Nei canoni attuali potremmo definire Bernini pittore essenzialmente un ritrattista ma di certo non era questa l'immagine che avevano di lui i contemporanei e...lui stesso.
Ritrattista e non solo
Colpisce l'affermazione che si lascia sfuggire a Parigi con l'amico Chantelou: "mi sento più pittore che scultore per via della facilità con cui riesco a produrre in quel linguaggio". E di certo egli non si riferiva solo alla maggiore difficoltà oggettiva e allo sforzo fisico di scolpire il marmo piuttosto che di spargere colore su una tela. D'altronde nell'iscrizione con la quale nel 1638 si firma sul campanile di San Pietro tra gli artisti che hanno preso parte ai lavori della "Fabbrica" , il suo primo attributo è PICTOR, poi SCULPTOR et ARCHIT.O.
E' probabile che Bernini abbia inzialmente concepito la pittura come una esercitazione personale, una sorta di laboratorio "sperimentale" privato e introspettivo, in larga parte concentrato sulla propria immagine. E' certo tuttavia che il suo rapporto con la pittura e il modo di concepirla abbia presto varcato questi confini privati.
E' certo che i suoi contemporanei lo associassero in automatico alla pittura, forse quasi quanto noi lo accostiamo all'architettura e alla scultura: un avviso segnala la morte di Bernini annunciando che il mondo è stato privato del "Tiziano dei nostri tempi" mentre il Baldinucci ci informa che la sua prouzione pittorica consta "oltre a quelli che sono in pubblico, sopra 150 quadri".
Giovanni Baglione, nelle sue Vite, ricorda l'artista come architetto della Fabbrica di san Pietro e ritrattista papale. In effetti il ritratto di Urbano VIII mostra dei tratti vivacemente scultorei, come il movimento del panneggio della mozzetta, che saranno assunti a vero e proprio tratto distintivo dei busti celebrativi berniniani.
Oltre agli autoritratti le tele superstiti del Bernini rivelano un talento ancora una volta notevolissimo: il David con la testa di Golia è un'opera giovanile di fattura "rapida, spigliata, dalle tonalità calde buttate sulla tela in pennellate snelle, tortuose a modellare solide forme e volumi" (Martinelli).
Da qualche anno i critici stanno prendendo coscienza di uno stile pittorico berniniano e stanno affiorando numerose attribuzioni di tele credute per secoli di Nicolas Poussin, Mola, e molti altri, restituendo luce e dignità a questo ennesimo talento di un'artista unico nella storia dell'umanità. Una di queste recenti riscoperte è il ritratto di giovanetto, dove la straordinaria freschezze e l'insolita tecnica dell'olio su carta creano un'effetto "istantanea" che Bernini doveva amare molto e in cui appare eccellere.
D'altronde la sua produzione e l'inventario di bottega sono pieni di pregevoli "opere" nate dall'estro del momento su fogli di carta volanti: un'idea, una visione, un volto di passaggio, il proprio viso allo specchio...tutte suggestioni in movimento che Bernini cattura con la tecnica, l'accuratezza e la compiutezza della grande opera d'arte ragionata e "finita". Presumibilmente in questo modo sarà nato il ritratto al cardinale Rinaldo d'Este, fratello del duca Francesco I di Modena.
Il prelato inizia a frequentare la bottega dell'artista per intercedere alla realizzazione di un busto celebrativo per suo fratello: all'inizio i busti dovevano essere due, uno anche per il cardinale, ma i costi proibitivi fanno desistere quest'ultimo, che si "accontenta" di un dipinto.
Bernini realizza il busto di Francesco I senza averlo mai visto, di contro Rinaldo si era recato a parlamentare con lui talmente tante volte che ormai doveva risultargli familiare, con quella sua fronte altissima, i capelli che sfuggono sopra l'orecchio e lo sguardo mogio che quasi sembra logorato da tutta quell'attività diplomatica per il busto.
Autoritratti di Gian Lorenzo Bernini
La pittura secondo Bernini: influenze ed eredità
In una visione totale della "decorazione barocca", quando è chiamato a realizzare la chiesa di Santa Bibiana prima e poi le spettacolari cappelle in cui si compie quel bel composto delle arti che si integrano per stupire e metere in scena il grande spettacolo della fede, Gian Lorenzo intende la presenza dell'opera pittorica come innovativa e subordinata insieme.
Pietro da Cortona, Carlo Pellegrini, Guido Ubaldo Abbatini, Raffaello Vanni: dagli anni 40 ai 70 dei Seicento i grandi decoratori della Roma barocca esplorano lo spazio, le soluzioni e le illusioni pittoriche sotto la guida e le fantasie di un Bernini che, per quanto avrebbe potuto, non interviene direttamente nella realizzazione dell'affresco ma trasferice delle visioni e delle "invezioni" con la competenza e la perizia di chi ha estrema dimestichezza con quel linguaggio.
Bernini è pittore anche quando non dipinge. Anche se progetta e scolpisce.
Bernini ha studiato la storia della pittura, sotto la guida di suo padre Pietro prima e autonomamente poi, avendo l'occasione di frequentare le residenze della più alta società romana e di visionare le migliori opere del Rinascimento come delle "avanguardie" internazionali a lui contemporanee.
Il suo favorito era Raffaello, che egli paragonava a "un grande mare che raccoglieva in sè l'acque di tutti i fiumi cioè il perfetto di tutti gli altri insieme", poi nell'ordine Correggio, Tiziano, Annibale Carracci. Una lode particolare la riservava a Guido Reni.
Anche Gian Lorenzo espresse il suo punto di vista nell'antica e accesa disputa sulla superiorità tra scultura e pittura, arrivando alla determinazione che la pittura consiste nell' aggiungere alla realtà mentre la scultura nel togliere. Ecco il suo parere definitvo: la Scultura mostra quel che è, la pittura quel che non è.
Questa potrebbe considerarsi la sintesi di tutto un filone della pittura decorativa barocca, che fece della quadratura ,dell'illusione e della suggestione di spazi e architetture "virtuali" la sua bandiera e di certo il grande regista/illusionista Bernini ne è uno dei maggiori ideologi.
Basti pensare al suo allievo prediletto, al prodotto più perfetto della trasmissione di sogni e saperi di Gian Lorenzo: il Baciccia che, insieme a padre Andrea Pozzo, inaugura una stagione di "effetti speciali" impensabili senza la lezione reale e tridimensionale delle architetture di Bernini e Borromini.
Ritratti di Gian Lorenzo Bernini