Re Federico Hohenzollern di Prussia, figlio di Federico Guglielmo I, nacque a Berlino nel 1712. Il padre lo voleva educare secondo i rigidi canoni del luteranesimo; e dato che era l'erede al trono, ovviamente prepararlo prima di ogni altra cosa ad essere uomo di stato, ma anche avvezzarlo alla rigida esperienza, competenza e comando militare.
La gioventù
Il giovane principe era versato per la letteratura e la musica soprattutto francese. Il padre cercò in tutti i modi di impedire queste tendenze e non mancava di umiliarlo anche in pubblico. Guglielmo impedì ai suoi precettori di insegnargli latino e filosofia.
Proibizioni inutili, perchè Federico le opere antiche e degli spiriti illuminati dell'epoca, se le procurava e le leggeva ugualmente di nascosto.
Il padre quasi disperato di non riuscire a farne un vero sovrano, ricorse allora alle manieri forti, assediandolo non di insegnanti letterati, ma di nobili militaristi. Ma Federico meditò la fuga, in occasione di un viaggio. Il suo piano fu scoperto e fu segregato nella fortezza di Kustrin, uno dei due amici riuscì a fuggire all'arresto, ma l'altro fu condannato a morte e lo stesso Federico costretto ad assistere all'esecuzione dell'amico. Ne uscì sconvolto. Forse fu questa angosciante esperienza a fargli abolire la tortura e la pena di morte, e a sviluppare una giustizia con giusti processi, senza pregiudizi e intolleranze.
Rinchiuso per due anni dal padre, a riflettere, scrisse un'opera singolare l'Antimacchiavelli, e in segito l’Istruzione per l'educazione del principe ereditario. In entrambe le opere, i princìpi di Federico erano improntati a quelli illuministici del "buon governo", della ragione che deve guidare l'opera di un sovrano, al pari delle concezioni morali della giustizia; dunque una dura critica verso il cinico Machiavelli del "fine giustifica i mezzi".
Inviò i due scritti a Voltaire ma il filosofo senza riguardi gli stroncò più di una frase. Ci rimase male ma il sodalizio con Voltaire durò quasi trent'anni, spesso con una insofferenza reciproca; uno per il suo ostentato sapere l'altro per il suo ostentato potere; entrambi si trovavano sempre in imbarazzo pur rispettandosi. Sotto l'influenza e la guida del grande filosofo, abitò a corte 3 anni, Federico promosse lo sviluppo intellettuale del paese: primo fra tutti i regnanti d'Europa stabilì l'obbligo legale dell'istruzione elementare statale e la totale tolleranza religiosa.
Il regno
Salito sul trono, a 28 anni, nel 1740, Federico abbandonò le critiche a Macchiavelli e si adeguò alla sua dottrina; anzi andò oltre, creandone una tutta sua e soprattutto non scrivendola ma impostandoci tutta la sua vita terrena.Il suo unico scopo nel suo spregiudicato nuovo modo di procedere, era quello di aumentare la potenza dello stato che gli era stato affidato dalla sorte. Visitò il suo regno palmo a palmo, ma non erano visite regali e pompose, piombava in ogni luogo per fare l'agronomo, l'urbanista, l'architetto, il ragioniere, il poliziotto, l'industriale. Progettava tutto, controllava tutto, poi dopo sei mesi in ognuna delle località ritornava a vedere se era stata fatta ogni cosa e riprogettava altri lavori. La reggia non era il suo palazzo, ma il suo archivio. Poi c'era l'esercito, ma anche qui non lesinava nè tempo nè istruzioni; arrivò anche qui a esserne il sergente, il capitano, il generale, e all'occorrenza il condottiero dei 200.000 uomini scelti personalmente da lui, poi addestrati scrupolosamente. Non voleva nei reparti contadini vestiti da soldati, ma soldati che sapevano cosa dovevano fare -e farlo bene- in ogni momento.
Attraverso una serie di abili, ma anche fortunate e tempestive iniziative militari, conquistò nel periodo 1742-45 la Slesia, un possedimento asburgico in pieno disordine per la nota crisi della contestata successione di Maria Teresa. Federico seppe prontamente approfittare del caos e del vuoto di autorità che si era creato per invadere e occupare il ricco territorio minerario.
Più tardi si difese molto bene contro il convergente attacco austro-russo (1756-62) nella guerra dei sette anni, ma pur rivelandosi un perfetto uomo di comando, molto abile nella strategia militare, l'ultimo anno entrò in crisi, ma terminò il conflitto con un vero colpo di fortuna.
