Villa Querini ad Altichiero
Scritto da Laura Savani. Pubblicato in i luoghi scompari
Il senatore veneziano Angelo Querini nel 1780 aveva dato alla stampa la prima edizione della descrizione del suo giardino di Altichiero, nel padovano.
Nulla più resta dei giardini e della villa che sorgevano su un'ansa del Brenta, pochi chilometri a nord di Padova.
La ricordata descrizione costituisce pertanto, assieme ad alcuni disegni e ad un denso carteggio, l'unica testimonanza per ricostruire l'aspetto di questa residenza, Non raccomandabile per alcuna magnificenza o preziosità, ma per la piacevolezza degli aspetti che offre, e per la comoda divisione e distribuzione delle stanze, ove si trova verificato l'antico precetto filosofico che in ogni cosa è l'espressione del buon gusto, nulla di troppo.
Ma era soprattutto nel giardino che si incontravano le invenzioni più originali: dal retro della villa un rettilinio percorso in lieve salita, ricoperto da un pergoltato di carpini conduceva ad un sallon de verdure sur le bord de la rivière, delimitato da arcate verdi e spalliere fiorite, tre le quali erano posti i busti di sei imperatori romani. Al centro di questo salottino di verzura si innalzava un monumento in onore dell'amico di sempre del Querini, Gerolamo Ascanio Giustinian.
Un analogo pergolato conduceva alla Caffè House un piccolo padiglione in onore del dio dei giardini, da dove si raggiungevano da un lato la conversation Suisse, che ricordava gli incontri del Querini in Svizzera, dall'altro, verso l'argine, il monumento a Cerere.
In questa parte del giardino, la più antica, vi erano la colombara, le voliere, l'orto e il giardino dei semplici che era messo a disposizione degli abitanti del luogo. Nella parte opposta si trovavano il Canopo costituito da un boschetto percorso da un complesso e arzigogolato itinerario lungo il quale erano distribuiti numerosi, autentici reperti archeologici collezionati dal Querini, e il roccolo adibito alla caccia agli uccelli minuti, dove erano la capanna della follia, con i ritratti di Voltaire e l'altare delle furie: Ignoranza, Invidia e Calunnia, oltre al labirinto e all'attiguo boschetto di Young.
In tutto il complesso, l'utile era inscindibilmente legato al dilettevole; una parte del giardino era dedicata infatti alla Dea delle biade, vale a dire un pezzo di quindici o sedici campi di terra lavorata. Tra le specie di cui era raccomandata la coltivazione erano annoverati il trifoglio, la vite e il gelso. Non dovevano mancare gli alberi e l'erba. Il centro dell'area era dedicata al sole.
La strada pubblica che divideva in due il giardino era adibita al limitato traffico locale di carri e bestiame, aggiungeva una genuina nota agreste a questo arcadico quadro, concepito sul modello della ferme ornée, un'idea che risale agli albori del giardino all'inglese.
Prato della Valle e le sue affinità con Villa Querini
Il progetto settecentesco di riqualificazione di quel grande spazio amorfo ed acquitrinoso che era il padovano Prato della Valle presenta alcune affinità con Altichiero e fu una delle più importanti opere pubbliche del secondo settecento.
La zona, ai margini del centro di Padova, presentava numerosi infossamenti che favorivano il deposito delle acque e la loro putrefazione. Infestato da zanzare e popolato di rane, il luogo era circondato da alcuni importanti palazzi patrizi.
Il Prato era saltuariamente utilizzato per mercati e fiere stagionali ma anche per assemblee e spettacoli vari.
Finiti gli spettacoli il Prato riprendeva il suo desolante aspetto che le vedute di Canaletto e Guardi ci hanno tramandato.
Il progetto di urbanizzazione di questa enorme area nacque da un'idea di Andrea Memmo nel 1775.
Il vero problema da risolvere era quello idrico. L'idea di base fu quella di fissare nel bel mezzo del prato un'isoletta ellittica sopraelevata grazie alla terra ricavata dal canale di recinzione in cui dovevano convogliare le svogliate acque del Prato. L'isoletta era divisa in quattro spicchi e collegata alla piazza circostante da quattro ponticelli.
Accanto alle tradizionali funzioni di centro commerciale e di luogo teatrale Memmo volle conferire al ripristinato Prato quella di giardino pubblico, destinando a questo ruolo la parte mediana dell'isola, raccolta attorno ad una vasca ellittica al cui centro si doveva erigere un gruppo di statue versanti acqua. Sedici panche stabili distribuite attorno allo spiazzo centrale, concesse a pagamento e rivestite in pelle, dovevano offrire il meritato riposo e il piacere di intrattenersi al fresco. Memmo pensò infine di sfruttare a vantaggio del pubblico anche quegli spazi rimasti liberi tra il perimetro della piazza e la sfilata esterna delle statue, prevedendo qui un boschetto di gelsi, là un laghetto per abbeverare gli animali. Il boschetto, con botteghe in esso distribuite, doveva soddisfare il desiderio di ombra di coloro che vedevano di buon occhio la presenza di alberi nel Prato. In Italia l'idea del Memmo risulta senza eguali ma oltralpe, già da parecchi decenni, era ormai diffuso il vauxhall , cioè un'articolata tipologia architettonica concepita per il tempo libero, con spazi all'aperto per passeggiare, punti di vendita e di ristoro e attrezzature per spettacoli vari, dalla musica alle corse.
Dall'idea alla realizzazione il passo fù però lungo e il progetto sotto molti aspetti rimase incompiuto. Già nel 1786 Goethe annotava nel suo Viaggio in Italia, …le baracche di legno là nel mezzo non le danno un aspetto molto piacevole; ma gli abitanti assicurano che presto ci si vedrà anche qui un bel mercato fatto di pietra come si vede a Verona.