L'epoca moderna si basa su un principio antitetico a quello medievale: è il principio dell’autonomia dello Stato quale suprema espressione della forza e della ragione umana che rinnega ogni eticità trascendentale e si svincola da ogni dipendenza e legame verso la Chiesa. Lo Stato è ora una struttura potente e consapevole che rafforza la sua organizzazione interna e potenza, che fa parte della nazione, e da questa trae le forze e le energie necessarie per affermarsi ed esistere.
Lo Stato è un entità a cui tutti si rivolgono per la sua permanente e razionale esistenza, sovrani e gruppi di potere adattano alla struttura statale le ambizioni e le strategie; gli stessi monarchi si abituano a considerarsi dei funzionari anche se più potenti ed alti di tutti. L'ideale tipico di stato deriva sia dalle forme antiche che dal tipico principato italiano rinascimentale, l'accentramento del potere nelle mani del monarca è il punto di arrivo di una rapida unificazione politico-giuridica e di un altrettanto rapido accrescimento del potere del sovrano, a scapito di quello delle, una volta numerose e potenti, signorie feudali e autonomie cittadine o, in genere, locali.
La formazione dello stato moderno
Il processo di unificazione è avvenuto tramite lotte dure e lunghe in cui vari poteri particolari hanno ceduto man mano nei confronti della potestà maggiore, il sovrano appariva sempre più il garante del ordine ed il rappresentante della Nazione, della società, della pubblica amministrazione e dell’economia.
Ancor prima della fine del XV secolo valevano le massime: il re di Francia non muore mai, “il regno ha sempre un re", “il re è morto, viva il re”: la morte di un sovrano metteva automaticamente al suo posto il nuovo re, un successore e responsabile della continuità dello Stato, così come si esprimeva in Spagna col motto a rey muerto, reu puesto.
La figura del monarca tende ad assumere un rilievo maggiore che in passato divenendo assoluta in Francia, in Inghilterra, nella Spagna e in Italia. I sovrani si adornano ciascuno di un titolo sonoro e solenne (Cattolici, Cristianissimi, Apostolici, Fedelissimi, Difensori della Fede) e dell’appellativo, fino ad allora solo relativamente frequente, di Maestà, Vostra Maestà, Sacra Maestà, e simili; inoltre si imperializzano, o tentano di farlo vari re e tentano di diventare re, i duchi e i granduchi.
La ragion di Stato
La“ragion di Stato” e la questione della sovranità è prerogativa d’onore “le cosa più preziosa tra tutte al mondo”.
Quando papa Sisto V, nel 1585, dichiara che Enrico di Navarra (il futuro Enrico IV di Francia) è incapace di accedere alla corona di Francia, il parlamento di Parigi si rifiuta di riconoscere la validità di simile pronuncia, dichiarando che il Papa avrebbe dovuto innanzi tutto fornire la prova del diritto, cui pretende, di decidere sui regni “i quali furono stabiliti e ordinati da Dio prima che esistesse il nome stesso di Papa".
Ricordiamo che qualche anno dopo, allorché il nuovo papa modificò il giudizio sul sovrano il parlamento francese ne prese atto registrando la nuova dichiarazione senza proferire verbo.
Le prerogative del monarca
La figura del re si lega alla volontà divina, per esempio in Francia si affermò la credenza nell’origine divina delle Santa Ampolla col cui olio santo egli era stato unto al momento del suo avvento al trono ed anche la sua qualità di prodigioso guaritore degli scrofolosi. Il re si considera superiore ad ogni creatura umana, il sovrano si allontana dalla vita del popolo e crea il suo potere mediatico nei sontuosi palazzi di prestigio creando formalità ed etichette alle quali ammettere spettatori sudditi. Diventano solenni e formali i pranzi, l’intervento alle funzioni civili e religiose, le messe domenicali, le prediche, le cacce, i viaggi.
Le doti del re e la sua educazione serve a creare una sorta di eroe, colto, forte, studioso, coraggioso, valoroso, resistente ai disagi e alle fatiche: anche se questo Stato moderno non è più uno Stato militare. Poiché, inoltre, il re di Francia è “cristianisaimo” deve essere anche cristiano, cioè cattolico praticante. Egli è sovrano ereditario, di una successione la quale (Legge Salica) esclude dal trono le donne e i discendenti in linea femminile. Del rito dell’elevazione al trono fa parte anche la tradizionale domanda dell’arcivescovo celebrante, al popolo, se questi accetti il re per il suo legittimo sovrano. Come nel medioevo, il sovrano porta spesso la corona. Nessun potere terreno, né temporale né spirituale, aveva, dunque, alcun diritto sul regno di Francia, tanto meno quello di assolvere i sudditi della fedeltà e dell’obbedienza dovuta al loro sovrano. Il re era vicario, o luogotenente di Dio nelle cose temporali così come il Papa lo era in quelle spirituali. Il teologo di corte Boussuet scrive nel suo 'De lnstitutione Delphini: Politique tirée de l’Ecriture sainte' del 1679: “Dio governa, tutti i popoli e dà ad essi il loro re.