Ritornato a combattere nel 1772 a fianco questa volta di Austria e Russia partecipò con grande freddezza alla prima cinica spartizione della Polonia.
Il generale
Le vittorie del re di Prussia, oltre che per il grande spiegamento di mezzi e di uomini bene addestrati, furono dovute ad un uso moderno dell'esercito; impiegato in attacchi rapidi e penetranti. Le sue battaglie lo segnalarono come uno dei "geni" della moderna arte della guerra. Napoleone pur non riconoscendogli grandi doti di stratega sul campo, si dichiarò debitore di Federico, per l'esempio di perfetta organizzazione dell'esercito, per il rapporto che aveva con i soldati e per aver trasformato la guerra da quella che era di posizione, in una guerra di movimento.
Federico fu un abilissimo stratega nel fare alleanze e a giocare su più tavoli per imbrogliare le gandi potenze sempre con l’appoggio dell’inghilterra. I russi della zarina Elisabetta erano arrivati nel 1762 quasi fino a Berlino, inebriando Maria Teresa che non aspettava altro che una sconfitta di Federico per riprendersi la Slesia. Sembrava per la Prussia tutto perduto, quando improvvisamente la zarina morì e salì al trono lo zar Pietro III con una gioventù molto simile al ribelle Federico, tanto da esserne perfino un fanatico ammiratore.
Non solo Pietro pose fine alla guerra, ma gli offrì la propria alleanza e una pace duratura ma dopo pochi mesi fu costretto ad abdicare dopo un colpo di stato di sua moglie Caterina II. Il cessate il fuoco, il patto e i pochi mesi di regno dello sfortunato sovrano, furono sufficienti a Federico per riprendere in mano l'intera situazione e a rovesciare le sorti di quella guerra che stava perdendo, e per organizzarsi meglio in una futura.
Lo statista
Altra abilità di Federico era quella di trovare il più piccolo spiraglio per far apparire ogni sua mossa un diritto, avvalendosi di cavilli legali, diplomatici, formali, che spesso erano pretestuosi, ma utili per compiere il suo raggiro, tenendo fede ad uno dei suoi tanti motti: "Se c'è qualcosa da guadagnare ad essere benevoli ed onesti, siamolo; se è necessario essere duri o ingannare per il bene dello stato, facciamolo". Il "critico" di Machiavelli, a questo punto aveva superato il maestro, anche perchè non scriveva, ma operava, e il "Principe" Borgia era lui.
La politica interna
In politica interna Federico, pur non intaccando il predominio della numerosa nobiltà nelle campagne, attuò di persona una serie di riforme amministrative e burocratiche che portarono in breve tempo al consolidamento dello stato e a riempirne le casse. Inambito economico favorì lo sviluppo delle manifatture, dell'industria, delle miniere, dell'agricoltura e del commercio. Non voleva vedere nulla di importazione, soprattutto se le stesse cose si potevano fare in casa; infatti se quel dato prodotto era necessario, studiava il modo di come produrlo nel proprio Paese, carpendo i segreti della produzione agli altri Paesi, creando le opportune fabbriche. Perfino per delle banalissime cose. Tutti usavano i piatti, le stoviglie, ma nessuno in Prussia le produceva. "Ma cosa ci vuole per creare una fabbrica di piatti? dell'argilla, cioè quasi un nulla. Eppure importiamo piatti in quantità, arricchendo altri paesi". E così per altre cose. "Facciamo fabbriche". "Non ci sono tecnici, maestranze, bravi artigiani? In Austria cacciano via dei bravi artigiani protestanti, chiamateli qui, aprite a loro le porte della Prussia, dite loro di venire qui".
In pochissimi anni Federico si impose all'opinione pubblica internazionale del tempo come il principale esponente dell'assolutismo illuminato. I regnanti d'Europa rivolgevano costantemente lo sguardo alla Prussia ma soprattutto a Federico. E o per invidia, o per paura che diventasse troppo potente, quasi lo isolarono.
