Mappa del cristianesimo settecentesco
La distribuzione geografica delle principali confessioni cristiane in Europa non subì cambiamenti di rilievo durante il periodo 1713-83. Il luteranesimo, di norma estremamente ortodosso e conservatore, si era assestato in Scandinavia e in buona parte della Germania settentrionale. L’anglicanesimo, pur soggetto alla concorrenza sempre più temibile delle varie sette dissenzienti e dei metodisti, mantenne il predominio in Inghilterra. In Scozia, nelle Province Unite, in qualche stato tedesco e in parte dei cantoni svizzeri il calvinismo conservò la preponderanza che si era a così duro prezzo conquistata nel corso delle generazioni precedenti, mentre si segnala una importante minoranza calvinista in Ungheria e altre notevoli in Francia, Polonia e Boemia. Il cattolicesimo rimase signore della penisola iberica, dell’Italia, della Francia e della maggior parte dell’impero asburgico e della Germania meridionale. A est la chiesa ortodossa, dominante in Russia, continuò a pretendere obbedienza da numerosi gruppi della Polonia orientale e da alcune parti dell’impero asburgico. Nei Balcani, dove la gerarchia era composta quasi esclusivamente da sacerdoti greci, la confessione ortodossa abbracciava la maggioranza della popolazione, escluse alcune regioni come la Bosnia e l’Albania.
Tentativi di riconciliazione
Il sogno di una riconciliazione tra cattolici e protestanti, o almeno di una certa collaborazione tra le chiese protestanti rivali, continuò a lusingare molti - ecclesiastici e laici - nell’Europa occidentale, soprattutto durante la prima metà del secolo. Il grande luterano Leibniz mantenne una fitta corrispondenza nel periodo 1692-94 e nel 1699-1701 con il massimo apologeta vivente del cattolicesimo, Bossuet, vescovo di Meaux, discutendo con lui circa la possibilità dell’unificazione tra cattolicesimo e luteranesimo. Qualche anno dopo William Wake, arcivescovo di Canterbury, avviò lunghi negoziati per arrivare a una forma modificata di unione tra anglicanesimo e chiesa cattolica in Francia. Federico Guglielmo I di Prussia, sovrano calvinista di uno stato in buona parte luterano, tentò - senza riuscirci - di conciliare le due grandi confessioni protestanti; durante il suo regno si tennero negoziati per realizzare una qualche forma di unione tra le chiese protestanti di Prussia e la Chiesa d’Inghilterra. Fatto meno prevedibile, i ministri della Chiesa d’Inghilterra, che si erano rifiutati di giurare fedeltà a Guglielmo III dopo la rivoluzione del 1688, dal 1690 in poi fecero una serie di tentativi per entrare in comunione con la chiesa ortodossa di Russia, con la quale avevano affinità dottrinali. Nessuno di questi sforzi per arrivare a una unità o a una collaborazione tra le varie chiese ebbe successo; dopo i primi decenni del secolo, le speranze di questo tipo furono espresse con meno frequenza e con assai minore autorevolezza. L’idea di ripristinare l’antica unità della cristianità sorrideva sempre ai devoti; ma le proposte fatte nel secolo diciottesimo — Rouvière (1756), Martinowitz (1781) e Dutens (1798) — ebbero in pratica risultati inferiori a quelli dei predecessori.
Religione e pensiero scettico
Quasi dappertutto nell’Europa occidentale, ma particolarmente in Inghilterra e in Francia, le chiese costituite e i sistemi dottrinali che esse predicavano furono soggetti a un processo di erosione intellettuale. La loro sicurezza e la loro capacità di convincere i colti vennero sempre più intaccate dall’affermarsi di postulati e atteggiamenti nuovi. Come si è visto, questi postulati e questi atteggiamenti assunsero spesso una forma dogmatica e intollerante, soprattutto in Francia, e nessuna delle chiese era equipaggiata per combatterle. I sistemi teologici ereditati dal passato, intonati alle condizioni e all’ambiente intellettuale della riforma e della controriforma, dalla fine del diciassettesimo secolo in poi corrisposero sempre meno allo spirito dell’epoca: erano, come è stato detto, « un altare gotico in una basilica palladiana ».
Lo scetticismo puro, inteso come negazione della possibilità di raggiungere la certezza nel dare risposta ai problemi religiosi, fu rarissimo in tutto il periodo. Più importante fu invece la sfida rappresentata dall’affermarsi di tecniche di critica che mettevano in evidenza presunte improbabilità e incoerenze della Bibbia da un punto di vista storico. Contro questa sfida, alcuni studiosi come Hardouin e Berruyer tentarono di difendere l’ortodossia cattolica mettendo in evidenza l’importanza della tradizione, ininterrottamente impersonata dall’insegnamento della chiesa.
Eresie vecchie e nuove
Le forme tradizionali di fede religiosa venivano attaccate da più direzioni. La miscredenza e l’ateismo dichiarato diventarono forse un po’ più diffusi e furono certamente espressi più scopertamente che mai. Continuarono, tuttavia ad essere limitati , quasi nella stessa misura che in passato, a sparuti gruppi di eccentrici e di “esprits forts”. Nonostante l’allarme che suscitavano nelle file dei fedeli, ebbero scarso peso pratico. Tranne poche eccezioni (Holbach è l’unica, si può dire, veramente importante) neppure i più radicali pensatori del periodo erano disposti a farsi propugna- tori di ateismo o di uno stato esclusivamente laico. Né certe deviazioni ideologiche come l’arianesimo e il socinianesimo rappresentarono una vera minaccia alla religione costituita, se si escludono pochissime regioni del continente: la più importante fu l’Inghilterra, dove il socinianesimo si trasformò, alla fine del diciottesimo secolo, in un movimento unitario relativamente piccolo quanto a numero di aderenti ma forte per qualità intellettuale. L’eresia ariana deriva da Ario, prete di Alessandria nel IV secolo, il quale negava che Cristo fosse consustanziale a Dio; il socinianesimo deriva invece e da Lelio e Fausto Sozzini, due teologi italiani del XVI secolo che non riconoscevano la divinità di Cristo.