Uno dei primi lorenesi che venne a prendere possesso di Firenze in nome del nuovo Granduca Francesco Stefano, fu un certo Castelmur. Non era un politico e si occupava del caffè, una bevanda che in Italia era quasi sconosciuta. Per introdurvela, Castelmur aprì un locale in via Calzaioli. Il caffè piacque molto ai fiorentini, solo gli “orsi” (coloro che erano contrari ai Lorena e simpatizzavano per Carlo di Borbone) si rifiutarono di farne uso. Da allora l’uso del caffè, a Firenze, divenne quasi una dichiarazione di fede politica.
Francesco Stefano di Lorena
Francesco Stefano non si era degnato di far visita al suo Granducato. Come Granduca di Toscana avrebbe dovuto assumere il nome di Francesco II ma preferì restare Francesco III come gli sarebbe toccato se fosse rimasto Duca di Lorena, sebbene alla Lorena avesse dovuto rinunciare in favore di Stanislao Leczynski.
I fiorentini si dovettero accontentare di conoscere il nuovo Granduca dall’effige incisa sulle nuove monete.Solo due anni dopo, Francesco si decise a visitare la città insieme alla moglie Maria Teresa. I due sposi fecero una buona impressione ai fiorentini grazie alla loro affabilità. Molti rimasero sorpresi nello scoprire che Francesco, ritenuto un massone, conoscesse bene la musica sacra e che cantasse in coro con i frati.
La coppià visitò, via Arno, Pisa e Livorno e di ritorno fece omaggio all’ormai anziana Elettrice Palatina, Ludovica, alla quale Francesco offrì la reggenza del Granducato. L’offerta fu declinata ma il gesto di Francesco sembrò molto cavalleresco e generoso.
Queste buone impressioni furono però rovinate al momento della partenza della coppia, quando i sudditi videro un interminabile corteo carico del tesoro di casa Medici, prendere la strada per Vienna. Un tesoro che non aveva eguali in Europa. Quel saccheggiò riempì di sdegno i fiorentini che dai Medici, sotto il punto di vista artistico erano sempre stati arricchiti e mai depradati.
Anna Maria Ludovica, l’ultima Medici
L’Elettrice Palatina non era mai stata popolare a Firenze; il popolo rivedeva in lei il padre, il Granduca Cosimo, al quale somigliava nel carattere. Viveva a Palazzo Pittie vi conduceva una vita appartatata.
Era diventata un’aziana signora dura ed arcigna ma rimase all’altezza del nome che portava. Riceveva i visitatori sotto un grande baldacchino nero che stava a rappresentare la dinastia ormai estinta. Per orgoglio aveva rifiutato la reggenza che Francesco Stefano le aveva offerto e lo schiaffo più grosso lo dette con il suo testamento, con il quale lasciava a Firenze l’immenso patrimonio di famiglia: la Galleria Pitti e gli Uffizi, il gabinetto delle gemme, le collezioni di statue, dei bronzetti, delle medaglie e dei cammei, la Sacrestia Nuova di Michelangelo, la biblioteca laurenziana e la biblioteca palatina, e i reliquiari sacri. E tutto questo a patto che nulla venisse portato via da Firenze.
Quando morì aveva settantacinque anni, era il 1743 e i fiorentini ne seguirono il feretro. Con lei scompariva l’ultimo vestigio della gloria fiorentina e terminava una cultura ed una civiltà.
Dalla Reggenza a Pietro Leopoldo
Nel 1745, Francesco Stefano divenne Imperatore. In realtà a salire sul trono imperiale fu la moglie Maria Teresa, succeduta al padre Carlo VI in virtù della Prammatica Sanzione. Francesco divenne Imperatore di riflesso a lei. Come amministratore era parsimonioso ma aveva dovuto dar fondo al suo patrimonio per far valere i diritti suoi e di sua moglie. Per colmarne le falle appesantì il suo fiscalismo.
In Toscana, Francesco liquidò tutto l’apparato amministrativo dando i servizi in appalto ai privati. Cominciò con le dogane e le gabelle, poi le poste, la zecca e la magona. Alla fine fu messa in appalto anche la produzione e la distribuzione di ghiaccio e perfino il mantenimento delle ville e i dei giardini medicei. Con questo sistema venne eliminato il gravame degli stipendi e dei salari. L’appalto l’otteneva chi si impegnava a pagare di più. Il vincitore si rifaceva torchiando impiegati ed utenti che alla fine ne facevano le spese. Era un sistema che assicurava il più largo margine di utile all’appaltatore e allo Stato, e lo Stato era il Granduca.
Si trattava di un salasso che avrebbe messo in ginocchio anche un paese dall’economia florida, e la Toscana non era tale. Per regolare questo nuovo sistema, Francesco designò un reggente che all’inizio fu il Principe di Craon. Il suo posto fu poi preso dal Richecourt e poi dal Botta-Adorno.
Botta-Adorno aveva fatto carriera nell’esercito imperiale raggiungendo il grado di maresciallo. Fu lui il comandante di quel corpo di spedizione austriaco che i genovesi, guidati da Balilla, avevano cacciato a sassate. La situazione che egli trovò a Firenze non era certo rosea. Il malcontento dilagava ma l’unica preoccupazione del Botta-Adorno fu quella di mantenere l’ordine pubblico.
Nel 1765 da Vienna giunse la notizia che il Granducato avrebbe presto avuto, non più un reggente ma un vero e proprio titolare. Secondo il diritto di “secondogenitura” contratto dall’Austria ad Aquisgrana, questi sarebbe dovuto essere il secondogenito di Francesco, Carlo Giuseppe, che però morì a soli sedici anni di vaiolo. La Toscana sarebbe quindi toccata al terzogenito, Pietro Leopoldo.
Francesco morì improvvisamente proprio in quel 1765. Vivo suo padre, Leopoldo avrebbe dovuto accontentarsi del titolo di Governatore Generale. Ora invece poteva assumere il titolo di Nono Granduca e assoluto Signore di Toscana. A Firenze di lui non si sapeva nulla. Ma da quel momento i fiorentini avrebbero avuto un Granduca residente in Toscana.