Il piccolo Paese ereditato dal ribelle principe ventottenne, in pochi anni era diventato non solo vasto come territorio ma anche una grande potenza, verso cui gradualmente si orientavano i minori staterelli tedeschi sottraendosi non solo ai protettorati austriaci ma anche a quell'influenza che esercitavano gli Asburgo un po' ovunque. Infatti, durante il suo regno, la popolazione prussiana, raddoppiò, passò da circa due milioni e mezzo a cinque milioni. La tolleranza religiosa attrasse in Prussia una preziosa schiera di artigiani e bravi tecnici, ma soprattutto masse di coloni protestanti, cacciati dagli Stati asburgici a est. Furono proprio queste masse contadine, proprio su indicazione di Federico a dedicarsi alla intensiva e diffusissima coltivazione della patata che presto diventerà la base alimentare fondamentale dei popoli germanici, e che proprio dalla Prussia si diffuse poi in tutta Europa. Più nessuno in Prussia rimase senza mangiare. Ci pensava personalmente Federico a risolvere questi problemi, non i saccenti funzionari!
Creò le "armate di agricoltori", assegnando ad ognuna zone particolari, spesso desertiche e in ognuna di queste dovevano far sorgere villaggi, bonificare terreni, coltivare, piantare alberi, canalizzare fiumi. Il tutto sotto la sorveglianza di intendenti che prendevano ordini e riferivano i risultati dei lavori solo al sovrano. Decideva lo stesso Federico, dove far sorgere un villaggio, cosa dovevano piantare e cosa coltivare. Arrivò fino ai particolari quando aggirandosi nei pollai scoprì come si fanno le preziose uova, che -disse- "non costano nulla ma danno un alimento prezioso" e impose tassativamente "ogni contadino -per assicurarsi la cena- deve avere almeno 10 galline per fare uova".
L’assolutismo
Pur non intaccando le proprietà nobiliari, ai Principi oltre che le sue indicazioni di come mettere a profitto i terreni, impose anche la sua filosofia nei rapporti con i loro contadini suggerendo "dovete essere i padri non i carnefici dei vostri contadini". La nobiltà, Federico la rispettò, ma nell'erigersi a campione della libertà dei deboli, lentamente cancellò la grande differenza sociale, più psicologica che materiale, quando dando l'esempio abolì ostentazione di ricchezze e agi pacchiani; in modo che i suoi nobili furono costretti anche loro a scendere da quei piedistalli di "sultano" che si erano nei piccoli regni creati con l'insolenza e con i gratuiti e scellerati maltrattamenti e angherie.
Questa politica e questo atteggiamento di Federico, oltre che essere una lodevole missione sociale, era anche però una astuta strategia politica. Livellando la società dall'alto verso il basso, non permettendo la nascita di poteri forti, Federico eliminava il pericolo di una potenziale opposizione alla corona. Primo: i nobili non disponevano o non ostentavano più grande ricchezze, perchè dovevano renderne conto e pagare contributi proporzionati alla loro opulenza. Secondo: non disponevano più come in passato di uomini da mandare con un loro cenno al macello, spesso inseguendo solo egoistiche ambizioni personali di "cortile", che non avrebbero mai permesso la nascita di un grande stato, ma semmai ulteriore divisioni; con questi metodi non sarebbe mai nato uno Stato Forte. All'incirca c'erano trecentocinquanta staterelli con i soliti atavici feudali isolamenti, e Federico non li voleva vedere diventare seicento, ma nemmeno voleva che alcuni, magari coalizzandosi - i precedenti non mancavano di certo- diventassero più forti di lui, cioè più forti dello Stato.
Ogni intervento di Federico in un paese, in una città, in una proprietà terriera, era una piccolo seme che germogliava poi in "quel" giardino locale, ma anche nel "suo" giardino, dove non erano più ammesse le piante "aristocratiche" ornamentali che assorbivano solo linfa e spazio vitale a quelle che invece davano tanti frutti se coltivati in una forma intensiva; e i frutti erano gli individui, la massa, e a questa dandogli un preciso punto di riferimento e l'adeguata istruzione solo così si poteva costruire uno stato forte.
Questo assolutismo, questo togliere il potere politico alla nobiltà o la cancellazione delle ultime autonomie delle città, se da una parte creò una assolutistica potente macchina burocratica centralizzata tutta sulla sua persona, dall'altra fu compensata con la massima libertà nei confronti dei contadini fino allora servi, che gli furono sommamente grati, anche se dovevano ubbidire più di prima. Nell'anedottica federiciana c'è un episodio emblematico. Un uomo si vantò per tutta la vita che Federico avesse risposto a delle sue lamentele con la brusca frase "cane, sta zitto!". Il vanto era di aver ricevuto "una risposta" dal "suo" re e che questa risposta era stata cameratesca. Da un amico insomma, che ti diceva quello che pensava.
