Il trattato nel periodo barocco
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in letteratura barocca
Il trattato scientifico ebbe gran vigore nel seicento sulla spinta delle rivoluzioni e studi fisici, in Italia soprattutto grazie a Galileo. I modelli usati erano i classici: il trattato dimostrativo che deriva dal modello aristotelico per cui l’autore esamina il problema lo analizza e giunge a dimostrazione; il trattato a forma di dialogo, forma letteraria iniziata da Platone, che grazie all’uso che ne fece Galileo in Italia ebbe gran diffusione e ben si prestava ad un pubblico più vasto grazie alla contrapposizione di tre figure chiave: due scienziati di pareri opposti e un terzo non scienziato ma preparato che pone domande e guida lo svolgimento del dialogo ad una conclusione a favore della teoria da dimostrare; in fine non possiamo dimenticare l’epistola forma di trattato breve che serviva soprattutto a livello accademico.
Galileo apporta una gran novità nel trattato perché usa la lingua italiana mentre la gran produzione scientifica del seicento era per lo più ancora scritta in latino considerando che la maggior parte delle opere scientifiche eranoelaborate dalla chiesa ed in particolare dai gesuiti.
La trattatistica secentesca non ha mai goduto di gran interesse in epoca romantica, risorgimentale ma anche successivamente con le severe parole di Croce, i lavori del periodo barocco son sempre stati considerati di scarso valore, fumosi ed inconsistenti e questo anche a ragion del fatto che l’autorità ecclesiasticane deteneva le redini del potere. Recentemente una nuova luce emerge dai trattati secenteschi senza tuttavia far emergere grandi novità alla pari di un Macchiavelli, tuttavia emerge una chiara, benché mediocre, spinta verso al modernità.
Nel seicento continua la polemica rinascimentale tra fautori dell’Ariosto e del Tasso e si impernia una nuova polemica portata avanti soprattutto da Alessandro Tassoni sulla poetica degli antichi e classica e la stanca ripetitività dei petrartechi contro una nuova forma di poema rivoluzionaria come quella del Marino in cui liberta di espressione e inventiva dovevano diventare il fulcro dell’opera. Le polemico pro e contro l’Adone del Marino non mancarono ed uscì una nuova idea di valutazione dell’opera tutta barocca: il successo del pubblico. Un opera era buona dunque se piaceva!
Solo dopo la prima parte del secolo emergono trattati sulla scrittura e retorica come il Cannocchiale aristotelico del Tesauro, Delle Acutezze del Pererini, Considerazioni sopra l’arte e lo stile del dialogo di Pietro Sforza Pallavicino. In breve possiamo così riassumere il nuoo spirito prosaico, rottura con la tradizione rinascimentale ispirata a Cicerono di una compostezza ma invece uso e abuso di metafore, di ampollosità di ricerca di profondità e arricchimento lessicale, di paragoni che spingono il lettore in un vortice di arguzie, battuteche cercavano di prendere il lettore per le emozioni. D’altro verso taluni invece riprendendo da Seneca e Tacito scrivevano per frasi bervi e spezzate quindi sentenziose puntando ad una prosa stringata fino all’oscuritò, questo stile fu definito laconico o concettoso. Di questo ultimo stile rammentiamo i Discorsi sopra Cornelio Tacito di Malvezzi.