Mobilità, vicissitudine, incostanza: le cose tutte sono mobili e passeggere; tutto fugge e cambia; tutto si muove, sale o scende, si sposta, si accalca. Non c’è elemento del quale si possa essere certi che un istante dopo non sia cambiato o spostato. L’incostanza è un fattore universale e insuperabile. Oggetti di mutabiità, inconstanza e fragilità costituiscono materia prediletta dello scrittore barocco: la nube, l’acqua che scorre la rosa effimera, l’arcobaleno, i fuochi d’artificio, e così via.
Il Barocco radicalizza il nuovo orientamento e fa della varietà forse il primo dei valori che il mondo possiede.
La bellezza della natura fisica che i nostri occhi contemplano sta nella sua varietà. «Tutto l’universo — scrive Gracian, — è un’universale varietà che alla fine diventa armonia». In queste parole va rilevata la contrapposizione tra lo spirito barocco e lo spirito illuministico del diciottesimo secolo, per il quale l’uniformità sarà appunto il principio ispiratore di ogni suo atteggiamento. Per Gracian, invece, come per Pascal, è un principio che limita e coarta.
Negli scrittori politici si trova lo stesso topos, in termini analoghi. La riflessione sulla varietà di popoli, regimi, costumi, caratteri, finirà per fondare il principio della particolarità multiforme dei governi, conforme con l’esperienza di pluralismo che caratterizza il sistema dello Stato moderno e con la necessità imprescindibile che per conoscere gli uomini e le relative società occorre penetrare nell’ineluttabile diversità dei loro caratteri.
Le rovine
Il tema delle rovine è una ossessione. In esse si cerca di trovare la testimonianza di un tempo, rispondendo così all’incipiente coscienza storica che si va formando. In questo senso, lo scrittore barocco coltiva l’archeologia. Le rovine sono materiale adatto per studiare la struttura dell’opera umana e la condizione della vita dell’uomo che l’ha creata, senza poterla liberare dalla sua propria fugacità. Sono una potente testimonianza della lotta tra la natura perenne, benché mutevole, e l’uomo perituro e dotato della capacità di trasformare le cose, per esempio, di far della pietra un palazzo. Quadri, narrativa e poemi sono dedicati alle rovine di Troia, di Cartagine, di Roma, di Numanzia, di Sagunto e di Italica.
La fortuna
La fortuna è varia: tale è il significato fondamentale dell’idea della stessa.
Nel Seicento la fortuna è l’immagine retorica dell’idea di mutabilità del mondo: è concepita come motrice dei mutamenti e causa del movimento che agita la sfera degli uomini.
Per gli antichi la fortuna è una decisione degli dei, estranea agli uomini, un fato; per il Medioevo un avvenimento che la Provvidenza fa uscire dall’ordine prestabilito al fine di rendere più temibili e imperscrutabili i disegni di Dio; negli scrittori del quindicesimo secolo essa sembra significare il modo in cui si manifesta il disordine costitutivo di un mondo in crisi a causa del proprio sviluppo; per il Rinascimento maturo, essa fa appello alle forze naturali che vanno al di là dell’azione volontaria e del controllo dell’uomo; e nel Seicento si avverte la conversione di quest’ultima concezione nell’idea di un corso delle cose di questo mondo, non inquadrabile certamente in uno schema razionale, ma che l’uomo accorto può affrontare con una strategia, conseguendo risultati positivi e strategicamente comprovabili.
L’apparenza
Apparenza e forma non sono falsità, ma qualcosa che in qualche modo appartiene alle cose. Apparenza e forma sono le facce di un mondo che in ogni caso è un mondo fenomenico, rispetto al quale dobbiamo rapportarci per conoscerlo empiricamente. Galileo e Cartesio erano impegnati in questo senso come razionalisti e scienziati mentre gli scrittori barocchi intravidero confusamente quell’occulto percorso.
Nel diciottesimo secolo Maupertuis direttore dell’Accademia delle Scienze di Berlino, scrisse: viviamo in un mondo nel quale nulla di ciò che percepiamo somiglia a ciò che percepiamo. Sembra questa una frase perfettamente barocca, e nondimeno esprime il grande paradosso tra la scienza e l’esperienza dalla cui constatazione sorge il pensiero scientifico moderno. L’uomo del Barocco, immerso nella crisi della propria epoca, si sente smarrito di fronte alle cose e riesce soltanto a parlare di confusione e delusione a seconda che propenda più verso una considerazione logica o verso un rifiuto ascetico di quella tremenda e, ciò malgrado, facilmente superabile antinomia tra realtà ed apparenza.