L’economia
Quando volle fondare l'industria della carta, mancando la materia prima, con una estemporanea "ricerca di mercato", scoprì che in ogni casa gli stracci si buttavano o si bruciavano. Mobilitò un esercito di raccoglitori a battere città, paesi e campagne. Non sappiamo se il vero intento era proprio quello, o se era quello di dare l'impressione che gli uomini del re erano dappertutto, anche per delle banalissime cose come potevano essere in questo caso gli stracci. Cioè non sfuggivano al controllo nemmeno più questi, figuriamoci i tesori occulti, magari frutto di ruberie fatte allo stato.
Non è una novità che dagli stracci e dai rifiuti si può risalire al tenore di vita di un cittadino e al suo spreco, e forse questa "furbizia" a Federico non sfuggì. Chi sprecava molto vuol dire che aveva i mezzi per farlo; bastava un controllo incrociato nel suo archivio delle tassazioni e scopriva subito se pagava in proporzione.
A parte questi coloriti episodi, tutta l'economia prussiana fu impostata all'eliminazione degli sprechi di chi possedeva molto, e nel perseguire severamente chi traeva vantaggi finanziari dalle debolezze e miserie altrui. Soprattutto i parassiti della società. Nobili e speculatori dovettero adeguarsi a improntare la loro vita a una corrispettiva semplicità ma anche a quella instancabilità che il "palazzo" mostrava. E dovettero anche smettere di "trattare i loro contadini come bestie da soma" dovevano mirare a una pace sociale, avere attorno amici servi non servi costantemente nemici, dedicarsi a loro, e non solo all'oziosa agiatezza, ai palazzi dorati e alle feste che umiliavano i loro sudditi.
Chi osò criticare che invece lui stava spendendo un patrimonio per la reggia di Potsdam Federico fece capire che era un affare di stato, che bisognava pur dare l'impressione che il paese per vivere non raccoglieva solo gli stracci e che se il suo re si permetteva simili lussi significava che le finanze erano solide e prima di attaccare la Prussia, gli altri paesi dovevano pensarci.
La libertà religiosa
Altra astuzia per non far nascere guerre di religione tra luterani protestanti e cattolici, che rovinavano con le loro divergenze di opinioni la pace sociale, la escogitò col motto "Nel mio paese ognuno andrà in cielo come vorrà, e non mi riguarda che santo si sceglie". Da buon preconizzatore del marketing, prima fece fare un sondaggio chi preferiva immagini di alcuni santi, poi ne permise la produzione regolando la quantità esattamente con la domanda. Non bisognava sprecare nulla.
Agli ebrei ripristinò il diritto di sposarsi ma solo se acquistavano un servizio di porcellana di una fabbrica, voluta ideata e fatta costruire dallo stesso Federico, per fare appunto concorrenza agli stranieri che vendevano stoviglie e oggetti vari in tutta la Prussia.
Quando gli altri Stati soprattutto asbugici cacciarono i gesuiti, Federico che ne conosceva la colta preparazione ed esperienza nell'istruzione, ne approfittò per procacciarsi ottimi professori a basso costo; cioè quelli che più nessuno voleva, procurandosi il meglio nelle sue scuole e anche a poco prezzo, conducendo così in Europa, la prima vera grande lotta all'analfabetismo, che di lì a pochi anni diede successivamente poi un grande impulso all'istruzione di grado superiore. Quando morì Federico, la Prussia aveva il 98 per cento della popolazione alfabetizzata, l'Inghilterra ci arrivò 125 anni dopo, nel 1900; l'Italia e la Francia e perfino gli USA, dopo 180 anni, solo nel 1950-60. In tutta la storia, nessun uomo al mondo nella sua vita è riuscito a tanto; ad alfabetizzare in pochissimo tempo un intero popolo.
Federico il Grande
La sua fine, ci rivela il carattere ostinato, ma anche stoico di quest'uomo. A 76 anni, in una giornata che era iniziata ed era poi continuata sotto un acqua torrenziale, dovevano sfilare le sue truppe in una grande parata commemorativa; Federico non rimandò affatto la parata, poi impassibile rimase ritto per 6 ore sotto il diluvio a veder sfilare i "suoi" soldati. E fu l'ultima volta. Si prese una broncopolmonite e data l'età gli venne un collasso, ma appena si riprese volle nelle ore notturne recuperare il tempo perduto per l'inconveniente. Ma non arrivò al mattino, alle due di notte un altro attacco poneva fine a quel Federico che meritatamente gli fu dato l'appellativo di "Grande".