Francesco Maria, l’ultima speranza
Ossessionato dal problema della successione e non potendo più fare affidamento sui due figli ormai ridotti a rottami, Cosimo chiese al fratello cardinale di rinunciare al suo abito e di sposarsi per continuare la dinastia.
Francesco Maria non ne aveva alcuna voglia e poi anche lui era ridotto male.
La scelta cadde su Eleonora Gonzaga che aveva tutto in regola: la nobiltà, la dote, la salute e la bellezza, ma non il coraggio. Furono invano convocati i preti per richiamare ai doveri coniugali la povera Eleonora che con tutta la buona volontà non riusciva a ricambiare i trasporti di Francesco Maria, catarroso e prostatico, dal faccione gonfio e rubizzo.
L’unico che accettò con filosofia l’ennesimo fiasco fu Francesco Maria che rimpianse solo di aver dovuto rinunciare alla porpora per quel matrimonio.
Morì poco dopo e i fiorentini ne diedero annunzio con questo funebre manifesto affisso di notte sulle mura di Palazzo Pitti: “Appigionasi in quest’anno, che i Medici se ne vanno”.
L’eredità dei Medici
Ferdinando ridotto ad una larva, morì nel 1713. Gian Gastone continuava a vegetare, distrutto dall’alcol e circondato da gente equivoca.
Gli ambasciatori che si trovavano all’estero segnalarono al Granduca che nelle Corti europee si era già scatenata una corsa di sciacalli per l’accaparramento dell’eredità. Fu allora che nel vecchio Granduca si risvegliò un senso patriottico e Cosimo pensò di nominare come suo erede il popolo, restistuendo in questo modo, alla sua morte, i vecchi ordinamenti repubblicani. Ma i Medici avevano riavuto la Toscana da Carlo V, di conseguenza alla loro estinzione, il Granducato sarebbe dovuto tornare all’Imperatore. Ma questa eventualità era sempre stata contestata dai Medici. Si trattava dunque, di trovare delle Potenze disposte a riconoscere la totale indipendenza della Toscana dall’Impero.
L’Inghilterra e l’Olanda si dissero disposte a sostenere il Granduca nelle sue intenzioni. Ma a questo punto Cosimo ci aveva già ripensato, timoroso come era. Propose allora che alla sua morte, e a quella di Gian Gastone, l’eredità passasse alla figlia Anna Maria Ludovica e che fosse lei, caso mai, a ripristinare la Repubblica. Ma la principessa era la moglie dell’Elettore Palatino e questa scelta avrebbe potuto complicare ancora di più le cose, facendo nascere velleità ereditarie nella parentela tedesca di Ludovica.
La Principessa Anna Maria Ludovica
Rimasta vedova dell’Elettore Palatino, Ludovica tornò a Firenze, convinta di essere lei a succedere al padre. Era forse l’unica persona alla quale Cosimo avesse voluto veramente bene e soprattutto l’unica che non l’avesse mai deluso: aveva il suo stesso senso del dovere, il culto dell’etichetta, l’alto concetto di rango, lo zelo bigotto e anche una regale dignità. Ludovica faceva onore al suo casato con la sua aria risoluta e autoritaria, incuteva più soggezione che simpatia.
Padre e figlia discussero insieme sul problema della successione e pensarono di poter trattare con l’Imperatore Carlo VI, promettendo la Toscana agli Asburgo in cambio di Piombino e dei Presidi che erano in mano all’Austria; sapendo che il Granducato era ormai perduto, si preoccuparono di aggiungervi altre terre. Ma l’Imperatore nemmeno gli ascoltò; ormai si era già deciso che il successore dei Medici sarebbe stato il figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, Carlo.
Cosimo non potè evitare che a succedergli sul trono fosse Gian Gastone invece che la figlia Ludovica, perché la legge dinastica glielo impediva. Negli ultimi tempi aveva designato Gian Gastone reggente che alla morte del padre ereditò un Granducato disastrato.
Gian Gastone, l’ultimo Granduca
La Toscana che ereditò Gian Gastone aveva un’economia da area depressa, le casse dello Stato erano vuote. Il debito pubblico si era aggravato, della flotta non restavano che tre galere accudite da una ciurma di duecento marinai.
