punto entra nel vivo: sono discusse le tesi relative alle stelle nuove, le quali contraddicono la teoria aristotelica dell’immutabilità dei cieli, e vengono illustrati il sistema copernicano e i modi con cui si muovono i pianeti per giungere a elencare le incongruenze del sistema tolemaico. Inoltre Salviati, richiamando esplicitamente l’opera di Galileo, parla delle macchie solari, dell’inclinazione dell’asse terrestre, della distanza delle stelle fisse, della vastità dell’universo e del «terzo movimento» della Terra. La giornata si chiude con l’esame del magnetismo terrestre, esposto secondo le teorie dell’inglese William Gilbert.
Quarta giornata. È la giornata dedicata all’analisi del fenomeno delle maree; Salviati, che rappresenta qui Galileo, afferma di aver potuto compiere osservazioni solo sulle coste italiane, cioè in un mare interno dove il fenomeno è limitato, ma di aver raccolto notizie e dati da chi ha descritto le maree atlantiche, di ben maggiore portata. In realtà la base sperimentale su cui imposta il discorso appare piuttosto scadente, ed anche per questo la teoria galileiana risulta precaria, oltre che sbagliata.
Il caso Galileo Galilei Il cannocchiale di Galileo Emanuele Tesauro