I principi sono ministri di Dio per il bene: essi sono resi sacri dal loro ufficio come rappresentanti della Maestà divina, deputati della sua provvidenza all’esecuzione dei suoi disegni. Il trono regale non è trono di un uomo, ma di Dio stesso. La persona del re è sacra e attentare ad essa è sacrilegio”. Per quanto la corte propugnasse questo credo però il potere del sovrano doveva fare iconti con molti altri poteri all'interno del regno a cominciare dai suoi pari aristocratici. Molti pubblicisti arrivavano anche alla conclusione che il popolo, dal cui accordo e dalla cui concessione i primi sovrani avevano tratto il loro potere, poteva, in caso di violazione e d’abuso, riprendere nelle sue mani la autorità già concessa. Alcuni di essi giungevano fino ad ammettere il tirannicidio. Queste dottrine sostenute dai protestanti - i monarcomachi - come dai cattolici oltranzisti nel solco della Lega cattolica, portarono effettivamente a due regicidi, quello di Enrico III (1589) e quello di Enrico IV (1610). Nella prassi i sovrani francesi, accanto all’affermazione ed al riconoscimento dei loro pieni poteri, si sentivano dire che dovevano agire con ponderatezza, con discernimento e conformemente a giustizia. Frequentemente, dunque, gli uomini del XVI e XVII secolo qualificavano “assoluti” e “sovrani” poteri che noi consideriamo, più giustamente, limitati.
La monarchia inglese
In Inghilterra con l’avvento dei Tudor il concetto di potere del monarca si rafforza, con Enrico VII il sovrano si attribuisce ogni preminenza e dignità reale di qua e di là del mare; in varie misure protettive per il commercio e la navigazione inglesi; nell’accrescimento della pene per i perturbatori dell’ordine pubblico; nell’introdurre disposizioni contro coloro che nel regno osassero battere moneta, “perché ciò pregiudica il re, sovrano Signore, sia i sudditi”, nella coniazione di monete, e nel potenziamento della Star Chamber. Pure significativo é che, nel 1521, Enrico VIII assuma, per concezione pontificia, il titolo di Defensor fidei. Con i Tudor la monarchia inglese si imperializza. Viene introdotta una nuova formula da adottare nel giuramento sovrano di fedeltà alle leggi e consuetudini, introducendovi la clausola e la condizione che queste non siano pregiudizievoli alla sua corona o giurisdizione imperiale. Enrico VIII diventa capo supremo della Chiesa e del clero, rivendica la plenitudo potestatis tradizionalmente attribuita al pontefice.
Che cosa gli inglesi pensino del loro autorevole sovrano ce lo dice anche Shakspeare nei suoi drammi storici nei quali si fa riferimento alla “ragion di Stato”: il re deve farsi vedere raramente dai sudditi, per evitare che questi, abituandosi a vederlo, ne perdano il desiderio; si concepisce che la sovranità del monarca sia superiore all’intelletto umano, un mistero, e si afferma che ai sudditi non spetta se non il dovere di obbedire; di obbedire, si precisa, anche se gli ordini medesimi possano portare ad un risultato ingiusto e debbano poi ricadere su colui che li ha impartiti. Il suddito inglese medio fu indotto a credere che i Principi cristiani hanno avuto per mandato, immediatamente da Dio, la piena cura dei loro sudditi, così come la diffusione della parola di Dio per la cura della loro anima e l’amministrazione e il governo delle cose concernenti lo Stato.
I pensatori politici della seconda metà del secolo, Sir Thomas Smith e Richard Hooker dicono diversamente del potere sovrano. Lo Smith, nella sua De Republica Anglorum oltre a profilare un potere supremo e assoluto del parlamento prospettava il problema se il buon cittadino amante del paese debba obbedire ad un reggitore cattivo ed ingiusto, oppure cercare ogni possibile modo per toglierlo di mezzo: problema del quale sì asteneva di offrire una soluzione.
Richard Hooker partiva dall’idea del contratto tra governante e governati, ossia della sovranità della collettività, derivante da Dio e da questa conferita al sovrano, che restava, però, sempre legato dalla volontà, e quindi dalla necessità di richiedere il consenso, del corpo sociale. Invece, però, di riservare al popolo il principale dei poteri, quello di fare le leggi, ammette che queste possa farle il sovrano purché col consenso del paese: la sua formula di regime consiste nella sovranità del re in parlamento. Il re deve rispettare le leggi di ragione e di Dio ma, se non lo faccia, non c’è giudice in terra competente a giudicarlo.