Dello stato dell’esercito ci fornisce un’idea un catalogo di soldati: “ Domenico Campana, soldato, anni 70, di servizio 34, non ci vede per l’età e cammina con un bastone. Giovan Battista Leonardi, anni 70, di servizio 40, ha perso la vista. Michele Ricci, anni 80, di servizio 59, decrepito con bastone”.
Mancavano le classi dirigenti per via dell’accentramento di tutto il potere nelle mani del Granduca. Le scuole sembravano seminari, compresa l’Università di Pisa, che un tempo era stata il centro del pensiero laico e moderno.
L’abulico Gian Gastone, che di entusiasmi ne aveva già pochi, con un paese ridotto in quello Stato non era certo l’uomo più adatto per governare. Non aveva ambizioni, il lavoro gli pesava e mostrarsi in pubblico era per lui un tormento. All’inizio fece delle sporadiche apparizioni, poi rimase confinato nei suoi appartamenti, poi nella sua camera e infine nel suo letto che per anni si rifiutò di abbandonare.
Riceveva a letto i suoi ministri e collaboratori con i quali sbrigava velocemente le pratiche di ufficio.
Poi faceva sbarrare la porta per restarsene solo con il suo palafreniere Giuliano, insolente e rotto a qualsiasi turpitudine, e le canaglie che costui gli portava. Tutta Firenze parlava, divertita, dei baccanali che si svolgevano negli appartamenti del Granduca.
A soffrire di questi scandali era soprattutto la sorella Ludovica, che Gian Gastone odiava per la parte che aveva avuto nel suo infelice matrimonio. E forse era anche per far dispetto a lei che ostentava il proprio degrado. Non voleva lasciare il suo letto neanche per prendere un bagno e non ammetteva che nessuno glielo rifacesse. L’unica persona della famiglia cui Gian Gastone fosse realmente affezionato era la cognata Violante, l’unica che ammetteva nelle sue stanze.
Eppure i fiorentini gli volevano bene. Perché, questo del “barbone” debosciato era uno dei due volti del Granduca. Ce n’era infatti un altro che gli faceva da contrappunto. Quest’uomo disfatto dall’alcol, dai vizi e probabilmente da una di quelle malattie pschiche ereditarie nella sua famiglia, si dimostrò un sovrano saggio e per molti aspetti illuminato.
Inaugurò il suo governo revocando le misure discriminatorie contro gli ebrei e ponendo fine alla caccia alle prostitute e Firenze ritrovò un costume di vita più libero. Gian Gastone non amava il potere ma amava la libertà e nel difenderla dalle prevaricazioni dei preti sapeva essere anche coraggioso, lui che per natura era indolente e pigro. Un altro suo merito fu di ridare all’Università di Pisa la sua vecchia dignità ed efficienza.
Quando gli annunziarono la visita dell’erede, il figlio del re di Spagna, lungi dal prenderlo in uggia, ne rimase conquistato e lo mostrò ai sudditi come suo legittimo erede.
Frattanto una nuova guerra stava per scatenarsi in Europa ; a provocarla fu la successione al trono di Polonia. Il conflitto non riguardava direttamente l’Italia, ma avrebbe rimescolato tutte le carte di un gioco in cui l’Italia era coinvolta.
E infatti la guerra di successione polacca provocò dei cambiamenti: a Carlo di Borbone, il figlio del re di Spagna, invece della Toscana fu assegnato il trono di Napoli e Sicilia; il Granducato, invece, fu assegnato a Francesco Stefano di Lorena, genero dell’Imperatore Carlo VI.
Di queste decisioni Gian Gastone fu informato solo a cose fatte e ne fu sinceramente dispiaciuto. Al principe Carlo si era affezionato e lo considerava più adatto a governare la Toscana anche perché era per metà italiano, essendo la madre una Farnese.
Gli ultimi anni di vita del Granduca non subirono cambiamenti. Continuò a rimanere nel suo sudicio letto e a consumarsi nell’accidia con i vestiti ridotti in brandelli, la parrucca spettinata che adibiva a tovagliolo e le unghie ripiegate in dentro perché rifiutava di farsele tagliare.
Regnò quattordici anni. Prima di morire si arrese alle insistenze di tutti e accettò di prendere la comunione invocando il perdono di Dio per i suoi peccati.