Le accademie, fucine di nuove idee e tendenze culturali, sono un fenomeno particolarmente rappresentativo del periodo barocco, ma l'Arcadia ne è forse uno dei suoi simboli, pure essendo nata da un genuino sentimento antibarocco e come reazione all' imbarbarimento e alla volgarizzazione dei generi letterari, musicali e artistici.
Questa almeno era l'intenzione originaria dei suoi fondatori, Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni, due letterati assidui frequentatori del salotto di Cristina di Svezia, ed estimatori, come la regina dell'antichità classica e dell'apollineità delle forme.
E' facile pensare che due sostenitori della sobrietà e della compostezza che avevano caratterizzato la Grecia arcaica, esempio di civiltà e raffinatezza pur nella sua bucolica semplicità, esecrassero la letteratura e l'arte barocca, che nell'Urbe come in nessun altro luogo esplodeva ovunque eccessiva e ridondante, portata nelle strade e nei teatri, fruibile non più solo dal pubblico elitario degli intellettuali ma dalle grandi masse metropolitane.
L'Arcadia nelle scena musicale romana
Fu questo che spinse Crescimbeni e Gravina a fondare nel 1690 l'accademia dell'Arcadia, regione ellenica assurta a patria ideale e trasfigurata della perfezione classica: i membri, pochi eletti vocati ad un ritorno alla semplicità e all'autenticità propria dei pastori arcadi che nella mitologia abitavano il bosco Parrasio, dovevano rifarsi ai sommi modelli danteschi ed omerici e, dopo attenta selezione, potevano essere ammessi a questa crociata per il ripristino del “buon gusto”.
Uno dei generi su cui il confronto tra arcadi e “barocchisti” fu più acceso fu di certo la musica: a Roma, come in tutta Italia ed anche all'estero, venivano stravolti i generi musicali per compiacere ascoltatori sempre più esigenti e modaioli, ma forse meno colti e spesso provenienti da ceti sociali medio bassi, e impazzavano nuovi generi, primi tra tutti i melodrammi eroici di stampo italiano.
In queste opere, portate alle vette più alte di perfezione da Vivaldi ed Handel, vicende classiche erano prese a pretesto per dare al pubblico motivetti cantabili, facili emozioni, effeti scenici mirabolanti ma soprattutto i pavoneggiamenti canori dei castrati, artisti capricciosi e spesso debosciati, strapagati ed osannati da stuoli di ammiratori pronti a tutto per i loro idoli.
Secondo gli arcadi, questo stato di cose, assecondato dal ferreo divieto contro le donne in scena imposto da Inoocenzo X, aveva trasformato i teatri di tutta Europa in “corti dei miracoli” leziose e modaiole, dove membri di ogni ceto sociale potevano partecipare di una mondanità effimera e spesso di cattivo gusto, e aveva ridotto rispettabili musicisti in indefessi produttori di ariette con “da capo”prive di spessore armonico e di mordente.
Per levare la loro voce contro questo “scempio culturale” e lavorare ad una restaurazione di una sobrietà ed un rigore formale, molti musicisti si unirono all'Arcadia, usando uno pseudonimo che riechegiasse la classicità, com'era stato stabilito dallo statuto dell'associazione : tra questi spiccano Arcangelo Corelli, alias Arcomelo Erimanteo, Bernardo Pasquini, alias Protico Azeriano, Francesco Gasparini, alias Anfriso Petronio.
Praticamente tutti personaggi più insigni della Roma musicale di fine XVII secolo erano formalmente affiliati all'Arcadia ed in qualche modo si posero in controtendenza rispetto alle mode imperanti nell'Urbe: Corelli scelse di non comporre mai melodrammi, nonostante fossero un genere estremamente redditizio, e dopo la morte di Cristina visse ai margini della vita mondana cittadina; continuò ad essere attivo però nell'Accademia, dove inisieme con Pasquini aveva istituito il “Coro d'Arcadia”.
Questo gruppo di virtuosi, che comprendeva oltre a Corelli stesso, il suo allievo di violino Matteo Fornari e i violoncellisti Giovanni Lorenzo Lulier e Bononcini, si esibiva presso la sede dell'associazione sul Gianicolo o nella residenza di Ariccia della famiglia Chigi, dove si tenevano le riunioni estive, dando prova di sobrietà di stile, solidità formale e competenza.
Questi concerti ospitavano occasionalmente anche musicisti “forestieri”, come nel caso di Alessandro Scarlatti, clavicembalista napoletano entrato in Arcadia con lo pseudonimo di Terpandro Azeriano, preso sotto l'egida della regina Cristina e del Cardinale Ottoboni, apprezzatissimo compositore di oratori e cantate molto in voga a Roma.
Francesco Gasparini, che aveva studiato con Legrenzi e soggiornato per anni a Venezia, rappresenta un trait d'union tra l'Arcadia romana e un'accademia analoga, quella degli Animosi, nata col medesimo scopo nella Serenissima, altra sede ampiamente “appestata”dal morbo dei castrati e dell'opera effimera e involgarita.
Il suo fondatore, il poeta e librettista Apostolo Zeno, che fu caro amico del Gasparini nonché autore dei testi di più della metà dei 61 drammi di quest'ultimo, tutte rappresentati con successo tra Venezia e Roma e distintisi per una solidità di scrittura ed una modernità armonica rare in quel tempo.
Tuttavia Gasparini non è l'unico tratto in comune tra l'Arcadia romana e la Serenissima: nel “Bosco Parrasio” militano anche Alessandro e Benedetto Marcello, alias Eterio Stinfalico e Driante Sacreo, due fratelli dell'aristocrazia veneziana eruditi in musica ed attivi nel panorama culturale della città lagunare.
Benedetto in particolare sarà attivissmo nella battaglia per il “buon gusto”, attacando apertamente, tramite il pamphlet satirico “Il teatro alla moda”del 1720 , i giganti del melodramma allora più in voga, primo tra tutti il concittadino Antonio Vivaldi, ridicolizzato in modo sagace e arguto tramite anagrammi e giochi di parole, nel pieno stile raffinato e sottile dell'Arcadia.
Come risposta al melodramma eroico, dalle trame contorte e complesse, ricche di elementi magici e di colpi di scena che imporessionassero il pubblico a scapito della linearità di svolgimento, i compositori arcadici riproposero un genere musicale tardorinascimentale: la “pastorale ovvero la trasposizione musicale di un testo ispirato agli scritti bucolici di Teocrito e Orfeo, che aveva spesso come protagonisti pastori, i loro amori agresti e l'elegia della vita semplice e morigerata.
Dal punto di vista formale, la pastorale era molto più breve dell'opera eroica, non aveva più di 3 o 4 personaggi, era priva di cori e si avvaleva dell'accompagnamento di orchestre di soli archi, mentre lo stile si presentava condensato e semplice.
In quegli anni a Roma si trovavano sia Giovanni Bononcini, a servizio presso Filippo II Colonna, sia il suo rivale Handel: questi di certo sarà entrato in contatto con le tendenze di recupero dell'antico in voga a Roma. Prova ne sono le opere Apollo e Dafne, Acis e Galatea e la cantata Arresta il passo, ispirate al genere pastorale riportato in auge dall'Arcadia.
In Inghilterra egli propose entrambi i generi che aveva appreso in Italia, quello eroico con il Rinaldo, e quello della pastorale tramite Il pastor fido: ad un successo clamoroso del primo fece da controaltare un totale fiasco del secondo, e questo bastò per allontanare il musicista tedesco dalle posizioni arcadiche, rendendolo uno dei principali esponenti dello stile “avverso” ai militanti del Parrasio.