La distribuzione geografica dell’industria in Europa subì notevoli cambiamenti in questo periodo. All’inizio del diciottesimo secolo le regioni più industrializzate del continente erano le Province Unite, alcune regioni della Francia e qualche zona della Germania, in particolare la Sassonia. Diversi stati italiani conservavano a loro volta, sotto questo rispetto, parte dell’antica importanza.
L’Inghilterra era fortissima esportatrice di tessuti di lana e in minor misura di stagno e piombo, ma per il resto produceva poche cose che contassero nella vita economica del continente. Allo scoppio della rivoluzione francese, le Province Unite avevano perduto parecchio dell’antica importanza, mentre la Francia aveva mantenuto e forse leggermente migliorato la sua posizione e gli stati italiani erano decaduti fino a diventare industrialmente insignificanti. La Boemia era diventata una regione industriale di primo piano, specialmente dal 1770 in poi. L’Inghilterra, grazie alle nuove tecniche e alla relativa abbondanza di capitali, si pre parava a conquistare un predominio industriale che sarebbe stato assoluto e soprattutto qualitativo, basato non sulla superiorità delle risorse materiali ma sulla superiorità tecnologica e organizzativa.
La Russia si affermò tra le principali potenze industriali d’Europa. Raggiunse tale posizione come produttrice di metalli, rame e soprattutto ferro. All’inizio del periodo possedeva già una notevole industria metallurgica nelle zone di Tula e Olonec, alla quale si aggiunse, sotto Pietro I, una nuova e più ricca fonte di produzione negli Urali del sud. Dall’apertura della prima fonderia degli Urali a Nevjanslc, nel 1699, fino alla morte di Pietro, nel 1725, l’espansione fu quasi ininterrotta, e fece la fortuna di parecchi imprenditori, in particolare di Nikita Demidov, un arti giano analfabeta di Tula, fondatore della più grande dinastia indu striale dell’epoca.
A parte la produzione di metalli e di pochi altri manufatti, come la tela per vele, lo sviluppo industriale nella Russia del diciottesimo secolo fu deludente.
A impedire un più rapido sviluppo dell’industria del diciottesimo secolo furono non solo la lentezza del progresso tecnologico e la penuria di capitali, ma anche l’influenza conservatrice e limitatrice delle corporazioni. L’unità e l’omogeneità che le corporazioni artigianali avevano posseduto nel medioevo e nella prima parte dell’era moderna erano state minate, molto prima che si iniziasse questo periodo, da nuove pressioni e occasioni economiche. In particolare quel tanto di eguaglianza che le corporazioni medievali si erano sforzate di conservare tra i loro membri era andato in generale irrimediabilmente distrutto. Si andò sempre più accentuando nel loro seno il distacco tra il gruppo di ricchi mercanti e la maggioranza di piccoli produttori: i primi provvedevano a immettere sul mercato i prodotti relegando sempre più i fabbri canti ad una posizione di inferiorità. Uno degli esempi meglio documentati di questo processo è fornito dall’industria della seta di Lione, dove questa situazione era affermata già dal 1712.
In Francia le corporazioni riuscirono a resistere agli attacchi ai loro privilegi fino allo scoppio della rivoluzione; in Germania conservarono una effettiva importanza economica fin verso la metà del diciannovesimo secolo. Con la loro ostilità ai nuovi processi di produzione, le frequenti dispute di carattere giurisdizionale e la tenace difesa dei diritti tradizionali contribuirono a limitare il progresso economico in quasi tutta l’Europa.